L’OMAGGiO La matematica «amica» di Emma Castelnuovo
Si è spenta domenica la «professoressa»
centenaria che «svecchiò» l’insegnamento di Paolo Conti, Il Corriere della Sera scuola 14.4.2014
La scuola dell’infanzia costituisce il primo livello di istruzione e
ne hanno diritto tutti i bambini e le bambine tra i 3 e i 6 anni.
Almeno un bambino su tre prima dei tre anni, e in almeno nel 75% del
territorio italiano, deve avere diritto ad un posto nell’asilo nido.
Il personale educativo, sia per i nidi che per le scuole materne,
deve avere una preparazione universitaria. E, novità assoluta, le
aziende possono erogare dei «ticket» asilo per aiutare le famiglie a
sostenere i costi proibitivi dei nidi. Ecco i capisaldi del ddl
1260, in discussione in commissione Istruzione pubblica al Senato:
«Un provvedimento che, una volta diventato legge, sarà una vera e
propria rivoluzione», assicura la senatrice Francesca Puglisi, tra
le prime firmatarie del disegno di legge. Il piano è, in effetti,
ambizioso: si parte con un investimento di 150 milioni per arrivare,
a regime, ad un miliardo e mezzo di euro per coprire l’educazione
dell’intera fascia 0-6 anni. Dove si trovano tutti questi soldi? Per
cominciare, bisogna «escludere dal patto di stabilità gli interventi
pubblici relativi al funzionamento» dei servizi zero-tre e tre-sei
anni.
L’offerta per i bambini sotto i sei anni attualmente in Italia è
insoddisfacente, questa è la premessa: il 18% circa di tutti i
bambini sotto i tre anni riesce ad avere un posto in un asilo nido
pubblico, mentre il 94% di quelli tra i tre e i sei anni può
frequentare la scuola dell’infanzia. Se sul fronte dei nidi siamo
ancora lontani dall’obiettivo del 33%, fissato dal Consiglio delle
comunità europee, su quello delle scuole materne abbiamo già
raggiunto il traguardo del 90% fissato dall’Europa, ma non possiamo
comunque cantare vittoria. Perché i tagli degli ultimi anni hanno
visto stranamente diminuire, anziché aumentare, le chance di
frequentare la scuola dell’infanzia: dal 98% di qualche anno fa,
complici i tagli e l’aumento dei bambini extracomunitari, sono
tornate le liste d’attesa.
E le opportunità purtroppo cambiano molto da regione in regione, con
delle conseguenze inaspettate: «Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia
hanno raggiunto già gli obiettivi europei, e infatti in queste
regioni l’occupazione femminile ha raggiunto il 60% - sottolinea la
senatrice Puglisi - In Calabria, dove invece i servizi per
l’infanzia sono scarsi e malfunzionanti, le donne lavorano poco più
che in Pakistan, il 30%». Le disparità regionali sono anche evidenti
per quanto riguarda la divisione delle competenze e delle spese tra
Stato e enti locali: in Emilia Romagna le statali sono il 18%, nelle
Marche l’80%.Significa, per capirci, che il Comune di Ancora avrà
molti meno pesi rispetto a quello di Bologna, anche in termini
economici. L’obiettivo del ddl è superare anche quest’aspetto:
riequilibrare cioè i trasferimenti monetari in maniera tale che il
costo del servizio sia per il 50% a carico dello Stato e il 50% a
carico degli enti locali (Regioni e Comuni). Laddove lo Stato non
interviene direttamente, deve sostenere i Comuni. Non è solo una questione di spartizione: ma anche di costi che le famiglie devono sostenere per un servizio che dovrebbe essere garantito a tutti. Proprio per tutelare le tasche dei contribuenti, ci sono due novità importanti nel ddl. La prima, è la norma che prevede che «la partecipazione economica delle famiglie utenti alle spese di funzionamento dei servizi non può essere superiore al 20% del rispettivo costo medio rilevato a livello regionale». La seconda introduce una interessante novità: e cioè che le aziende possano fornire ai propri dipendenti dei «ticket nido», sulla falsariga dei ticket restaurant. Il principio è che le aziende che non riescono a fornire un asilo aziendale, possano fornire alle famiglie un contributo, attraverso apposite convenzioni, di 150 euro al massimo. «Quando il governo Berlusconi aveva provato a dare incentivi perché le aziende costruissero nidi aziendali, non c’erano state molte richieste: l’Italia è fatta di piccole e medie imprese, che non hanno la possibilità di creare nidi interni. Mentre il ticket potrebbe funzionare: è un modo per incrementare lo stipendio del dipendente, invogliandolo anche a fare meno assenze, senza gravarsi di costi eccessivi». Il costo del servizio inoltre dovrebbe diventare, con la nuova legge, totalmente deducibile e con l’IVA detraibile integralmente. |