Sostegno alle superiori, ItaliaOggi 15.4.2014 I trasferimenti dei docenti di sostegno delle superiori si faranno ad aree unificate. Già da quest'anno. Senza tenere conto dell'area di appartenenza del docente interessato, un po' come avviene con gli insegnanti di sostegno delle scuole medie. É l'effetto dell'entrata in vigore delle disposizioni contenute nell'articolo 15, comma 3-bis della legge 128/2013: la norma che prevede l'unificazione delle aree del sostegno alle superiori. Che non fa sconti nemmeno alla mobilità del personale di ruolo, che già da quest'anno sarà uti- lizzato sulle sedi scolastiche richieste senza tenere conto della suddivisione in aree disciplinari (AD01, AD02, AD03, AD04). E quindi, per evitare l'insorgenza di ulteriore contenzioso, i rappresentanti dell'amministrazione e dei sindacati della scuola, il 7 aprile scorso hanno dovuto riaprire il contratto sulla mobilità sottoscritto il 26 febbraio ed hanno dovuto riscrivere l'articolo 30: la clausola negoziale che regola i movimenti dei Cocenti di sostegno delle superiori. La nuova stesura, che ha preso la forma della sequenza contrattuale (un accordo aggiuntivo che sostituisce una parte di un contratto già in vigore) dispone che i movimenti avverranno senza tenere conto dell'area di appartenenza del docente interessato. Ma la Dos (dotazione organica di sostegno) resterà comunque in piedi. Soltanto che non sarà suddivisa in aree. I docenti che vi saranno inclusi saranno collocati tutti in una mega-area derivante dalla fusione delle 4 aree originarie. Pertanto, il docente che otterrà il trasferimento non sarà contestualmente assegnato ad una sede di titolarità. Ma dovrà presentare, come ogni anno, la domanda di utilizzazione. In quella fase l'amministrazione precederà ad assegnargli una sede di servizio. Sede della quale non acquisterà la titolarità. In buona sostanza, dunque, l'unica novità è costituita dal fatto che l'organico non sarà più suddiviso in 4 compartimenti stagni (le aree). E quindi i docenti potranno concorrere all'assegnazione di una sede a pre-scindere dall'area di appartenenza. Per esempio, un docente di educazione fisica, attualmente inquadrato nell'area AD04, dal 1° settembre prossimo potrà essere collocato, indifferentemente, su un qualsiasi posto di sostegno. A prescindere dal fatto che il posto sia qualificato in organico in un'area diversa da AD04. Fino all'anno in concorso, invece, l'insegnante appartenente all'area ADO4 poteva concorrere solo per posti disponibili nella stessa area (AD04) e non per tutte 4 le aree (AD01,AD02,ADO3 o AD04). L'effetto immediato sarà quello di agevolare i trasferimenti interprovinciali dei docenti appartenenti alle aree dove ci sono meno posti. Tra cui proprio l'area AD04. Fermo restando che il trasferimento sarà comunque sulla Dos. Vale a dire senza attribuzione di una sede di titolarità. E questa situazione potrebbe determinare l'insorgenza di contenzioso. L'unificazione delle aree, infatti, rende la situazione giuridica dei docenti delle superiori in tutto analoga a quella dei docenti di sostegno delle medie. Che a differenza dei colleghi delle secondarie di II grado, partecipano regolarmente ai trasferimenti partendo da una sede di titolarità e, in caso di esito positivo, ottengono una nuova sede di titolarità. Esattamente come avviene per i docenti delle classi di concorso. Resta il fatto, però, che l'art.15, comma 3-bis della legge 128/2013 contiene una disciplina transitoria che riguarda le assunzioni ein qualche misura si collega anche agli effetti della mobilità a domanda. Perché dispone che la suddivisione in aree degli organici del sostegno debba continuare ad essere utilizzata per le graduatorie a esaurimento e per i docenti inseriti negli elenchi tratti dalle graduatorie di merito dei concorsi banditi fino ad ora (per i nuovi concorsi la collocazione avverrà ad aree unificate). E a questo proposito, la bozza di accordo siglata il 7 aprile prevede che i posti residuati dalle operazioni di mobilità saranno ripartiti proporzionalmente alle disponibilità iniziali di ciascuna area.
