OCSE-PISA 2012 Il computer a scuola? Da solo non basta
L’esperto: «Difficoltà crescenti, strategie,
tattiche d’azione: così il computer di Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera scuola 2.4.2014
Il computer in classe non è per tutti. E non per tutti è utile. Lo
dicono i dati Ocse, nel capitolo dell’indagine dedicato alle nuove
tecnologie a scuola, il cui impatto varia da Paese a Paese. Intanto
la disponibilità: in classe lo usano in media il 72% degli scolari;
meno del 50% a Shanghai, Corea, Turchia e Uruguay; più di 9 su 10 in
Olanda, Australia e Norvegia. Ma non ci sono relazioni univoche e
dirette con questi dati. Il rapporto tra uso del computer a scuola e
abilità di problem solving è positivo in 11 casi (Olanda, Australia,
Norvegia, Svezia, Slovacchia, Serbia, Shanghai, Taipei, Spagna e
Belgio); negativo in sei (Israele, Uruguay, Singapore, portogallo,
Danimarca, Estonia); irrilevante in 16, fra i quali l’Italia.
Diverso il dato statistico che analizza la situazione tra le mura
domestiche, dove quasi tutti gli adolescenti (il 95%), possono
contare su pc o laptop. Non però, a sorpresa, quelli che vivono in
Giappone (in casa ne hanno uno a disposizione l’81,4%) e Shanghai
(85,5%); o in Corea (83%) e Cile (87%).
Insomma, usare un computer a casa fa bene e a scuola così-così?
Alfonso Molina, direttore scientifico della Fondazione Mondo
Digitale e professore di Strategie delle Tecnologie all’Università
di Edimburgo (Uk) non è sorpreso: «Intanto dipende dall’utilizzo che
gli insegnanti fanno delle tecnologie: se per spingere i ragazzi a
fare scoperte, a sviluppare pensiero astratto, capacità di
suddividere i problemi e cercare risposte; in questo caso avranno
risultati soddisfacenti. Non altrettanto se il pc è uno strumento
alternativo alla carta e alla penna per fare lezioni tradizionali».
Molina è però convinto che «basta uno schermo di computer ad aprire
una finestra gigantesca sul mondo della conoscenza, ad allargare la
mente». «Extended mind», dice la teoria cognitiva. Ma, anche senza
scomodarla, bastano la pratica e l’evidenza a dimostrare che
l’accesso alle tecnologie apre spiragli ad esperienze e saperi che,
senza, non sarebbero possibili.
E secondo l’esperto, dall’ultimo test Ocse-Pisa, l’analisi sul «problem
solving» aiuta a capire che la dimestichezza con il computer aiuta i
ragazzi: apre la mente, insegna a procedere con invenzione,
tentativi ed errori, intuizione. In questo i 15enni italiani sono in
gamba, ma non sono i soli: in 29 paesi su 33 l’uso del pc,
costituisce un vantaggio relativo quando si tratta di affrontare i
problemi della vita reale e di trovare soluzioni.
Certo, non solo il tempo trascorso in rete: «per imparare e trarre
ispirazione è importante anche ciò che si fa - dice Molina - un
videogioco eccita i ragazzi e la sua struttura a livelli aiuta a
puntare a difficoltà crescenti, a mettersi alla prova in compiti
sempre più complessi». «Bene anche i giochi di attacco o di guerra,
per sviluppare tattiche d’azione, allenarsi a prendere rapidamente
decisioni efficaci». Meglio poi se si usano anche videogame come «Minecraft»
- un gioco di immaginazione e costruzione -, o come «Gravity» - che
richiede di imparare ed applicare elementi della fisica, senza i
quali non si procede. Non sono il pc o la Lim, insomma, a stimolare un approccio creativo o geniale alla soluzione dei problemi, ma l’intero impianto della didattica. «Non si arriva a dominare una difficoltà, a trovare una strategia alternativa perché si batte la soluzione su una tastiera, ma grazie a insegnanti illuminati, che sanno applicare in ottica interdisciplinare abilità di classificazione di situazioni problematiche e capacità di risolvere problemi-tipo analoghi», dice. E se è vero che alla scuola non serve un computer per insegnare ad affrontare un problema, gli insegnanti sono però chiamati, secondo l’esperto, a una grande sfida: «trasformare il loro modo di stare in classe, essere sempre più direttori d’orchestra, consulenti per gruppi di ragazzi che lavorano insieme e imparano». Anche a raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data». «Questo è - afferma - insegnare a “risolvere i problemi”». |