L’evoluzione dell’insegnante di sostegno

In una sua interessante pubblicazione, intitolata appunto “L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva”, Dario Ianes continua a professare la sua piena convinzione nell’inclusione degli alunni con disabilità all’interno delle scuole comuni, purché tale processo si rinnovi. Salvatore Nocera analizza in profondità il libro, che spinge a riflettere sul futuro dell’inclusione, pur mettendone in discussione alcune proposte

di Salvatore Nocera*, Superando 15.4.2014

Recentemente il Centro Studi Erickson di Trento ha pubblicato l’interessantissimo volume L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva di Dario Ianes, presentato nei giorni scorsi dallo stesso Autore, anche tramite un video online.
Il volume di 159 pagine si apre con la lettera di un genitore sconfortato per la pessima inclusione del figlio con disabilità, ciò che lo ha indotto a iscriverlo ad una “scuola speciale”.
Ianes premette poi alla trattazione un capitolo in cui professa la sua piena convinzione nell’inclusione nelle scuole comuni, purché essa si rinnovi. Successivamente, quindi, viene sviluppata tale tesi, partendo dall’analisi di numerose ricerche, già pubblicate in precedenza da lui stesso, dalla Fondazione Agnelli [Rapporto intitolato “Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte”, pubblicato da Erickson, a cura dell’Associazione TreeLLLe e della Caritas Italiana, con il sostegno della Fondazione Giovanni Agnelli, N.d.R.], da Andrea Canevaro, Luigi D’Alonzo, Roberta Caldin e altre ancora, in cui vengono presentate, con dovizie di dati, le criticità attuali dell’inclusione scolastica in Italia, vale a dire fondamentalmente la delega del progetto inclusivo ai soli docenti per il sostegno da parte di quelli curricolari; l’emarginazione degli alunni con disabilità più complesse nelle cosiddette “aule di sostegno”; la crescente durata della giornata scolastica trascorsa in queste ultime, passando dagli Anni Settanta ad oggi. Tutti aspetti, questi, che sono certamente indicatori di un’inclusione mal riuscita o peggio ancora tradita.
Ianes ritiene in sostanza che tale inversione rispetto ai successi qualitativi iniziali dell’inclusione si debba al fatto di una mancata “evoluzione”, poiché le iniziative umane, se non si rigenerano, decadono. Sulla base dunque di questi risultati negativi e di tale constatazione riferita alla scienze umane, egli avanza la propria ipotesi di “evoluzione” della figura dell’insegnante per il sostegno, già proposta nella citata ricerca della Fondazione Agnelli, di cui il volume pubblica in appendice il capitolo essenziale. In questo saggio, però, la tesi viene esposta in modo più analitico e quindi più chiaro.

Ianes propone pertanto di rimandare nelle classi l’80% degli attuali 110.000 circa insegnanti per il sostegno. Mentre però nella ricerca della Fondazione Agnelli non si comprendeva se tali docenti dovessero tornare a fare i docenti curricolari, nel presente volume è chiaramente detto che essi dovrebbero tornare a farlo, in compresenza con i precedenti colleghi curricolari che aiuterebbero a coinvolgere nell’inclusione. Il restante 20%, invece (circa 20.000) formerebbero dei “gruppi di esperti”, superspecializzati, itineranti per una serie di scuole (circa dieci classi a testa visitate mediamente una volta alla settimana), come supervisori periodici.
Anche su questi gruppi il volume di Ianes è più chiaro rispetto alla proposta contenuta nella ricerca della Fondazione Agnelli, laddove si prevede addirittura che essi dovrebbero assumere personalità giuridica, con un’indipendenza piena o quasi dall’Amministrazione Scolastica Regionale.
Segue poi un capitolo con riflessioni conclusive circa la formazione dei docenti curricolari, per la quale l’Autore rinvia a uno scritto pubblicato anch’esso in appendice, relativo a uno studio dell’Agenzia Europea per l’Inclusione Scolastica.

Il libro è assai stimolante perché invita quanti credono nell’inclusione scolastica – compreso chi scrive – a un’autocritica serrata, mettendoli (mettendoci) di fronte alle effettive degenerazioni oggi abbondantemente comprovate.
La soluzione è vista nella piena realizzazione del principio di personalizzazione che dovrebbe riguardare non solo gli alunni con disabilità, e nemmeno solo i “nuovi aggiunti”, cioè quelli certificati o individuati con altri BES (Bisogni Educativi Speciali), ma tutti gli alunni. A ciò dovrebbero contribuire i due contingenti di ex insegnanti per il sostegno, la maggior parte dei quali distribuendosi nelle classi come organico funzionale, non più, quindi, legato alle certificazioni sanitarie, ma secondo i criteri dell’ICF [Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], mentre il contingente più piccolo farebbe  da sostegno superspecializzato permanente a quest’opera di disseminazione personalizzata.

