L’OBBLIGO DELLA SCUOLA/IL DIBATTITO DEGLI SCRITTORI

Le vostre proposte per la scuola/2

Via un anno dalle superiori, stupire i ragazzi alla scoperta della letteratura,
inventarsi un’aula speciale. E i genitori? fuori dalla scuola

 Il Corriere della Sera scuola 24.4.2014

Essere europei, tagliare un anno alle superiori

Sarebbe necessario uniformare gli anni della scuola superiore agli altri Paesi europei, pertanto non più 5 anni ma 4. Questo permetterebbe ai nostri ragazzi di entrare nel mondo del lavoro alla stessa età degli altri ragazzi europei e non un anno dopo. Inoltre sarebbe un gran risparmio di denaro pubblico.

Federica Pinna Berchet


Valorizzare i prof per insegnare l’italiano agli stranieri

Ho letto con interesse l’articolo di Eraldo Affinati su La Lettura e – da insegnante di scuola secondaria in contesti altrettanto multietnici e problematici – mi sono ritrovata in molte delle sue osservazioni. Tra le tante cose messe sul tavolo da Affinati, trovo apprezzabile che la redazione abbia scelto di sottolineare e richiamare con titoletto e articolo laterale proprio il problema della necessità di realizzare o potenziare nelle nostre scuole i laboratori dedicati all’insegnamento dell’italiano L2. Non ho invece apprezzato molto il fatto che l’articolo laterale si concentrasse su una scuola di insegnanti volontari e che avesse nel titolo l’espressione “Il modello”, anche se immagino che tale scelta sia legata al fatto che è proprio Affinati ad aver fondato tale scuola. Se si discute di problemi della scuola dell’obbligo, per favore, si rimanga all’interno di questa. Perché andare a proporre al pubblico di lettori il modello, per quanto virtuoso, di una scuola formata da volontari? Per confermare che non ci sono fondi per pagare gli insegnanti di laboratori interni alla scuola e quindi la soluzione è esternalizzare e chiedere a professionisti di buon cuore prestazioni di lavoro gratuito? Per rinsaldare l’opinione fin troppo diffusa che il fare l’insegnante è una missione e non un lavoro con una sua professionalità che deve essere riconosciuta e valorizzata anche economicamente? Perché non denunciare invece il fatto che ci sono oggi tante persone che hanno non solo esperienza ma anche preparazione e buoni titoli culturali (si pensi ad esempio alla certificazione Ditals dell’Università di Siena o a tanti master seri che oggi vengono erogati – a caro prezzo – da varie Università) per l’insegnamento specifico dell’italiano L2/LS e che faticano a far riconoscere la propria professionalità proprio nel mondo scolastico? Perché non denunciare il fatto che nel nostro attuale sistema di reclutamento del personale docente manca del tutto la classe di concorso (quindi la stabilizzazione e l’uniformazione dei percorsi di formazione, la possibilità di un’abilitazione riconosciuta a livello ministeriale, la possibilità di inserirsi in graduatorie specifiche e quindi di lavorare anche nelle scuole statali come docenti a pieno titolo) di italiano L2/LS? Perché non denunciare che si parla tanto di scuola multiculturale e merito e aggiornamento e poi nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti i titoli culturali (non master) come il Ditals fino ad ora non sono stati mai contemplati o valorizzati?

