Intervista

SCUOLA «Non esistono riforme magiche»

di Enrico Lenzi, Avvenire 13.12.2014

«Valorizzare l’autonomia responsabile delle singole scuole», consapevoli, comunque, che «non esistono formule magiche» per riformare la scuola in Italia. Paolo Sestito, responsabile del Servizio struttura economica della Banca d’Italia, sintetizza così il contenuto di La scuola imperfetta,(edito da Il Mulino, 178 pagine, 14 euro), libro che ha scritto partendo dalla sua esperienza di presidente del-l’Invalsi, l’Istituto di valutazione del sistema scolastico. «Una serie di considerazioni personali che partono proprio da questo impegno – precisa l’autore – e che non coinvolgono il mio attuale incarico in Bankitalia». 

In queste settimane è partita la fase relativa all’autovalutazione delle scuole. Come giudica questo passaggio alla luce della sua esperienza? 
«Il libro ha un’ambizione un po’ più ampia: parlare del circolo vizioso in cui si ritrova l’Italia. Le competenze 'prodotte' dal nostro sistema educativo sono basse nel confronto internazionale e vengono poco valorizzate nel nostro mercato del lavoro. La valutazione delle scuole di cui lei mi chiede è solo un capitolo del libro ed è trattata in quanto strumento che, se ben disegnato e ben inserito nei meccanismi di governo del sistema scolastico, può grandemente aiutarlo a migliorarsi. Il Regolamento sulla valutazione definito dal governo Monti e che ora si cerca di far partire va in questa direzione. L’autovalutazione delle scuole ne è un tassello importante, ma vanno evitate derive adempimentali e di autoreferenzialità: serve prestare attenzione a quel che pensano tutte le componenti del microcosmo di ogni scuola (innescando una dialettica interna a ciascuna scuola) e serve accrescere la disponibilità di indicatori esterni con dati veramente comparabili. L’invito ad autovalutarsi a tappeto inoltre non basta: occorre valutare (dall’esterno) i dirigenti scolastici, rimuovendo se necessario chi non rispetti certi standard, e fornire supporto e risorse alle scuole che operano in condizioni di contesto particolarmente difficili». 

Perché la definizione di 'scuola imperfetta' senza punto di domanda? 
«Cose positive ce ne sono e tante nel nostro sistema educativo, che va avanti grazie a migliaia di docenti che, pur privi di riconoscimenti economici e professionali, vi operano con entusiasmo e dedizione; la tesi del libro è del resto che occorre valorizzare l’autonomia responsabile delle singole scuole per andare avanti. Alquanto naturalmente, il libro esprime però il necessario 'pessimismo dell’intelligenza'; l’altrettanto necessario 'ottimismo della volontà' spetta ad altri e non a chi, come me, ha un profilo più analitico». 

Un capitolo del libro parla della centralità dell’insegnamento e degli insegnanti, e illustra alcune possibili soluzioni. Le sembra che la recente consultazione fatta sulla buona scuola vada nella direzione illustrata? 
«È un bene superare il precariato endemico: il fatto che ogni anno più di centomila docenti abbiano un incarico annuale, non sapendo se resteranno o meno nella scuola ove operano e nemmeno se riavranno o meno un nuovo incarico, è mortificante per gli interessati e ha effetti perversi sulla didattica e sugli apprendimenti degli alunni. Francamente non capisco però perché dimensionare l’aumento nelle posizioni di ruolo non ai fabbisogni effettivi ma al numero di 'aventi diritto' e, soprattutto, perché non usare l’occasione di un forte aumento del numero dei docenti di ruolo per mettere a punto un nuovo sistema di reclutamento, fortemente selettivo e che tenga anche conto della performance effettiva dei docenti, da mettere in prova per un periodo di tempo sufficientemente lungo, tramite un vero e proprio meccanismo di 
tenure track (un percorso lavorativo finalizzato al raggiungimento di una posizione lavorativa a tempo indeterminato, ndr)». 

Il rapporto scuola e lavoro sempre di più sembra assumere importanza. Eppure ancora oggi in molti sono contrari a una scuola che prepari al lavoro, ma che punti più a una preparazione di carattere teorico. Coma valuta questo passaggio? 
«Non credo che la scuola debba preparare a un lavoro, inteso come uno specifico posto di lavoro in una specifica azienda. La scuola deve però preparare alla vita adulta e il lavoro ne è parte essenziale. Acquisire, quando si è ancora a scuola, una maggiore dimestichezza col mondo del lavoro, incluse le sue asperità, aiuterebbe quando poi si dovrà cercare un lavoro: ciò può aiutare a prevenire la disoccupazione giovanile che è in Italia elevatissima». 

Quale scuola serve all’Italia per invertire la rotta e abbandonare la definizione di imperfetta? 
«Non esistono formule magiche. Sebbene io sia per certi versi un nostalgico della riforma dei cicli a suo tempo immaginata dal ministro Luigi Berlinguer, non è su queste questioni di grande ridisegno complessivo degli ordinamenti che gli spunti e i suggerimenti presentati nel libro si soffermano. Rifuggendo da tali tentazioni, si discute di come insegnanti meglio selezionati e meglio pagati possano essere più efficaci; di come l’autonomia responsabile delle singole scuole possa indurre queste a migliorarsi e di come, dando loro risorse commisurate ai loro bisogni effettivi (quindi parametrate alle eventuali difficoltà del contesto sociale ove operano) esse possano e debbano farsi carico di una didattica meno tradizionalmente trasmissiva e nozionistica e più flessibile e articolata, a supporto di chi rimane indietro, degli ormai tanti extracomunitari con maggiori difficoltà linguistiche, ma anche a stimolo delle cosiddette eccellenze. Come dicevo all’inizio, il libro non discute solo di politiche educative: spezzare un circolo vizioso (con un mercato del lavoro che esprime una bassa domanda di 'capitale umano' e un sistema educativo che ne garantisce una poco qualificata offerta) richiede infatti di operare su più fronti».