SCUOLA DIGITALE
Social network, in arrivo anche in
Italia Un Paese a doppia velocità, dove spesso Twitter, Facebook e le altre piattaforme digitali vengono usate in base alle conoscenze e alla buona volontà dei docenti di Valentina Santarpia, Il Corriere della Sera scuola 18.4.2014
Portare Facebook
e Twitter a scuola significa avere una classe di ragazzi e ragazze
distratti dai propri smartphone? Niente affatto,
perché social network non va confuso con socializzazione, e esistono
almeno dodici modi giusti che i docenti possono adottare per usare
in maniera proficua le piattaforme digitali in classe. E’ questa la
tesi sostenuta su
Edutopia, un sito Usa dedicato all’educazione, da Vicky Davis,
un’insegnante americana esperta di nuove tecnologie. Il decalogo
della Davis, tra il serio e il faceto, stimola i docenti a
«ricordare che siamo nel 21° secolo» e che è inutile continuare a
predicare che è necessario aiutare i bambini a superare il gap
digitale, se poi gli insegnanti non sono i primi ad essere disposti
a comunicare online. «I social media sono qui, sono solo un’altra
risorsa e non una distrazione dalle materie di insegnamento», spiega
la curatrice dell’articolo, snocciolando consigli. Qualche esempio?
«Twitta o posta degli interventi a nome della classe», oppure «Usa i
social network per connetterti alle altre classi», o ancora «Crea un
account twitter per un progetto speciale», o «Usa Youtube per
pubblicare una presentazione o un’esibizione dei tuoi studenti».
Tutti esempi validi per la scuola statunitense, che è
all’avanguardia nell’uso del digitale. Ma in Italia, a che punto
siamo? Secondo il decimo rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione,
il 90,3% dei giovani a partire dai 14 anni utilizza Facebook e il
54,8% possiede uno smartphone. Eppure, da uno studio realizzato
dalla rete dell’istruzione europea, Eurydice, l’Italia è uno dei
pochi Paesi che non ha previsto alcuna forma di insegnamento
relativo all’educazione digitale a livello di scuola primaria e
secondaria. Un gap che potrebbe essere risolto a breve: è stata appena depositata una proposta di legge, prima firmataria la deputata Anna Ascani del Pd, che punta proprio a introdurre nelle nostre scuole «l’insegnamento di educazione e cittadinanza digitale», con tanto di individuazione di un «docente educatore digitale» individuato nell’ambito del collegio dei docenti, che collabori con tutti gli altri insegnanti a realizzare progetti digitali nell’ambito delle proprie materie. Una sorta di tutor, che stimola gli altri docenti meno preparati o motivati nel settore informatico a usare gli strumenti tecnologici moderni per arricchire e integrare i propri insegnamenti, rendendoli più adeguati al mondo moderno. «In Italia ci sono realtà che funzionano benissimo, progetti avanzatissimi, e poi scuole assolutamente indietro nel digitale- spiega Ascani- Del resto, nel percorso universitario e anche nella formazione post-universitaria degli insegnanti non ci sono elementi di didattica digitale: questa legge invece imporrebbe al ministero di formare docenti ad hoc che possano poi trasferire il proprio sapere digitale agli altri, creando una contaminazione positiva». Lo scopo è duplice: prevenire il cyberbullismo, ma anche evitare un uso sbagliato dei social da parte dei ragazzi. «Parliamo di aiutarli a inserirsi correttamente nella società- spiega Ascani- il 94% delle società di selezione del personale si serve dei social media come strumento di recruiting e per il 42% dei casi si è verificata una rivalutazione della posizione del candidato a seguito di una verifica del suo profilo». L‘Italia a due velocità La legge dovrebbe servire a dare un approccio digitale nazionale ad un Paese come il nostro che invece, sul digitale, viaggia «a due velocità», come spiega Caterina Policaro, insegnante in un istituto tecnico agricolo di Potenza ma soprattutto formatrice di docenti sul fronte digitale e attivissima blogger. «Ci sono scuole attrezzatissime, che usano Facebook, molto meno Twitter, per affiancare i siti istituzionali e presentare le iniziative della scuola, per fare orientamento, per condividere le esperienze. Poi ci sono le scuole dove, grazie a docenti illuminati, si usano social network chiusi, come Edmodo, oppure Moodle, per fare esperienza didattica: in questo caso si riesce a diversificare la lezione usano il social come piattaforma virtuale dove insegnanti e studenti lavorano insieme a progetti e si scambiano in tempo reale pareri e informazioni. Ma poi ci sono anche le scuole assolutamente legate alla burocrazia, ai vecchi modelli tradizionali, dove il digitale è visto come un mondo lontano e complesso». La solita Italia spaccata in due, insomma, dove però stavolta non è la linea geografica a segnare il confine, ma la volontà e la preparazione culturale dei presidi e dei docenti.
