Autovalutazione delle scuole: Dal 2015 tutte le scuole statali saranno coinvolte in un processo di autovalutazione. Il problema è che potrebbero non avere tutte le informazioni necessarie per compilare il rapporto. Dati disomogenei potrebbero portare a valutazioni errate. Linee guida del ministero e priorità di miglioramento. di Daniele Checchi e Maria De Paola, La Voce.info 16.12.2014 Il 27 novembre 2014 è stato presentato al Miur il format che servirà agli istituti scolastici per produrre, entro l’estate 2015, il loro primo rapporto di autovalutazione.
Il rapporto di autovalutazione è composto da cinque sezioni (contesto, esiti, processi, processo di autovalutazione, individuazione delle priorità) che dovranno essere compilate dagli istituti scolastici facendo riferimento a ben quarantanove indicatori. Nella sezione “contesto”, la scuola deve analizzare l’ambiente in cui opera e le risorse di cui dispone. Nelle sezioni “esiti” e “processi” è chiamata a esprimere un giudizio sulla propria performance: si tratta di valutare gli “esiti” in termini di risultati agli scrutini, abbandoni, risultati ai test Invalsi, competenze chiave e di cittadinanza, successo negli studi secondari di II grado, prosecuzione negli studi universitari, successo negli studi universitari, inserimento nel mondo del lavoro. La valutazione dei “processi” riguarda, invece, le pratiche educative e didattiche e quelle gestionali e
organizzative (ad esempio, offerta di formazione agli insegnanti, impatto delle assenze dei docenti sull’organizzazione didattica, collaborazione tra gli insegnanti, partecipazione dei genitori, eccetera). Seguono due sezioni relative al processo di autovalutazione della scuola (composizione del nucleo interno di autovalutazione, procedure adottate nella redazione del rapporto) e alla individuazione delle priorità relative al miglioramento degli esisti degli studenti e dei processi che possano generarli. DOVE SI TROVANO I DATI Cosa serve affinché questo meccanismo funzioni? Servono dati accurati, che permettano di fotografare la situazione della scuola e di compararla con quella di altre simili. Quelli necessari alla compilazione del rapporto di autovalutazione provengono da numerose fonti: La scuola in chiaro, Invalsi, Miur e altri ancora. Alcuni, come quelli che alimentano i database di “La scuola in chiaro”, sono forniti dalle stesse scuole. Sul sito “La scuola in chiaro” i dati appaiono aggiornati al 9 ottobre del 2012. Nell’anagrafica sono censite 72.356 scuole statali e paritarie. I dati raccolti riguardano alcune caratteristiche della popolazione scolastica, alcuni indicatori degli esiti formativi e alcuni indicatori relativi alle risorse economiche e professionali. Tuttavia, finora, i dati sono disponibili solo per alcune scuole. Ad esempio, si hanno informazioni sugli abbandoni scolastici solo per 12.469 scuole, mentre quelle relative al numero di ripetenti riguardano 27.657 scuole. Mancano informazioni sui bilanci di 63.559 scuole. La maggioranza dei dati relativi agli indicatori di processo sono forniti da un “questionario scuole” e da un “questionario insegnanti” proposti da Invalsi e introdotti sperimentalmente quest’anno per la prima volta in un campione di scuole. Allo stato attuale, non è quindi chiaro quale meccanismo il ministero intenda adottare affinché tutte le scuole possano disporre nei tempi previsti delle informazioni necessarie a definire molti dei quarantanove indicatori previsti dal Rapporto di autovalutazione. C’è il rischio reale che una parte consistente degli indicatori di riferimento esterni siano assenti alla data di compilazione del rapporto o che – peggio ancora – siano calcolati in base alle informazioni fornite da un sotto-campione di scuole auto-selezionate e, quindi, non rappresentative.