Fonte: Italia Oggi Monta la protesta dei lavoratori della scuola contro il divieto di utilizzare le assenze per malattia per le visite specialistiche e gli esami diagnostici. Divieto che è stato introdotto dalla Funzione pubblica, con la circolare n. 2 emanata il 17 febbraio scorso (si veda ItaliaOggi del primo aprile). Secondo il dipartimento, l'articolo 4, comma 16-bis, del decreto legge 101/2013 precluderebbe ai dipendenti pubblici di imputare ad assenza per malattia quelle dovute a visite specialistiche ed esami clinici. E quindi, per questo genere di assenze, bisognerebbe utilizzare i permessi per motivi personali. La questione ha suscitato un coro pressoché unanime di proteste, anche da parte dei sindacati. E sembrerebbe fondarsi su un equivoco, indotto dall'adozione di un criterio meramente letterale nell'interpretazione della disposizione contestata. La quale prevede che, quando si utilizza un'assenza per malattia per questo genere di motivi, il permesso debba essere giustificato con un'attestazione del medico o della struttura sanitaria. Ciò ha indotto la Funzione pubblica a ritenere che non si tratti di assenze per malattia, ma di permessi. E quindi, essendo il permesso per motivi personali l'unico utilizzabile in alternativa alle assenze per malattia, questa sarebbe l'unica soluzione possibile. Il ragionamento non fa una grinza, se non fosse per il fatto che l'intenzione del legislatore sembrerebbe diversa. Leggendo la relazione illustrativa si scopre, infatti, che il comma 16-bis, altro non sarebbe se non «una modifica tecnica volta a stabilire che la giustificazione è da riferirsi al permesso richiesto e non all'assenza in quanto tale». In buona sostanza, dunque, ciò che deve essere dimostrato ai fini del diritto non è lo stato morboso (come nel caso delle assenze per malattia in senso stretto) ma il titolo (il permesso) che abbia determinato l'insorgenza del diritto. Nel caso specifico: la sottoposizione ad una visita specialistica o ad un esame clinico. I cui esiti potrebbero anche essere negativi. E quindi, siccome il dipendente che dovesse sottoporsi a visite o esami potrebbe anche risultare sano come un pesce, la giustificazione non può consistere in un certificato medico che accerti l'esistenza dello stato patologico (come nelle assenze per malattia in senso stretto). Di qui la necessità della semplice attestazione del medico che lo abbia visitato oppure della struttura sanitaria dove sia stato sottoposto ad accertamenti. Fin qui l'interpretazione delle parole. Ma ci sono anche aspetti più complessi da considerare, quali le necessità dei lavoratori affetti da gravi patologie, che ,anche quando sono abili al lavoro, necessitano di continui accertamenti e conseguenti visite specialistiche per il dosaggio dei farmaci salvavita. Si pensi, per esempio, ai diabetici o ai malati di cancro. In questi casi, i controlli e le visite possono essere anche molto frequenti. E quindi, i permessi per motivi personali sono assolutamente insufficienti. D'altra parte, una lettura costituzionalmente orientata del comma 16-bis non potrebbe prescindere dal considerare che il diritto alla salute sia un diritto fondamentale. Che non può essere compresso senza determinare l'illegittimità costituzionale della norma così interpretata. Insomma, una bella gatta da pelare per il ministro Maria Anna Madia, chiamata a dirimere una questione emersa a causa di una circolare che porta la firma del suo predecessore Gianpiero D'Alia. E che, considerati gli interessi in gioco, rischia di scatenare un contenzioso di enormi proporzioni. |