stereotipando L’ora in-competente di lezione di Maurizio Muraglia, Insegnare 26.12.2014 Nella scuola le competenze hanno fatto presto a diventare uno stereotipo. E lo sono diventati prima di capire cosa fossero, e dunque di provare a svilupparle nei ragazzi. Anche Massimo Recalcati ha recepito lo stereotipo e gli ha contrapposto l’ormai famosa “Ora di lezione”. E Manco a dirlo, un libro contro le competenze ha subito riscosso tra gli insegnanti un successo strepitoso. E voilà, la damnatio cumpetentiarum è compiuta. Dunque, facciamo le pulci a questo libro osannatissimo. L’autore sembra tirar fuori dal cappello “L’ora di lezione”. Concetto editorialmente seducente, che fa vendere molto, ma professionalmente inconsistente, perché nella singola ora di lezione reale con ragazzini reali, non quella universitaria che vagheggia lui a occhi chiusi anche davanti agli studenti che protestano contro le misure Gelmini e altri ministri nefasti, ben poco succede di veramente utile in ordine all’apprendimento. L’apprendimento è un evento serio, e per realizzarsi richiede più “ore di lezione”, ben coordinate tra di loro e soprattutto finalizzate alla formazione dei ragazzi. Il libro d’altra parte contiene un’idea di apprendimento assolutamente condivisibile, perché prende le distanze dal riproduttivo in favore di una capacità ricostruttiva della conoscenza. Ma quest’ultima non si realizza nell’ora di lezione, per quanto animata da tutta l’erotica di questo mondo, bensì in una sequenza mirata capace di alternare interventi dell’insegnante e attività/discussioni degli studenti.
Recalcati ha molti bersagli polemici condivisibili. Due soli esempi tra i tanti: “La scuola-Narciso […] premia che ripete lo Stesso, chi riduce l’apprendimento alla riproduzione dello Stesso. Nessuna eterogeneità, nessuna divergenza. Se in una verifica orale o scritta – quando non si riduca ad una serie di caselline vuote da barrare – l’insegnante ritrova le proprie parole o quelle dei testi studiati; se, in altri termini, l’allievo sa ripetere il più esattamente possibile il sapere che gli è stato impartito, allora la valutazione sarà massima” (p.30). E ancora: “La scuola di ogni ordine e grado sembra ridotta a un ‘esamificio’. L’impeto valutativo vorrebbe imporre scansioni dell’apprendimento uguali per tutti, depersonalizzando, rendendo tutto misurabile e quantificabile. Questa degenerazione docimologica della Scuola riflette il culto feticistico del numero e
della quantificazione che è un idolo imperante del nostro tempo” (p.88). Occorrerebbe chiedere a ciascuno degli insegnanti che si preoccupano di addestrare i ragazzi alle prove Invalsi, che usano il voto come clava e che valutano facendo medie numeriche (ovvero alla stragrande maggioranza dei docenti italiani), e poi affollano osannanti le sale in cui parla Recalcati, se hanno meditato attentamente su questi suoi passaggi. Ma qui viene il bello. Quanto scrive l’autore in positivo, a proposito dell’importanza di saper svegliare la motivazione al conoscere degli studenti, da qualche decennio è scritto da autorevoli specialisti della pedagogia e della didattica, ovvero da tutti coloro che hanno sostenuto la necessità di transitare da una scuola dei soli contenuti (trasmissiva) a una scuola delle competenze (formativa). La battaglia che tanti di noi sosteniamo da anni, con parole e scritti, è proprio la battaglia in favore delle competenze culturali, di quegli abiti mentali che consentono a bambini e ragazzi di ritrovare il gusto per la conoscenza, di quegli atteggiamenti motivati, coinvolti, cooperativi che fanno delle discipline scolastiche l’occasione per ragionare, approfondire, ri-creare, contestare, intervenire sul reale…. che fanno insomma della conoscenza scolastica il pilastro della cittadinanza. Queste sono le competenze per molti di noi che desiderano che la scuola per i ragazzi sia un’esperienza di benessere. Ed è proprio qui che ci siamo persi per strada la condivisione di un terreno comune per la scuola di Telemaco. Recalcati vede nelle competenze il nemico di tutto quel che lui stesso va dicendo in positivo. E, in qualità di nemico delle competenze, arruola alla sua causa centinaia di insegnanti che non vedevano l’ora di far … l’ora di lezione cattedratica frontale e nozionistica. Eterogenesi dei fini. Senza volerlo Recalcati affilia nel suo esercito quelli il cui modo di fare scuola contesta nel suo libro. Con “L’ora di lezione”, tutte le mastrocole (anche maschi of course) della scuola italiana trovano un’insperata conferma alla propria mistica dell’insegnamento, che spopola soprattutto nei Licei Classici dove i ragazzi sono bene educati e stanno ad ascoltare le lezioni cattedratiche ed eroticissime dei cultori della disciplina di turno. O fingono di farlo, proprio perché educati. E tutti gli artigiani dell’insegnare e dell’imparare, che attraverso l’apprendimento per competenze pensavano di riuscire a scardinare l’impianto trasmissivo dell’insegnamento, si trovano con le pive nel sacco.
Si osservi un po’ la sequenza che segue. Eppure non mancano, tra i contributi scientifici, gli esempi stranieri (anzitutto Perrenoud), ma anche nostrani (Pellerey, Castoldi, Guasti, Baldacci). Ma anche questa rivista e molti insegnanti conducono da anni una battaglia in tal senso, a partire dal dossier Competenze culturali per la cittadinanza, a cura di Mario Ambel e Domenico Chiesa del 2007. O più recentemente, sempre su Insegnare, ne ha scritto in modo assai efficace, Eleonora Aquilini, docente di Scienze nelle scuole secondarie di II grado, che ha affrontato il rapporto tra competenze e cultura in un suo recente e illuminato articolo Cultura è competenza? Cosa dire allora? Forse che “L’ora di lezione” è stata una grande occasione mancata per uscire dagli stereotipi. L’occasione di considerare proprio quelle competenze che Recalcati non vede di buon occhio la leva per la “buona scuola” di cui oggi tanto si parla. Ovvero la scuola che con Recalcati auspichiamo si liberi dai vincoli di Edipo e dal rispecchiamento di Narciso per educare soggetti capaci di una nuova cittadinanza matura. |