Vi è inoltre un problema di dettaglio dell’informazione. I valori di riferimento esterni oggi esistenti, ad esempio, sui dati “La scuola in chiaro” sono a livello regionale o nazionale. Si tratta di un livello di aggregazione inadeguato per effettuare confronti appropriati. Ogni scuola dovrebbe poter comparare la propria performance con quella di istituti che operano con una popolazione di studenti il più simile possibile alla propria e che godono di risorse simili alle proprie. Non è chiaro dunque in che modo si intende procedere per consentire alle scuole di avere questo tipo di informazione. I dati Invalsi permettono di comparare scuole con popolazioni di studenti simili, ma non forniscono molte indicazioni sulle risorse disponibili. Bisogna infine considerare che mentre le misure di performance relative agli “esiti” (fatta eccezione per le “competenze chiave
e di cittadinanza”, che dovranno essere misurate sulla base di indicatori elaborati dalle scuole) sono misure “oggettive” non troppo difficili da verificare, quelle relative ai processi fanno spesso riferimento a indicatori basati sulle risposte fornite dalle stesse scuole al questionario Invalsi e potrebbero essere soggette a manipolazioni. La disponibilità di questi dati rappresenta comunque un punto di partenza importante per riuscire a effettuare qualsiasi tipo di valutazione. Con questa operazione, il Miur sembra aver gettato il cuore oltre l’ostacolo, pur di avviare l’operazione nei tempi previsti (per esempio dalla lettera del ministro Padoan a Bruxelles). Bisogna essere consapevoli che alcune banche dati indispensabili per il calcolo degli esiti
(per esempio l’Anagrafe studenti in riferimento alle transizioni all’ordine scolastico superiore) sono ancora incomplete, e possono quindi fornire immagini sfuocate della realtà che invece si vuole mettere dettagliatamente a nudo (per esempio i tassi di abbandono degli early school leavers). Se i dati a disposizione non sono omogenei, si rischia di premiare le scuole che sanno meglio utilizzarli per giustificare la propria performance (per esempio perché hanno esperienza pregressa di pratiche di autovalutazione). Infatti, le scuole possono motivare il giudizio di autovalutazione facendo riferimento ad altri dati che sono in suo possesso, oltre che agli indicatori di riferimento esterni. Ciò toglie omogeneità al processo e genera il rischio che le scuole impieghino risorse eccessive nel reperimento di questi dati. Inoltre, le scuole capaci di reperire dati più
dettagliati potrebbero anche esprimere giudizi di autovalutazioni più “benevoli”, perché in grado di motivarli. LA QUESTIONE DELLE PRIORITÀ DI MIGLIORAMENTO Questo riapre il tema più ampio dei vantaggi relativi dei due approcci che si confrontano sul tema della valutazione: autovalutazione o valutazione esterna? Senza pretesa di dar conto di un dibattito che in letteratura è stato ampiamente trattato, ci limitiamo a ricordare che i sostenitori della prima citano la capacità di coinvolgimento del soggetto valutato in processi di miglioramento, mentre i fautori della seconda ritengono che i soggetti a valutazione debbano essere valutati comparativamente tra loro e che non gli si possa concedere la scelta delle dimensioni valutative. Questo rinvia al problema più generale della scelta delle priorità di miglioramento. Così recita la guida all’autovalutazione diffusa dal Miur: “Le priorità che la scuola si pone devono necessariamente riguardare gli esiti degli studenti. Si suggerisce di specificare quale delle quattro aree degli esiti si intenda affrontare (risultati scolastici, Risultati nelle prove standardizzate nazionali, competenze chiave e di cittadinanza, risultati a distanza) e di articolare all’interno quali priorità si intendano perseguire (per esempio, diminuzione dell’abbandono scolastico; riduzione della variabilità fra le classi; sviluppo delle competenze sociali degli studenti di secondaria di I grado, ecc.)”. Queste indicazioni, a nostro parere, sono insufficienti per orientare il sistema scolastico nel suo complesso verso un miglioramento. Ci limitiamo ad un esempio: “migliorare i risultati scolastici” può essere articolato da una scuola come “miglioramento del voto medio dei propri alunni”, da un’altra come “riduzione delle bocciature” e da una terza come “riorientamento degli alunni in difficoltà verso scuole più adatte alle loro possibilità”. Nessuna di queste azioni potrebbe avere alcun impatto sui risultati nelle prove standardizzate dei propri alunni, oppure sugli abbandoni scolastici. Pur essendo coscienti dell’enorme importanza dell’avvio di un processo di (auto)valutazione che coinvolge tutte le scuole nazionali (con l’intenzione di estenderlo in una seconda fase anche alle scuole paritarie), riteniamo che il Miur avrebbe potuto esercitare una funzione direttiva più stringente, pur nel rispetto dell’autonomia delle scuole, indicando direttamente le priorità che l’esecutivo ritiene essenziali, anche alla luce degli impegni europei. Sempre a titolo di esempio, l’obiettivo di Lisbona 2020 richiede agli Stati membri l’abbattimento degli early school leavers a meno del 10 per cento. In Italia la quota è ancora al 17 per cento. Una ricerca promossa da enti non profit (WeWorld-Intervita, Fondazione G. Agnelli e Associazione B. Trentin) su quattro città metropolitane riporta il dato preoccupante secondo cui più del 50 per cento dei dirigenti scolastici intervistati ritiene che il problema della dispersione scolastica non esista o sia un evento raro. Come si compone in un processo di autovalutazione la divergenza di priorità tra esecutivo e dirigenti locali? È evidente che questi nodi verranno al pettine quando inizieranno le visite alle scuole degli ispettori nazionali. Ma a differenza del processo di autovalutazione, questa “gamba” del sistema di valutazione nazionale sembra ancora molto in ritardo (e forse anche un po’ zoppicante). Non vi è infatti chiarezza circa le conseguenze derivanti da una buona o cattiva performance della scuola. E nell’incertezza, è sempre meglio apparire bene. |