Roberta Quattrin


Il liceo di quattro anni e niente bocciati

Fare quattro anni di liceo come tanti altri Paesi ed eliminare le bocciature

Ghidon Livian


Un biscotto per imparare la Commedia

Suona la campanella, entri in classe, solito, i libri, i registri e un piccolo involto. Fai in modo di non farlo notare. Buongiorno ragazzi! Buongiorno, prof! Se c’è un piccolo ripiano sotto la cattedra (qualche modello ne ha), lo metti lì, al riparo. Se no, quando ti siedi, con nonchalance lo nascondi un po’ dietro i libri, coperto dalla borsa, ora artatamente sulla cattedra. È importante. Un piccolo rito. Che avviene con un libro speciale, con un autore amatissimo. Da qualche parte hai letto che nella tradizione ebraica talvolta l’inizio dello studio della Torah è inaugurato da dolci lettere dell’alfabeto, coperte di miele, offerte agli allievi. Allora puoi farlo anche tu, lo farai con Dante (o con Saffo, con Eschilo, con Catullo, con Seneca, con Cervantes, con Shakespeare, con Leopardi, con Kafka, con Ungaretti etc. etc., insomma con uno di quei libri che ti hanno profondamente toccato, che ti hanno fatto ridere, piangere, pensare, meravigliare, stare silente e che, naturalmente, conosci alla perfezione e su cui ha letto tutto). “Ragazzi la Commedia può cambiarvi la vita, e in qualunque caso vi nutrirà. La amerete, e, comunque, qualcosa vi lascerà, e poi la ritroverete, la rileggerete. C’è dentro la vita, la morte, la passione, l’amore più nero e quello più spirituale, il dolore, il male, la gioia, la luce, la bellezza, la follia, la cura, l’amicizia, la domanda su Dio, su se stessi, l’immaginazione, la natura, gli abissi e le altezze… La Commedia è così, ti entra dentro, ti fa crescere, ed è cibo per il tuo cuore, per la tua mente”. Loro ti guardano, presi, meravigliati, ed è qui che recuperi, con destrezza prestidigidatoria, il tuo involto. Lo scarti. I tuoi biscottini presi nella miglior pasticceria della zona, o fatti da te se hai pure di queste arti (non è il mio caso). Anche se non sono a forma di lettera sono cibo dolce e prelibato. “Ecco per simboleggiarvi questo, per farne esperienza, adesso passo tra i banchi e ne prendete uno. Aspettate però a mangiarlo, vi raccomando”: E loro sorridono, sorpresi, divertiti, anche con un sottile imbarazzo. Bello. “Questa ve la ricordate fin che campate. Ora potete mangiare…”. E si gusta insieme il biscotto e subito dopo il testo, la spiegazione, la passione che circola… Beh, si capisce, credo. La piccola proposta è questa, la grande svolta è sottomano ogni giorno. La ricchezza è davanti ai nostri occhi... Dove?, ancora vi state domandando un po’ perplessi. Ma qui, davanti a noi, è la letteratura. E la modesta proposta è questa appunto: di spiegarla ai ragazzi e soprattutto di leggerla e viverla con loro per quello che è: una straordinaria avventura umana, che continuamente ci parla di noi, della nostra interiorità, delle nostre aspirazioni, delle nostre ombre, dei nostri amori, dei nostri slanci e delle nostre cadute… Non la si può tradire sempre con i riassunti, le schede-libro (ormai per lo più scaricate da internet), le note iper-dotte e sideralmente lontane, le analisi fredde e formalistiche, i test a crocette tipo Invalsi. La letteratura è realtà, è sogno, è liberazione. E di questo (anche) hanno bisogno i nostri giovani, e noi con loro. La letteratura parla di modificare l’esistente, di rimmaginarlo. Quanto c’è bisogno di questo nei tempi di crisi dove ti si sussurra quasi ovunque che non c’è alternativa! Il futuro si fa solo incerto. E con la letteratura, anche con lei, lo riapri. Allora si può fare esperienza, insieme, che la letteratura in primo luogo non è soltanto erudizione, ma attenzione, dedizione, auscultazione, conoscenza del mondo e di sé. È bellezza. Rigore e passione. Certo non disprezziamo le nozioni: esse sono necessarie, ma non sono l’essenza. L’essenza è il risveglio. E allora dobbiamo avere fatto esperienza noi dello studio (e della letteratura) come risveglio. E così passarla ai giovani, accenderli del fuoco del risveglio. E questo deve favorire la scuola, questo l’insegnamento di Socrate, Dante, Tasso, Manzoni, Baudelaire, Rimbaud, Kierkegaard, Nietzsche, Bergson, Joyce, Jung, Montale, Luzi, per citare alcuni “spiriti magni” (tra tanti altri possibili). Questo bussare alle menti alle anime alle potenzialità dei nostri giovani, perché il tutto ha bussato e bussa in noi e attraverso di noi si manifesta. È il richiamo al “vai verso di te”, ben presente nella letteratura, nella filosofia, nei grandi miti, nei simboli di molte tradizioni religiose, se noi sappiamo scorgerlo, viverlo e attivarlo. Un vai verso di te che è anche un vai verso l’altro, verso l’esterno, verso la vita che è dentro e fuori di te. Allora se parlo della Gerusalemme Liberata di Tasso, non tralascerò tutte le informazioni utili a comprendere il testo, spiegherò il contesto storico-culturale nel quale l’opera è nata, come si relaziona ad altri scritti dell’autore, quali sono le sue fonti. Massima diligenza. Ma non mi basterà questa ricognizione. Infatti, quando Rinaldo combatte contro la selva incantata, che sgomina tutti i cavalieri ed impedisce la loro missione, il poeta descrive un vero e proprio viaggio interiore. L’eroe affronta le sue ombre i suoi fantasmi le sue angosce, per maturare, crescere, divenire ciò che è. Lì è il richiamo, lì la possibilità del risveglio, lì l’essenza dell’opera da far scoprire e vivere. Possiamo insegnare Platone senza citare l’ultima riga della Lettera XIII: “Sii te stesso”? Anche nella quotidianità difficile e sfiancante dell’aula possiamo ancora aprire brecce, parlare di letteratura come fosse la prima volta: non disperdere nulla del patrimonio didattico, se è saggio, ma farne soprattutto un’avventura esistenziale, un’esperienza di bellezza. Gli scrittori tornano così quello che sono: uomini, amici, compagni di viaggio…

