Orario di lavoro dei docenti: di Giancarlo Cerini, Educazione & Scuola 8.8.2014 Vecchi stereotipi difensivi Sul tempo di lavoro degli insegnanti il rischio è quello degli opposti estremismi: - da un lato c’è che spinge verso la totale equiparazione dell’orario di servizio dei docenti con quello di tutti i restanti lavoratori pubblici e privati, con la proposta di una “quota 36” (ore settimanali), che sanerebbe ingiustificati privilegi della categoria; - dall’altro c’è chi grida allo scandalo e ritiene “intoccabili” le 18 ore di cattedra (o quelle che sono), alla luce della peculiarità di un lavoro intellettuale che non dovrebbe essere misurato con la timbratura del cartellino e richiede anzi ampi margini di recupero psico-fisico e libertà d’azione. Forse le cose sono un po’ più complesse e richiedono di essere affrontate con animo sgombro da pregiudizi, ma anche con qualche supplemento di argomentazione. E’ comunque evidente che l’insegnamento oggi non è racchiuso solo nella prestazione “viva-voce” della lezione in classe: per fare una buona lezione occorre preparare materiali didattici, documenti, esercitazioni; inoltre bisogna coordinarsi con i colleghi, definire criteri di valutazione, correggere i compiti; ascoltare allievi e genitori, impegnarsi nei diversi organi collegiali, assumersi sempre nuove responsabilità nella gestione della scuola. Il mito di una professione “a mezzo servizio” è ormai tramontato, ma questo la società non lo percepisce chiaramente, e forse gli insegnanti fanno poco per smentire la leggenda (metropolitana) delle poche ore di lavoro e dei molti mesi di ferie[1]. Resta attorno all’insegnamento una certa aurea di indeterminatezza e di discrezionalità, ben rappresentata dal concetto di “libertà di insegnamento”, un principio per altro previsto nella Costituzione della nostra Repubblica. Il lavoro del docente non è facilmente predeterminabile (anche se in molti paesi vigono minuziose linee guida che prescrivono anche quanto tempo un docente dovrebbe parlare in classe!), presenta un alto tasso di inventività ed espressività (in cui si manifesta lo stile peculiare di ogni docente), richiede una notevole e immediata reattività (nel gestire relazioni inter-generazionali sempre più complesse). E’ vero, è un lavoro usurante. Ti accompagna non solo quando sei in classe, ma anche durante tutto l’arco della giornata: non è che puoi riflettere sugli insuccessi e i successi della tua azione in un tempo pre-fissato. Il fatto è che dall’esterno si vede solo la punta dell’iceberg delle ore di lezioni. E spesso non è un gran vedere: c’è una netta prevalenza della lezione frontale[2], le dinamiche della classe sono ancora contrassegnate dal ritmo spiegazione-esercitazione-valutazione (per lo più individuale), tutto (o quasi) si gioca in aula ed è limitato il ricorso all’outdoor learning (cioè l’apprendere in contesti autentici, siano essi reali o virtuali).
L’insegnamento sta cambiando Con la progressiva trasformazione delle nostre aule in ambienti di apprendimento sta però cambiando velocemente il lavoro degli insegnanti: senza giungere al paradosso della flipped class-room (a scuola non si spiega, si studia a casa e in classe “si va avanti” con la ricerca)[3], vanno messe in evidenza nuove funzioni dell’insegnamento: progettazione di compiti di realtà per gli allievi (o comunque di situazioni interattive), predisposizione di risorse digitali, sviluppo di funzioni di tutoring e/o coaching, accompagnamento in esperienze fuori-scuola, ascolto e orientamento personalizzato degli allievi. La linea di demarcazione tra il “fare lezione” in classe (le mitiche 18 ore, che però variano da grado a grado di scuola) e quello che c’è prima o dopo (per far sì che quelle 18 ore siano efficaci) tende a scomparire. Assegnare e correggere esercitazioni in rete, proporre consigli di studio, fare counceling o tutorato, interagire mentre si sta sul web: dove