Visite specialistiche, che caos

La circolare della Funzione pubblica impone l'uso dei permessi.
Ma la legge non dice così

di Antimo Di Geronimo, ItaliaOggi 15.4.2014

Monta la protesta dei lavoratori della scuola contro il divieto di utilizzare le assenze per malattia per le visite specialistiche e gli esami diagnostici. Divieto che è stato introdotto dalla Funzione pubblica, con la circolare n. 2 emanata il 17 febbraio scorso (si veda ItaliaOggi del primo aprile).

Secondo il dipartimento, l'articolo 4, comma 16-bis, del decreto legge 101/2013 precluderebbe ai dipendenti pubblici di imputare ad assenza per malattia quelle dovute a visite specialistiche ed esami clinici. E quindi, per questo genere di assenze, bisognerebbe utilizzare i permessi per motivi personali.

La questione ha suscitato un coro pressoché unanime di proteste, anche da parte dei sindacati. E sembrerebbe fondarsi su un equivoco, indotto dall'adozione di un criterio meramente letterale nell'interpretazione della disposizione contestata. La quale prevede che, quando si utilizza un'assenza per malattia per questo genere di motivi, il permesso debba essere giustificato con un'attestazione del medico o della struttura sanitaria. Ciò ha indotto la Funzione pubblica a ritenere che non si tratti di assenze per malattia, ma di permessi. E quindi, essendo il permesso per motivi personali l'unico utilizzabile in alternativa alle assenze per malattia, questa sarebbe l'unica soluzione possibile. Il ragionamento non fa una grinza, se non fosse per il fatto che l'intenzione del legislatore sembrerebbe diversa.

Leggendo la relazione illustrativa si scopre, infatti, che il comma 16-bis, altro non sarebbe se non «una modifica tecnica volta a stabilire che la giustificazione è da riferirsi al permesso richiesto e non all'assenza in quanto tale». In buona sostanza, dunque, ciò che deve essere dimostrato ai fini del diritto non è lo stato morboso (come nel caso delle assenze per malattia in senso stretto) ma il titolo (il permesso) che abbia determinato l'insorgenza del diritto. Nel caso specifico: la sottoposizione ad una visita specialistica o ad un esame clinico. I cui esiti potrebbero anche essere negativi. E quindi, siccome il dipendente che dovesse sottoporsi a visite o esami potrebbe anche risultare sano come un pesce, la giustificazione non può consistere in un certificato medico che accerti l'esistenza dello stato patologico (come nelle assenze per malattia in senso stretto). Di qui la necessità della semplice attestazione del medico che lo abbia visitato oppure della struttura sanitaria dove sia stato sottoposto ad accertamenti. Fin qui l'interpretazione delle parole.

Ma ci sono anche aspetti più complessi da considerare, quali le necessità dei lavoratori affetti da gravi patologie, che ,anche quando sono abili al lavoro, necessitano di continui accertamenti e conseguenti visite specialistiche per il dosaggio dei farmaci salvavita. Si pensi, per esempio, ai diabetici o ai malati di cancro. In questi casi, i controlli e le visite possono essere anche molto frequenti. E quindi, i permessi per motivi personali sono assolutamente insufficienti. D'altra parte, una lettura costituzionalmente orientata del comma 16-bis non potrebbe prescindere dal considerare che il diritto alla salute sia un diritto fondamentale. Che non può essere compresso senza determinare l'illegittimità costituzionale della norma così interpretata. Insomma, una bella gatta da pelare per il ministro Maria Anna Madia, chiamata a dirimere una questione emersa a causa di una circolare che porta la firma del suo predecessore Gianpiero D'Alia. E che, considerati gli interessi in gioco, rischia di scatenare un contenzioso di enormi proporzioni.