«Negli ultimi due anni la situazione sta migliorando, grazie anche
alle novità introdotte sulla possibilità di adottare i libri
digitali, ma soprattutto perché i social network stanno diventando
parte della vita di tutti noi: gli insegnanti finalmente stanno
passando dal punto di vista dell’osservatore- di abitudini
giovanili- a quello dell’utilizzatore- di uno strumento che può
aiutare la condivisione col resto del mondo». Certo, quando un prof
vede arrivare sulla propria pagina Facebook la richiesta di amicizia
di uno studente o una studentessa, può trovarsi in imbarazzo: «Non è
questione di vietare o non vietare relazioni di amicizia su Facebook
tra docenti e alunni- spiega Policaro- E’ questione di capire come
dovrebbero rapportarsi i docenti in una relazione in primis sociale,
poi didattica, che include, a qualunque livello, anche i social
network e quindi l’interazione online attraverso mail, chat, social
network ecc. Io sono dell’idea che un docente debba operare sempre
secondo ben precisi standard comportamentali e presentarsi quindi
sempre all’esterno come professionista dell’educazione e quindi
modello per i ragazzi. Aggiungo: ed essere sempre se stesso. In
classe, come online».
Quando comincia l’uso dei social network a scuola? L’utilizzo più
massiccio riguarda le scuole superiori:anche se a volte si comincia
un po’ prima dei tredici anni, mentendo sull’età, sono i ragazzi tra
i 13 e i 18 anni i maggiori utilizzatori,e quindi le scuole
superiori quelle dove si svolgono gli esperimenti più interessanti e
avanzati, come dimostrano le nostre storie. Ma non mancano
esperienze divertenti in una fase precedente: ad esempio, la maestra
della scuola elementare Lante della Rovere di Roma che ha lanciato
un hashtag per invitare i bambini a riscrivere le favole di Gianni
Rodari,
creando un account della scuola, @LanteRM_4D, e seguendo con loro
l’evoluzione della storia insieme ai propri follower. «Oggi
alcune di queste favole stanno pian piano prendendo corpo in forma
di storie interattive: con l’aiuto di Scratch – il software di
programmazione e il relativo ambiente di sviluppo gratuiti
realizzati dal MIT Media Lab di Boston rielaboriamo le favole di
Rodari secondo il nostro gusto e diamo ai personaggi il nostro
stile», spiega la maestra Agnese Addone. Una scuola media, una terza
classe dell’IC9 di Bologna per la precisione, ha partecipato a
The incipit,
una piattaforma di racconti interattivi online, lanciando la sfida
di costruire un racconto collettivo. Mentre un’altra scuola media di
Reggio Emilia, la Da Vinci, ha messo su
un canale Youtube dove ci sono videolezioni, videointerrogazioni,
spiegazioni. Di fronte a tanta vitalità, però, ci sono ancora tantissimi punti deboli: «I social potrebbero essere usati molto meglio- spiega Elena Pacetti, ricercatrice in Didattica e Pedagogia speciale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università di Bologna- Negli altri Paesi ci sono molte altre esperienze, abbiamo ancora tanti margini di miglioramento per mettere in comune le nostre conoscenze e uscire dalla logica della scuola tradizionale. I nodi critici? L’alfabetizzazione degli insegnanti, che dovrebbero essere istruiti per capire limiti e potenzialità dei mezzi. E poi il fattore tempo, che spesso frena il cambiamento: come ho scritto in diverse ricerche, per poter far crescere l’uso dei social a scuola, i docenti devono dedicarvi tempo, non possono liquidarli sostenendo che non fa parte dei loro compiti. Al giorno d’oggi, i ragazzi sono sempre connessi, i social network fanno parte della propria quotidianità, ed essere on line come educatori fa la differenza». |