dovremo conteggiare questo tempo? È insegnamento oppure no? E qual è il tempo vero di lavoro se sono quasi sempre connesso in rete? La trasformazione nei modi di elaborazione e trasmissione del sapere cambia certamente anche il ruolo dell’insegnante: resta decisivo il setting dell’apprendere insieme in classe[4], ma quando si arriva in classe occorre aver fatto molto altro, sia da parte degli insegnanti che degli allievi. Cioè, appare giustificato il tema di un diverso rapporto tra “ore di lezione” e “impegni connessi”. Se questi ultimi diventano decisivi nel qualificare le stesse ore in presenza e per perseguire migliori risultati negli apprendimenti e nelle competenze degli allievi, non è corretto lasciarli alla completa discrezionalità degli interessati (con comportamenti assai differenziati), ma diventa opportuno farli affiorare dal sommerso, renderli visibili all’esterno, definire alcuni criteri e standard di comportamento auspicabili. Un orario “all inclusive” potrebbe soddisfare questa duplice esigenza di “visibilità sociale” e di “qualità del lavoro” (oltre la lezione frontale), senza per altro rimettere in discussione i carichi di lavoro (ad esempio, il numero delle classi da seguire), ma ridefinendo le caratteristiche di una moderna professionalità docente. La sua quantificazione contrattuale (se con un plafond settimanale o annuale), la sua onnicomprensività totale o parziale (se cioè prestata tutta dentro la scuola o con una parte discrezionale extra-moenia), le conseguenze sul piano giuridico ed economico (ad esempio, consentendo un doppio profilo docente: a tempo ordinario o potenziato) sono tutte decisioni da rimettere alle sedi contrattuali, magari dopo che il legislatore abbia fissato alcuni principi-cardine. Preliminare a questa decisione è però l’effettivo riconoscimento della qualità e della quantità del lavoro dell’insegnante di oggi, oltre gli stereotipi riduttivi di senso comune. In questo ci può aiutare la ricerca sugli impegni e carichi di lavoro degli insegnanti realizzata alcuni anni fa in Alto Adige, da cui affiorano inaspettati squarci sulla professione docente.
18 ore e dintorni: una ricerca in Alto Adige La ricerca, commissionata all’agenzia Apollis dalla provincia di Bolzano nel 2006[5] ha il pregio di coinvolgere gli stessi docenti nella descrizione e nella quantificazione dei loro impegni di lavoro. La metodologia adottata, per altro, deve indurre ad una certa cautela sui dati raccolti, che per alcune voci appaiono nettamente sovradimensionati. Ad esempio, la quantificazione di 133 ore annue di aggiornamento/autoaggiornamento sembra del tutto fuori misura, a meno di inserire nel pacchetto anche la lettura di libri, la navigazione sul web, la partecipazione ad eventi culturali, ecc. La ricerca, tuttavia rivela con efficacia che il mestiere di insegnante non è limitata alla semplice attività di insegnamento diretto in classe. Questo aspetto non supera un terzo dell’ammontare complessivo del tempo di lavoro (su base annua) ed è la parte “fissa” della prestazione. Ma allora, quali sono le altre componenti che normalmente restano invisibili? La declaratoria delle attività proposta dai ricercatori è assai ampia e prevede alcune tipologie aggregate per grandi aree:
Il quadro degli impegni è abbastanza simile a quanto previsto dal CCNL del personale della scuola (2006-2009) in cui abbiamo, a grandi linee, i seguenti impegni (artt. 28 e 29):
Nella ricerca altoatesina c’è però spazio per una più dettagliata e minuta descrizione delle funzioni effettivamente svolte dai docenti per ogni campo di attività. Nella tavola che segue presentiamo le principali risultanze dell’indagine, indicando il tempo medio dedicato annualmente ad ogni tipologia di attività.
Tabella 1 – Ore di lavoro annuali per docente in provincia di Bolzano
Fonte: Indagine Apollis, 2006. Op.cit. Ogni tipologia di attività è poi descritta con ulteriori item.
