Emma Castelnuovo:
come la matematica entra nella realtà della vita
Ricordare Emma Castelnuovo significa guardare la
matematica con i suoi occhi e quindi farne lo strumento per legarsi
alla realtà della vita. E come scriveva il suo amico Hans
Freudenthal, la matematica è un compito educativo per menti che
devono crescere, diventare adulte e pienamente umane. Così Emma
Castelnuovo ha insegnato e vissuto
di Raimondo Bolletta,
Education 2.0 15.4.2014
Non amo i necrologi, né le celebrazioni ma le feste sì. Di Emma a un
giorno dalla morte non posso che parlare emotivamente, spero però
con il tono della festa per una persona che mi ha dato molto, che ha
dato molto ai sui allievi e che ha dato molto all’umanità.
La prima volta che sentii parlare di Emma fu durante il corso di
Algebra astratta da parte del suo grande amico Lucio Lombardo Radice
il quale ci indicò questa professoressa della scuola media “Tasso”
come un esempio da seguire se si voleva diventare docenti di
matematica.
Al terzo anno di università ritrovai il suo libro “Didattica della
matematica” nella bibliografia del corso di pedagogia di Aldo
Visalberghi e alla fine fui ammesso, dopo una selezione formale di
una commissione presieduta da Bruno de Finetti, a seguire la sua
didattica in classe.
Il primo appuntamento fu alle 7,30 al “Tasso” in sala docenti, lei
arrivava a quell’ora perché nulla era improvvisato.
Un portamento aristocratico ma austero ed esigente, nessun cedimento
al volemose bene, un rapporto rassicurante e discreto con i
ragazzetti che popolavano le sue classi, ma anche con noi studenti
universitari dell’ultimo anno, che eravamo lì a preparare la nostra
tesi orientata alla didattica.
Quell’anno fui fortunato perché lei decise di realizzare per la prima
volta un’esposizione dei ragazzi, un evento in cui i ragazzi
dovevano spiegare agli adulti, ai genitori ma anche ad altri docenti
la matematica che avevano appreso nelle sue classi. C’era in quella
scelta una motivazione pedagogica, era coerente con una visione
attiva e comunicativa dell’apprendimento: sei realmente competente
se sai parlare delle cose che sai fare, ma c’era anche una
motivazione più “politica”.
La sua didattica faticava a essere accettata in un momento in cui la
“nuova matematica moderna” tendeva a privilegiare l’approccio
astratto della formalizzazione algebrica, secondo la scuola
francese. Così a quella mostra invitò anche molti suoi amici della
CIEAEM, la commissione che costituiva un cenacolo internazionale di
docenti universitari e d’insegnanti di scuola sull’insegnamento
della matematica.
Doveva far vedere a tutti cosa era possibile fare in classe, quanto
i ragazzi potessero apprendere, come potessero crescere e diventare
grandi cimentandosi in un apprendimento difficile ed esigente come
quello matematico.
Aprire le porte del Tasso serviva anche a mostrare che quella non
era una scuola speciale per figli di professionisti, ma una scuola
statale aperta a tutti.
Tre anni più tardi l’esposizione fu replicata e molti materiali
prodotti per quell’occasione finirono in un libro dal titolo “La
matematica nella realtà”. Quel titolo è rimasto la sintesi più usata
per definire la didattica della matematica di Emma Castelnuovo.
Solo durante la festa per i 100 anni ho capito più a fondo il
significato di quello slogan, non voleva dire solo matematica meno
formale, matematica meno astratta, matematica più motivante, più
applicata e applicabile, meno zeppa di esercizi ripetitivi, più
interessante, più utile, meno imposta, meno imparata mnemonicamente,
più amata, meno subita, meno pura e più sporca e più legata ai
problemi. Significava una scelta più vitalmente profonda, per lei la
matematica era lo strumento per legarsi alla realtà della vita, il
contrario della fuga dell’astrazione elitaria, il radicamento
nell’umanità degli intelligenti, dei meno intelligenti, dei ricchi e
dei poveri.
Come scriveva il suo amico Hans Freudenthal, la matematica come
compito educativo per menti che devono crescere, diventare adulte e
pienamente umane.
La sua didattica così intrisa di realtà e permeata di umanità, veniva
da lontano dal suo milieu familiare, il padre era Guido Castelnuovo,
lo zio era Federico Enriques e si era purificata nel crogiolo della
persecuzione razzista del nazifascismo.
Cominciò a insegnare nella scuola clandestina per ebrei a Roma, per
tutta la vita ha sentito vivo quel trauma come l’abisso in cui può
piombare l’umanità se perde la luce della ragione e della
solidarietà.
Ricordo con emozione che guidavo quando nel 1976 andammo in
carovana, con varie macchine, a Karlsrhue. Era la prima volta che
Emma Castelnuovo metteva piede in Germania dopo la guerra, fu un
trauma contenuto e nascosto di cui percepimmo però il peso in
piccole cose che noi nati dopo la fine della guerra non ne capivamo
il significato.
Solo nella festa dei 100 anni ho capito perché era innamorata ed
entusiasta dei suoi amici belgi, dell’ercole Decroly e del geometra
Paul Libois, perché nutriva per l’accademia matematica italiana una
specie di orgogliosa diffidenza.
Quando in giro per l’Europa dilagarono le leggi razziste per
l’esclusione degli ebrei dagli incarichi pubblici l’Unione
Matematica Italiana sollecitò la messa a concorso dei posti lasciati
liberi dai professori ebrei che erano stati allontanati, mentre
l’analoga associazione belga decise le dimissioni in massa anche dei
docenti non ebrei. L’amico Paoul Libois, che aveva ispirato l’idea
dell’esposizioni di matematica visto che a Bruxelles le organizzava
ogni anno, era medaglia d’oro della resistenza.
Questa tempra, queste ferite nascoste, la portarono in Africa a
insegnare anche là la matematica era stato strumento di liberazione
e riscatto.
Nell’ultimo incontro, che avemmo io e Lucilla pochi giorni prima del
compleanno, restavano gli occhi vispi e pungenti, l’interesse per il
mondo e l’interesse per i giovani: “allora ditemi, cosa fanno i
vostri figli?”.
In occasione dei 100 anni l’Unione Matematica Italiana ha pubblicato
un numero speciale della sua rivista “La matematica nella società e
nella cultura”, dal titolo “Emma Castelnuovo l’insegnamento come
passione”.