Gianni Vacchelli


Via i genitori dalla scuola, basta ricorsi al Tar

Mi chiamo Antonia Bertoni, ho quasi 61 anni, insegno da 40 anni nella scuola secondaria di primo grado e dovrei andare in pensione il 1 settembre 2015. Dopo aver letto l’ articolo di Paolo Giordano su “La Lettura” di ieri mi permetto di suggerire alcune proposte dividendole tra Riforme urgentissime e Riforme urgenti. RIFORME URGENTISSIME •Restituire ai docenti il prestigio del ruolo che ricoprono. Come? Con una riforma a costo zero, cioè quella di consentire ai genitori di entrare a scuola solo ed esclusivamente per i colloqui con i docenti. Andrebbero eliminati i consigli di classe aperti ai genitori, così come la loro presenza nei consigli di Istituto. Illuminante l’ intervento in proposito della scrittrice Susanna Tamaro; •Impedire per legge i ricorsi ai vari Tar per bocciature o valutazioni ritenute “inadeguate” dai genitori degli studenti; •Sostituire le attività di formazione dedicate alla didattica, alla pedagogia e a tutto quanto è legato alla metodologia con giornate di formazione dedicate ai contenuti: paradossalmente si sa tutto sugli stili di apprendimento, sulle unità di apprendimento, sulla differenza tra abilità e competenza, ma poco o nulla sui grandi temi (che in passato si chiamavano contenuti) previsti anche dalle Indicazioni Nazionali; •Nonostante i media abbiano sempre sostenuto che la scuola primaria sia il “Fiore all’ occhiello” del nostro ordinamento scolastico, il sociologo Luca Ricolfi, in un articolo pubblicato alcuni anni fa, metteva in guardia gli addetti ai lavori affermando che non era affatto vero che la stessa fosse perfetta. Il suo intervento non fu proprio preso in considerazione. In realtà questo ordine di scuola può essere definito un vero e proprio “Progettificio”e i docenti sono sempre pronti ad accogliere gli inviti alle iniziative di ogni tipo pensando di non essere all’ altezza dei tempi nel caso in cui declinassero tali inviti. RIFORME URGENTI •I docenti devono essere i primi a non confondere “i mezzi” con “i fini”; va da sé che la tecnologia, importante per le attività didattiche, deve essere considerata un mezzo. In proposito tutti gli insegnanti dovrebbero essere obbligati a leggere il libro di Manfred Spitzer - Demenza digitale - in cui lo psichiatra tedesco mette in guardia gli adulti riguardo all’ utilizzo indiscriminato delle nuove tecnologie. Il tutto supportato da studi autorevoli; •Snellire gli adempimenti burocratici, eliminare quelli inutili. Ogni giorno nelle segreterie delle scuole arrivano richieste di monitoraggio di ogni tipo a cui gli addetti devono rispondere. Peccato che i risultati di tali monitoraggi - quasi mai interessanti- non vengano mai comunicati; •Il discorso della condivisione, come “supremo mezzo democratico” ha portato i docenti a sentirsi sempre e comunque tutelati dal fatto di aver assunto decisioni in gruppo; è urgente trovare il modo di restituire ad ogni insegnante la sua responsabilità specifica; •Impedire alle famiglie di ricorrere ai Servizi del territorio per ottenere comode certificazioni di presunti problemi di apprendimento dei rispettivi figli. Negli ultimi anni non si riesce più a lavorare sulla cosiddetta “normalità”. Colgo l’ occasione per ringraziare il Corriere della Sera e Paolo Giordano per aver pensato a questa importante iniziativa.