Cosa ci dice la ricerca sul lavoro “sommerso”? Dai dati rilevati dai ricercatori di Bolzano emergono alcune tendenze: a) l’insegnamento frontale (pari al 33% del tempo-lavoro) richiede una “ricarica” di tempo quasi analogo (29%), da dedicare alla preparazione personale, alle correzioni compiti, alla valutazione, ecc.; b) ci sono azioni collegiali (programmazione, valutazione, formazione in servizio, ecc.) che richiedono una ulteriore quota di tempo (16-18%), con un forte impegno per l’autoaggiornamento; c) per trasparenza vengono conteggiati anche i tempi “deboli” (supplenze, accompagnamento, pause, assistenza, ecc.) che si portano via un’altra fascia di tempo (pari circa al 20%). E’ ipotizzabile che solo una parte di queste attività funzionali sia prestata all’interno dell’istituzione scolastica, mentre quote di tempo (compiti, studio individuale, autoformazione, ecc.) siano lasciate ad una gestione del tutto personale. Seguendo questo profilo, l’attività settimanale già prestata a scuola (oltre l’insegnamento) configura un orario all inclusive di almeno 30 ore settimanali. Il conteggio di un orario su base settimanale è reso però difficoltoso dalla atipicità della prestazione del servizio dei docenti, quando non impegnati nelle normali attività didattiche. Ci riferiamo alla prima parte del mese di settembre, alla seconda parte del mese di giugno -al netto degli eventuali esami di stato-, al c.d. secondo mese di ferie (luglio). Questo rende più complicato l’utilizzo del parametro settimanale. Non a caso i ricercatori bolzanini quantificano anche un tempo lavoro estivo (in verità di sole 55 ore prevalentemente dedicate a progettazione e formazione). Complessivamente il monte-ore annuale messo a fuoco dalla ricerca, per un docente a tempo pieno, è pari a 1.642 ore, di cui quelle di lezione arrivano a 517 ore (con lievi differenziazioni tra un grado scolastico e l’altro). Un ulteriore punto di osservazione del lavoro docente si riferisce agli impegni supplementari che non riguardano la totalità dei docenti: si va dai coordinatori di classe (funzione che impegna il 47% dei docenti), ai rapporti con altre scuole (il 29%), alla responsabilità di aule speciali (il 22%), al coordinamento di gruppi di lavoro (il 19%), alla responsabilità di plesso o sedi (il 14%), ma con una declaratoria assai variegata di ulteriori funzioni. L’impegno più consistente (101 ore all’anno) riguarda la responsabilità di plesso (parliamo di scuola primaria), la produzione di materiali didattici (60 ore), l’incarico di funzione strumentale (30 ore). Negli altri casi si tratta di oneri extra di circa 10-12 ore annue. Il riconoscimento del maggior impegno è in parte connesso ad un pagamento aggiuntivo, nella maggior parte rientra nel monte-ore forfettario (del contratto dei docenti), in certi casi (come per la documentazione didattica) non gode di nessun riconoscimento. Insomma, il lavoro dell’insegnante è una vera e propria galassia inesplorata, che ne impedisce il pieno riconoscimento sociale e che finisce con il penalizzare i docenti con carichi di lavoro più consistenti.
Il recupero flessibile dei maggiori tempi di ferie: il contratto AGIDAE Il Contratto AGIDAE per la scuola non statale[7], firmato da tutte le principali organizzazioni sindacali, presenta un interessante regolamentazione del tempo di lavoro degli insegnanti. L’orario di cattedra (simile a quello dei colleghi dello Stato e quindi diversamente articolato per i diversi livelli scolastici) incorpora, non quantificate, le attività proprie della funzione docente, che vengono così descritte: “correzione degli elaborati, schede valutative e pagelle, ricevimento/colloquio settimanale individuale dei genitori, e in un piano programmato dal Collegio docenti e secondo gli ordinamenti scolastici vigenti: scrutini, Consigli di classe, interclasse, intersezione e Collegio docenti”. Viene poi previsto un primo “pacchetto” di 50 ore annue per: - attività di aggiornamento, - attività di programmazione, - progettazione, revisione e gestione del POF, - incontri collegiali con genitori o specialisti/esperti. La novità è un secondo “pacchetto” di 70 ore annue per: - attività e/o discipline non curricolari o anche curricolari, programmate dal Collegio dei docenti e/o dal Consiglio di classe, in orario non curricolare; il loro utilizzo è finalizzato principalmente ad attività quali: - recupero, sostegno e preparazione agli esami (o altre attività deliberate dal Collegio dei docenti proprie della funzione e del livello); - uscite didattiche giornaliere, limitatamente alle ore eccedenti l’orario individuale; - eventuali supplenze saltuarie per un massimo di 10 ore per anno scolastico. [in mancanza di programmazione del Collegio dei docenti e/o del Consiglio di classe, il personale docente può richiedere all'Istituto di svolgere le 70 ore annue in attività proprie della funzione e del livello]. Le ore di questo pacchetto [70 ore] vengono recuperate con 26 giorni lavorativi di ferie estive aggiuntive, riproporzionati in base alle ore effettivamente svolte. [il periodo ordinario di ferie è quantificato in 33 giornate]. Inoltre è previsto che “le ore per la partecipazione ai corsi di aggiornamento professionale e didattico, di formazione e riqualificazione del personale, comprese le attività connesse alla gestione del ‘sistema qualità’, promossi dalla Scuola durante i periodi di attività didattica fuori del normale orario di lavoro” sono trasformate in giorni di ferie aggiuntive, per un massimo di 40 ore annue [comunque una quota di aggiornamento è pure inserita nel pacchetto delle 50 ore].
