Per andare dove? di Antonio Valentino, ScuolaOggi 1.4.2014 Non è facile mettere in fila ordinatamente, sulla base del resoconto dell’audizione alla Commissione Cultura dl Senato (27 marzo), i punti del programma che il Ministro Giannini si è dato per la sua azione di governo, e coglierne priorità e direzione di marcia. La prima cosa di cui il Ministro ha parlato è il Piano pluriennale per l’edilizia scolastica che porterà a fare interventi in oltre 10.000 scuole su tutto il territorio nazionale. Si tratta certamente di un intervento importante – e finanziariamente consistente – che speriamo affronti non solo il problema della sicurezza e del decoro di molti nostri edifici scolastici, ma rappresenti anche un ripensamento degli ambienti, così da renderli funzionali ad un modo più efficace di fare scuola. Una seconda questione su cui si è più soffermata – e opportunamente – è quella del precariato. L’obiettivo a cui mira – e noi con lei – è il riassorbimento dei precari attraverso un piano che, nell’immediato, preveda un'ulteriore tornata di TFA per il prossimo anno scolastico; “ritenendo doveroso – afferma - offrire ai giovani laureati la possibilità di conseguire il titolo abilitativo”. In un’ottica di lungo periodo, ritiene invece che debbano essere banditi solo concorsi a cattedra. Su cui si può discutere, possibilmente con qualche punto fermo.
Sulla questione il
Ministro prevede anche, in un piano a medio termine, interventi
volti a inserire i precari all’interno di “organici funzionali”.
Con l’obiettivo – che non sappiamo però dove si collochi - di
“permettere ai dirigenti scolastici una migliore gestione delle
supplenze e un aumento dell’offerta formativa”. Nell’audizione il ministro riprende opportunamente il tema, ma lo inserisce in un orizzonte che ne complica la fattibilità. Sembra infatti di capire che dovrebbe (anche?) “servire ad affrontare il tema del sostegno e dell’integrazione”. E ciò al fine di “assicurare continuità didattica e formazione specifica per le diverse disabilità” e procedere “alla creazione di un gruppo professionale qualificato, operante in una rete di scuole”. Probabilmente il ragionamento sotteso – ma chi lo può dire? - è quello della differenziazione dei ruoli nell’attività di insegnamento, di cui il ministro ha parlato nella sua intervista a la Repubblica del 27 marzo scorso. Nella quale intervista, pasticciando un po’ (ma forse è colpa del giornalista), dichiarava guerra all’”egualitarismo attuale”; che veniva tradotto, in verità piuttosto liberamente, come principio secondo cui “tutti devono fare le stesse cose”. Così! Questo della differenziazioni dei ruoli (qui, probabilmente, non sinonimo di funzioni) è anch’esso un tema delicato; e in più dirompetente. Che avrebbe meritato un primo piano tutto suo, solo che si fosse assunta la questione insegnante per quella che effettivamente è: cioè centrale in ogni discorso che voglia affrontare seriamente il problema del rilancio della nostra scuola. Ma, con tutto il rispetto, il Ministro – su questo fronte - sembra piuttosto arrancare. Ne nasce un guazzabuglio in cui contratto degli insegnanti e relativa retribuzione (non più basata solo sull'anzianità, insiste il Ministro), carriera e modifica dello stato giuridico sembrano essere tessere impazzite di un mosaico piuttosto difficile da decifrare. Più comprensibili gli orientamenti sulle questioni della valutazione e dell’INVALSI. Esplicito è il suo impegno ad assicurare l'applicazione in tutte le scuole, a partire da settembre, del Regolamento sul Sistema Nazionale (DPR n. 80 del 2013). Ma con tre sottolineature che vale la pena di riprendere. La prima: si richiama “che la valutazione dei risultati e dei procedimenti adottati è possibile solo dotando il Paese di una scuola attenta alla “sua missione fondante” (in altri termini, se interpreto bene, deve servire alle scuole per svolgere al meglio il proprio compito istituzionale; oltre che ai decisori politici, per fare bene la propria parte); la seconda: si ribadisce la necessità di un maggiore coinvogimento delle scuole (che non è poco, dati i precedenti); la terza: esplicita l'intenzione di promuovere un ciclo di autovalutazione, attraverso cui aiutare i singoli istituti ad analizzare i propri assetti organizzativi e la qualità dei servizi che erogano. Che è una cosa buona. Come è una cosa buona l’impegno a reintegrare i Fondi destinati al miglioramento dell’offerta formativa, riportandoli all'ammontare del 2011 (che era pari a circa 1,5 miliardi di euro).
Una discreta boccata di
ossigeno per le scuole che vogliono recuperare senso ad una
autonomia scolastica ormai asfittica.
C’è stato, su questo
punto, anche un accenno veloce - e ambiguo - al “principio di
sussidiarietà”; inserito – penso - per dare ulteriore legittimazione
al finanziamento delle scuole paritarie (e quindi rincuorare la
parte del mondo cattolico che più conta nel gioco della politica).
Accenno che, comunque, sembra punti a introdurre, rispetto alle
politiche precedenti in materia, un qualche elemento di
differenziazione. Qui, probabilmente voluto, da parte di un ministro
“liberale”, soprattutto per salvarsi l’anima. Il resto del programma è solo un elenco di punti, senza un ubi consistam; in coerente continuità, sotto questo aspetto, con i punti precedenti: dalle nuove regole per la selezione dei dirigenti scolastici alla revisone degli organi collegiali; dall’ aggiornamento del Testo unico sulla scuola al Piano per l’infanzia (che ipotizza addirittura “grande”); dalla scuola sempre aperta, anche nel pomeriggio, per tutti gli ordini di scuola all’educazione alimentare; dall’educazione motoria all’insegnamento dell’Inglese nella primaria; dall’ “ulteriore (?) valorizzazione degli Istituti Tecnici Superiori (ITS)” alla “profonda revisione degli istituti tecnici” (questa però no, Ministro. C’è già stata, come sa, in tempi recentissimi. Basterebbero solo “accompagnamenti” sensati e attenti. Come per il resto delle altre Indicazioni nazionali. Niente revisioni per un po’, per favore). Che dire conclusivamente? Non si può nascondere che ci si aspettava forse qualcosa di meno (nel programma), e qualche idea guida - un po’ robusta - in più. Comunque – e sinceramente - la speranza è l’ultima a morire. Soprattutto se il mondo dell’associazionismo e le organizzazioni sindacali sapranno fare bene - e tenacemente - la loro parte. |