La prima delle due ipotesi è certamente affascinante, specie per chi, come me, ha duramente criticato negli ultimi anni la delega totale ai soli docenti per il sostegno, con conseguente serie “alluvionale” di decisioni dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), che assegnano ore di sostegno, quando i docenti curricolari abbandonano in fondo alla classe (o peggio nella cosiddetta “aula di sostegno” o in corridoio) gli alunni con disabilità, privi in quelle ore di docenti per il sostegno. E le decisioni dei TAR, con un’impeccabile logica giuridica, ritenendo solo il sostegno come unica risorsa all’inclusione, assegnano tante ore quante sono quelle di scolarizzazione, ricreando così un rapporto duale che esclude gli alunni con disabilità dalle didattiche cooperative con i compagni e quindi sostanzialmente dalla stessa inclusione.

Ciò che però mi lascia perplesso in questa prima condizione è che – sia pur se accennata – non è sviluppata la modalità organizzativa della formazione degli attuali docenti curricolari che dovrebbero prendersi in carico del progetto inclusivo, anche se avvalendosi della collaborazione degli “ex docenti per il sostegno”. Senza infatti una preventiva e contemporanea permanente formazione di tali docenti curricolari, si rischierebbe che la delega ai soli “ex docenti per il sostegno” permanesse, rafforzandosi addirittura. Infatti, come potrebbe di colpo un docente curricolare di lettere o di matematica di scuola secondaria, attualmente digiuno di formazione sulle didattiche inclusive e di esperienza di didattiche cooperative, prendersi in carico gli alunni con disabilità? Non ci sarebbe il rischio che cambiasse tutto solo apparentemente, mentre in sostanza si rimarrebbe come ora con la criticata delega?

In attesa di una seria formazione iniziale – e specie per i docenti di scuola secondaria – la Proposta di Legge sull’inclusione presentata dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) prevede dei brevi corsi di aggiornamento sulla programmazione collegiale del PEI (Piano Educativo Individualizzato), preceduta da una serie di indicazioni su come si legge una Diagnosi Funzionale, per saper poi gestire e valutare il PEI stesso.
Per tali corsi – che dovrebbero svolgersi dal 1° al 15 settembre di ogni anno, con un successivo “richiamo” verso novembre – ci si potrebbe avvalere delle competenze degli “ex docenti per il sostegno”, oltreché di esperti provenienti dalle associazioni di persone con disabilità e dalle università. Essi, inoltre, potrebbero essere organizzati anche tramite filmati di conferenze e buone prassi on line, senza nemmeno dimenticare le modalità descritte nel libro La classe capovolta di Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro (Erickson, 2014), ovvero con la somministrazione ai docenti curricolari di indicazioni bibliografiche e sitografiche e una successiva discussione suscitata dalle domande dei corsisti, anche suddivisi per piccoli gruppi.
E tuttavia, quando gli ex docenti per il sostegno saranno andati in pensione, chi svolgerà il lavoro formativo in compresenza?
Se a ciò si aggiunge poi il fatto delle classi numerose – cui il libro di Ianes accenna in una sola pagina, senza però poi sviluppare le controproposte di superamento -, è assai probabile il rischio che l’auspicata “rigenerazione” sortisca effetti scarsissimi o nulli.
E ancora, c’è da chiedersi anche come sia possibile aggiungere agli attuali docenti curricolari, inserendoli nei ruoli a tempo indeterminato, circa 60.000 ex docenti per il sostegno (circa 30.000 sono o rimarranno precari, molti dei quali privi di specializzazione), in un’epoca in cui il Ministero da almeno cinque anni sta tagliando fortemente il numero di ore di insegnamento e di posti comuni.

