Punto uno: i compiti a casa li fanno tutti. Tutti, nei 38 Paesi che hanno partecipato alle rilevazioni Ocse Pisa 2012 sulle competenze dei 15enni del mondo. Dove i prof assegnano sempre qualcosa da fare a casa, dopo la giornata scolastica: per consolidare un argomento, recuperare terreno, «stimolare» curiosità e attenzione, sviluppare l’autonomia degli studenti. Punto due: chi fa più compiti, ha risultati migliori. Ma il «di più» si trasforma spesso in una frattura, che separa i più dai meno fortunati: il lavoro assegnato a casa avvantaggia coloro che possono contare sul sostegno della famiglia, su ambienti domestici adeguati e tranquilli, sulla disponibilità di tempo e, spesso, risorse. Non è un esercizio del tutto democratico, insomma. E gli studenti in più favorevole condizione socio-economica sono anche quelli che dedicano più tempo a questa pratica: un’ora e mezza almeno (tre e mezza in più in Italia, mentre quelli con un background meno fortunato non vanno oltre le 6 ore in totale: è la differenza maggiore dell’intera Ocse).
Italiani sgobboni
In media, il tempo riservato ai compiti a casa è di cinque ore a settimana, con punte decisamente più alte in Italia (9 ore), e ancor di più a Shanghai (14 ore). In Finlandia e Corea, invece - Paesi ai vertici delle classifiche internazionali - le ore si riducono a tre. Numeri confermati solo in parte, quando si misurano, come ha fatto l’Ocse-Pisa, le competenze degli studenti. Finlandesi e coreani (con meno compiti) svettano. Cina e Shanghai (più ore in assoluto) registrano le migliori performance in matematica: ogni ora in più di esercizio si traduce infatti in 17 punti di vantaggio sulla scala delle competenze; 15 nel caso dei ragazzi italiani.
In classe o a casa?
«È una fotografia che rispecchia perfettamente i sistemi scolastici - sostiene Paolo Ragusa, pedagogista, formatore e autore del saggio «La scuola che ci serve» (Lir Edizioni) -. In Finlandia, dove si punta tutto sul lavoro in classe, non occorre esercitarsi a casa. Da noi è il contrario: le ore in aula sono quasi un optional; che il ragazzo partecipi o meno, che sia interessato o no, non importa: conta che studi. Un modello purtroppo sempre più diffuso, soprattutto alle superiori e sempre più condiviso dai genitori, che se devono esercitare un controllo lo fanno non sulla qualità della didattica e dei programmi, ma sul fatto che i figli facciano i compiti».
Il senso del compito
«Stiamo attenti però a usare lo stesso parametro per misurare la qualità di sistemi dove si lavora in maniera diversa», sostiene Emanuela Confalonieri, docente di Psicologia dell’adolescenza alla Cattolica di Milano. «Non è qualche ora in più o in meno a fare la differenza - aggiunge -: l’importante è che il compito sia intelligente, fortemente collegato a qualcosa che si è già spiegato in classe. Negli adolescenti la motivazione non è forte, hanno bisogno di altro, fanno fatica a trovare il senso del compito: si può lavorare sul tipo di richiesta che si fa».
Quattro ore
Quattro ore a settimana sembrerebbero, dice l’Ocse, la quantità giusta per consolidare quello che si è visto, scoperto e sperimentato con i propri prof. Oltre, il beneficio relativo si assottiglia. L’extra lavoro, inoltre, avrebbe effetti positivi sulle singole aree disciplinari indagate, non sul risultato complessivo della scuola: per questo contano di più la qualità dell’insegnamento e l’organizzazione delle scuole.
Il tempo dello studio
Qualche altro dato contenuto nell’indagine: si fanno più compiti alle superiori (dove è richiesto più studio individuale e spazi di riflessione), nelle scuole private, nelle aree urbane. E i ragazzi passano più tempo alla scrivania, che impegnati in attività complementari: sportive, ricreative, o in lezioni di ripetizione. Anche se il monte ore si riduce rispetto all’ultima rilevazione: nel 2003 la media di studio a casa era di 5,9 ore a settimana: una meno di oggi (tre in meno per Grecia, Ungheria, Slovacchia). Abitudini che cambiano probabilmente perché i ragazzi sono più assorbiti da computer e Internet. E perché sono diverse le priorità degli insegnanti.
Disparità
Il messaggio conclusivo dell’Ocse è che i compiti sono un aiuto per imparare di più e meglio, ma che possono rinforzare disparità socio-economiche. Le scuole e gli insegnanti dovrebbero dunque trovare il modo per incoraggiare studenti svantaggiati a completare i lavori assegnati, garantire la disponibilità di spazi adeguati se a casa non ce ne sono e spiegare ai genitori come motivare e sostenere i propri figli. «Senza però svalutare la scuola o sostituirsi ad essa, come tendono a fare alcune famiglie italiane che di fronte all’insoddisfazione dei figli risolvono dicendo: “non preoccuparti, ci pensiamo noi”».