Antonia Bertoni


La mia aula di francese in un mondo che no esiste

Ho letto con vero piacere l’articolo di Paolo Giordano e di Eraldo Affinati. Sono un’insegnante di lingua francese nella “scuola media” nata nel 1952…… Ho sempre lavorato tanto e con passione. Dal mio piccolo angolo (2 ore alla settimana di lingua francese in 9 classi. Ho iniziato la mia carriera nel tempo prolungato e di classi ne avevo 3!) propongo alcune riflessioni. Controllate i manuali di francese. Sono costruiti per un curricolo di almeno 5 ore la settimana. Nel mio caso perciò i programmi andrebbero reimpostati e anche alleggeriti. Non è possibile scegliere, per un insegnante di L3, dei testi come in un’antologia. Se si può operare una scelta sul lessico e (non sempre) sulle funzioni non puoi decidere di “saltare” il verbo être o la formazione del plurale, o la forma negativa. Tra i tanti libri consultati non ne ho trovato uno che facesse i conti con la dura realtà: e allora vai con il passivo, il gerundio, la forma ipotetica e via dicendo….. Dimenticavo di aggiungere che tutto ciò deve essere inserito in quel contesto che così bene ha descritto Eraldo Affinati. Ricapitolando: i libri di testo devono essere rimodulati su obiettivi raggiungibili e non su un mondo che non esiste. P.S. mia sorella insegnante di lettere in pensione segue in maniera volontaria, nel pomeriggio, da ottobre, quattro alunni, due senegalesi e due cinesi (in due giorni separati ovviamente).Inutile aggiungere che la scuola non ha le risorse necessarie per un insegnante che al mattino, durante le lezioni, aiuti loro a decifrare dei termini, assolutamente elementari, ma -specie per i ragazzi cinesi- del tutto incomprensibili. E’ da anni che mi sono costruita la mia aula di francese. Solo in questo anno scolastico è la bidella che provvede alla pulizia. Per tanti anni ci ho pensato io...

Anna Miglior


Il dovere di riscoprire il piacere della scuola

Ma se ci fermiamo un attimo a pensare , a quanti di noi piaceva andare a scuola ? Credo a pochi o nessuno, perché era sicuramente meglio uscire a giocare all’ aperto o distrarsi con qualsiasi altra cosa meno noiosa delle spiegazioni dei maestri / professori e dei compiti. Quando siamo cresciuti alcuni di noi sono diventati genitori e magari anche insegnanti , quante volte abbiamo provato a ripensare come eravamo da studenti ? Credo poche. Scommetto che ci ritroveremmo in sintonia con i pensieri ed i comportamenti di molti ragazzi che ora sono i nostri figli o i nostri alunni. Il piacere di andare a scuola, il piacere di studiare è un qualcosa che per pochi è innato; per tutti gli altri può e deve essere coltivato fin dai primi anni di vita. I responsabili della buona riuscita di questo processo sono gli adulti in qualità di genitori e di insegnanti. Sono convinto che se ognuno si impegnasse al meglio nel proprio ruolo, ci sarebbero molti più alunni amanti della scuola. Perché la scuola non deve essere un ambiente deprimente e soffocante, dove stai male appena entri e non vedi l’ora che suoni la campanella dell’ultima ora per uscire. E’ vero, la scuola è e deve essere un posto in cui si studia, ma non solo. Prima di tutto c’è modo e modo per studiare, si può studiare ed apprendere anche divertendosi. Qualsiasi lezione, di qualsiasi materia, può diventare più attraente e interessante, dipende dal modo in cui viene fatta ed i risultati in termini di attenzione e apprendimento cambiano. Comportamenti negativi in classe portano a degli insuccessi diffusi tra gli alunni e non giovano alla produttività. Spesso si riscontrano metodi errati come : - insegnanti che iniziano ad urlare all’ inizio della lezione e smettono alla fine. A quale scopo? Loro si difendono dicendo che se non fanno così, la classe non li ascolta perché è una classe di caotici e ribelli. Io, invece, credo che l’insegnante non ha la capacità di gestire la classe e tenta di farsi rispettare alzando la voce, ma in questo modo non ottiene il rispetto desiderato. - insegnanti che fatta la lezione, si sentono a posto con la coscienza perché il loro dovere lo hanno fatto, ma non si chiedono se quello che hanno spiegato è stato capito. Tutti dobbiamo riscoprire il piacere di andare a scuola, a partire dagli insegnanti.

Stefano Mangili