Il volume di Ianes critica poi alcune proposte, come quella della creazione di appositi ruoli per il sostegno, tesi sostenuta dalla citata Proposta di Legge presentata dalla FISH, di cui sono stato propugnatore, pur essendo inizialmente contrario. Egli però, come accennato, non approfondisce l’aspetto pure assai importante del sovraffollamento delle classi, che a mio avviso può essere risolto solo imponendo il rispetto degli articoli 4 e 5 (comma 2) del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 81/09, secondo il quale una classe frequentata da alunni con disabilità non può avere più di 20, massimo 22 alunni.
Quanto poi alla formazione ricorrente in servizio dei docenti curricolari, oggi essa è possibile a seguito dell’approvazione della Legge 128/13 (articolo 16, comma 1, lettera b), che prevede appunto l’obbligo di formazione in servizio dei docenti sulle didattiche inclusive.
In mancanza però di una formazione iniziale e di un programma obbligatorio di formazione in servizio pluriennale, non ritengo possibile che tale formazione possa avvenire in due anni, come espressamente detto alla fine del capitolo quarto del libro. E dove si troveranno, poi, i 35 milioni di euro previsti nel volume, quando stiamo litigando per dividerci i 10 milioni di euro stanziati dalla citata Legge 128/13, tra i sette àmbiti di intervento formativo, tra cui le didattiche inclusive? Senza dimenticare che, nel mentre, il Ministero ha azzerato i fondi specifici per il sostegno alle attività di integrazione previsti dalle Leggi 104/92, 440/97 e 69/00, per il cui taglio è stata presentata recentemente un’apposita Interrogazione alla Camera [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.].

Tornando alla questione della cosiddetta “rigenerazione evolutiva” dell’insegnamento di sostegno, la costituzione di nuclei di “supervisori iperspecializzati itineranti”, mi lascia assai perplesso per almeno tre precisi motivi:
1. I nostri docenti difficilmente potrebbero accettare di riconoscere l’autorità di colleghi supervisori.
2. Come potrà un docente, sia pure superspecializzato, formare i colleghi curricolari – totalmente digiuni di formazione didattica, specie nelle scuole secondarie – a gestire il Piano Educativo Individualizzato degli alunni con disabilità con un solo incontro settimanale di un paio d’ore?
3. Diffido di esperti che si limitino a prestare consulenze senza contemporaneamente lavorare in classe; pertanto tale condizione potrebbe almeno essere ipotizzata con un esonero parziale dal servizio per attività di supervisione. E qui mi rendo perfettamente conto dei problemi organizzativi che ciò comporterebbe, motivo per cui non sostengo l’ipotesi – pur passata in rassegna nel volume – di docenti per il sostegno cosiddetti “bis-abili”, cioè con la suddivisione della cattedra in docenza curricolare e di sostegno, anche se è chiaro che i problemi organizzativi sarebbero inferiori riguardando 20.000 insegnanti piuttosto che 90.000.

In ogni caso, tramite una serie di radicali correttivi,culturali e organizzativi, le ipotesi di Ianes potrebbero pure essere prese in considerazione, per ulteriori urgenti approfondimenti, specie in prospettiva di organici funzionali di reti di scuole, che però, a mio avviso, almeno per ora, non possono prescindere dalla presenza di docenti specializzati per il sostegno.
Allo stesso modo dovrà essere approfondita l’ipotesi di appositi ruoli di sostegno presente nella Proposta di Legge FISH, avanzata per superare la crescente discontinuità di docenza, assai dannosa specie per gli alunni con disabilità intellettive e relazionali. In tal senso, se la formazione iniziale dei futuri docenti per il sostegno – specie di scuola secondaria – fosse simile a quella già prevista per quella della scuola dell’infanzia e primaria, con formazione disciplinare di base a livello elementare e non specializzazione disciplinare, il rischio paventato di creare una figura professionale sentita come “estranea” dai docenti curricolari potrebbe essere fugato.

In conclusione, il libro di Ianes spinge a riflettere sul futuro prossimo dell’inclusione, stimolando, come pure fa, la ricerca anche sull’autovalutazione e sulla valutazione della sua qualità, tramite indicatori che si inseriscano nell’insieme degli indicatori di qualità del sistema di istruzione, in cui il crescente ruolo della formazione dei docenti curricolari e dell’abbandono della delega ai docenti per il sostegno dovrebbero diventare aspetti essenziali.
A ciò, tra l’altro, induce a riflettere anche un’altra recente pubblicazione, L’autovalutazione di istituto di Giorgio Allulli, Fiorella Farinelli e Antonino Petrolino (Milano, Guerini e Associati, 2013), che però, pur soffermandosi sugli indicatori di qualità del sistema, non approfondisce l’aspetto concernente gli indicatori sulla qualità inclusiva, che comunque il Ministero dovrà individuare in attuazione del DPR 80/13.

 

* Già vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).