Visibilità sociale e riconoscimento Il sistema AGIDAE di regolazione dei tempi di lavoro dei docenti sembra rispondere ad alcuni requisiti di estremo interesse, se visti nel contesto dell’attuale dibattito sull’orario degli insegnanti: - rendere visibili le attività connesse alla funzione docente (che va quindi oltre l’orario-cattedra), senza però quantificarle in un orario onnicomprensivo settimanale; - prevedere un pacchetto di 50 ore annue di attività connesse all’insegnamento; - commutare il c.d. “secondo mese di ferie” in un pacchetto di ore (70) spalmabile durante l’anno per attività complementari, anche di insegnamento aggiuntivo, e per una quota (10 ore) anche per supplenze brevi; - incentivare un monte-ore consistente di formazione in servizio (fino a 40 ore annue, oltre l’aggiornamento ordinario) commutandolo in ferie aggiuntive. La visibilità “sociale” del lavoro docente si gioca soprattutto sullo scambio tra più ferie (nel periodo estivo, rispetto agli altri lavoratori) a fronte di maggiore impegno (tempo quantificato) durante l’anno scolastico per far fronte ad esigenze di arricchimento dell’offerta formativa o di bisogni dell’organizzazione scolastica (es. supplenze brevi), in una ottica di collaborazione condivisa nella comunità scolastica.
Aspettando la prossima mossa Riepilogando. E’ evidente che il terreno della professionalità docente è assai scivoloso, come dimostrano le infelici proposte di un recente passato (il “concorsone” proposto dal Ministro Berlinguer, per individuare e “premiare” il 20% dei docenti migliori; l’aumento a 24 ore settimanali dell’orario di insegnamento dei docenti della secondaria, ipotizzato dal Ministro Profumo). Occorre allora che il Governo elabori una proposta convincente e sostenibile, capace di parlare all’opinione pubblica in termini di visibilità e riconoscimento sociale del delicato lavoro degli insegnanti; occorre che i docenti (e le loro organizzazioni sindacali e professionali) siano disponibili a rimettere in gioco un certo approccio difensivistico e conservativo, per affrontare laicamente le nuove questioni che si pongono. E’ tempo di mosse del cavallo[8] (quelle inaspettate che aprono nuove visuali), per uscire dal mantra delle 18[9] ore (che danneggia gli stessi docenti) e soppesare i pro e i contro dei cambiamenti necessari[10].
[1] A.Avon, A proposito dell’orario di lavoro dei docenti. Per una rivoluzione ragionevole, in “Edscuola.eu”: http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=46116 [2] In un monitoraggio capillare connesso alla revisione delle Indicazioni per il curricolo (novembre-dicembre 2011) le risposte segnalano che la modalità didattica più praticata nella scuola media di I grado è la lezione frontale (nel 76% dei casi), con frequenze assai modeste per forme di lavoro di gruppo, apprendimento cooperativo, didattica laboratoriale (tra il 10 e il 20% dei casi). [3] R.Baldascino, Flipped classroom, in “Voci della scuola”, Tecnodid, numero monografico su “la nuova professionalità docente”, settembre 2014 (in preparazione). [4] E’ emblematico che nei sistemi scolastici ad alto tasso di innovazione (es.: la Finlandia) la classe si stia trasformando in un ambiente molto più articolato (tecnologie, arredi per lavoro di gruppo, spazi per il relax, tempi flessibili e “mossi”), dove però al centro dell’agorà (inteso come spazio comune per il confronto) sta ancora la cattedra del docente: al centro (quasi per dire “insieme con”) piuttosto che di fronte a banchi allineati (ex-cathedra). [5] cfr. Apollis, Scuola: non solo insegnamento. Orario e carico di lavoro degli insegnanti in provincia di Bolzano, 2004-2006. http://www.apollis.it/24d309.html [6] CCNL del Comparto Scuola 2006-2009, sottoscritto il 29 novembre 2007. Vedi un commento analitico in S.Auriemma e al., Contratto nazionale scuola, in “Esperienze amministrative”, n. 1.2, febbraio 2008, Tecnodid. In particolare: G.Cerini, Alla ricerca della professionalità (perduta)?, pp. 59-76. [7] Cfr. il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Agidae 2010-2012 per la scuola non statale, sottoscritto il 9 dicembre 2010. http://2.flcgil.stgy.it/files/pdf/20101210/ccnl-agidae-2010-2012.pdf [8] G.Cerini, Professionalità: la mossa del cavallo in “Scuola e formazione”, n. 3-4, marzo-aprile 2014. [9] G.Cerini, Il mantra delle 18 ore: oltre la didattica frontale, in “Edscuola.eu” http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=12558 [10] G.Cerini, Professionalità docente: cosa cambia (o potrebbe cambiare) per gli insegnanti, in “www.notiziedellascuola.it (luglio 2014).
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