Cyberbullismo, cosa dice
il disegno di legge Ferrara

di Fabio Chiusi, Wired.it 15.4.2014

C’è una parte buona e una meno buona, nel disegno di legge contro il cyberbullismo della senatrice Pd Elena Ferrara. La parte buona è quella su cui la norma più investe, e riguarda una serie di iniziative formative per educare a conoscere e contrastare il problema. Che no, non è la “principale minaccia” secondo “2/3 dei minori italiani”, come sostiene il preambolo del ddl citando i dati – e nemmeno i più recenti – Ipsos/Save The Children già confutati da Wired, ma è comunque una questione seria, e che va affrontata con la massima accortezza.

Partire dal coinvolgimento di scuola e famiglie, come fa il testo Ferrara e come sostengono esperti della materia del calibro di danah boyd, è un buon presupposto per riuscirci. Si parla infatti dell’emanazione, entro 30 giorni dall’adozione del testo e da parte del ministero dell’Istruzione, di “linee guida per la formazione, la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo nelle scuole”, prevedendo “corsi di formazione del personale scolastico” con “carattere di continuità curriculare tra i diversi ordini di scuola”. L’ottica appare coerente con il piano per la cultura e le competenze digitali, in consultazione pubblica dallo scorso 10 aprile su culturadigitale.partecipa.gov.it. E non guasterebbe se le iniziative fossero coordinate.

Altra notizia positiva è la previsione esplicita di fondi per tradurre i buoni propositi in pratica: 180 mila euro per il 2014, 265 mila per il 2015 e 220 mila per il 2016, da finanziare tramite apposita riduzione del “fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle finanze per l’anno 2014”.

Non solo: il ddl prescrive anche la costituzione presso la presidenza del Consiglio di un “tavolo tecnico”, a costo zero per le casse pubbliche, che adotti entro 60 giorni dall’insediamento un “piano di azione integrato per il contrasto e la prevenzione del cyberbullismo”, da integrare con un “codice di autoregolamentazione” rivolto “agli operatori che forniscono servizi di social networking e agli altri operatori della rete”. Per questo, dice lo staff della senatrice Ferrara, la norma sarà incardinata – e presto, questo l’intento – in commissione Affari costituzionali.

E qui cominciano le note dolenti. Perché nel codice di autoregolamentazione è prevista l’istituzione di un “comitato di monitoraggio” che assegni un “marchio di qualità” a “fornitori di servizi di comunicazione elettronica” e “produttori di dispositivi elettronici” che siano child-friendly. Ovvero, che siano “capaci cioè di prevenire il fenomeno, già in virtù della stessa configurazione dei sistemi di comunicazione”. In altre parole, una sorta di parental control incorporato direttamente nei social media e nei cellulari adoperati dai minori. Difficile possa funzionare, oltre che sia auspicabile possa funzionare (si tratta pur sempre di limitazioni severe all’utilizzo di Internet, da realizzarsi presumibilmente tramite filtri; e no, il problema non è tecnologico).

Stesso problema per l’articolo più controverso della norma, il secondo, che crea una procedura accelerata per consentire ai genitori della vittima di cyberbullismo – anche qualora non sia oggetto di uno specifico reato – di “ottenere una tutela rafforzata e celere da parte dell’Autorità”, ossia dal Garante per la privacy. In sostanza, significa che il genitore può chiedere al “titolare” del trattamento dei dati personali del minore (individuato non si capisce bene come) “l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro (non si capisce perché “altro“) dato personale del minore diffuso nella rete Internet”. Se entro 24 ore il titolare non provvede, l’istanza può essere rivolta al Garante, che dovrebbe ordinare l’intervento entro 48 ore.

Funzionerà? Francesco Micozzi, avvocato ed esperto di diritto penale, dell’informatica e delle nuove tecnologie, ne dubita: “Se nel ddl Moretti si pensa di gravare il Garante di una serie di controlli che non gli sono dovuti istituzionalmente, con questa norma si rischia invece di intasare l’attività del Garante, che non sarebbe così in grado di rispondere con la tempestività che rappresenta l’unica vera innovazione del testo. Perché quello che si vorrebbe ottenere si può già fare oggi”. Insomma, per Micozzi si tratta di una norma, quella prevista all’articolo 2, “più di propaganda politica che dai possibili effetti concreti”.

A meno che, naturalmente, a fronte di migliaia di richieste di rimozione motivate in sostanzialmente qualunque modo – basta esercitare una “pressione” sul minore – non si decida di ricorrere a metodi più drastici: “Resosi conto dell’inutilità”, dice Micozzi, “si promuoverà la censura dei siti ricorrendo al sequestro più inibitoria”. Perché se la ratio della norma è “rendere irriconoscibile il destinatario degli atti di cyberbullismo, a prescindere dal fatto che il trattamento costituisca reato”, nei fatti “la definizione amplissima finirebbe per costituire una sorta di diritto alla campana di vetro per tutti i genitori per qualsiasi trattamento di dati personali realizzato attraverso la rete Internet”.

Il criterio affermato dalla senatrice Ferrara in una intervista a Repubblica, la rimozione di qualunque post “ritenuto lesivo”, non fa che confermare le perplessità. Meglio sarebbe dunque eliminare questa parte del testo, e concentrarsi unicamente sulle iniziative formative, di cui c’è davvero bisogno. E su cui sarebbe opportuno il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, una buona volta si esprimesse. Anche per capire quale sia il reale orientamento del Pd: meglio l’iniziativa Moretti o quella di Ferrara?