Prima di tutto il bene Docente di Pedagogia e Didattica Speciale, fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson, è Dario Ianes il protagonista del nuovo “viaggio nella società inclusiva” di Giorgio Genta, insieme alle “famiglie con disabilità”. E con lui proviamo a spiegare alcune “parole-chiave” del mondo della disabilità scolastica, come BES (Bisogni Educativi Speciali), Assistente sociale e altre ancora intervista a Dario Ianes* di Giorgio Genta, Superando 10.9.2013 Terzo personaggio che incontriamo (il numero ordinale è del tutto casuale, gli altri, in ordine altrettanto casuale, erano stati Tillo Nocera e Andrea Canevaro), di quella che per noi è la “Trimurti” che vigila sull’integrazione scolastica dei nostri figli con disabilità, Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, fondatore e anima culturale del Centro Studi Erickson di Spini di Gardolo (Trento), è una persona estremamente poliedrica: pensatore, docente, manager, organizzatore di grandi eventi culturali.
Più conosciuto dagli
insegnanti e dagli operatori del sociale che non dalle famiglie, lo
invitiamo a spiegare a queste ultime – con la semplicità di
linguaggio propria del buon docente – alcune parole-chiave del mondo
della disabilità scolastica di oggi e di domani. Ma cosa accomuna queste situazioni così diverse? Le accomuna il fatto che i loro bisogni educativi normalissimi (ad esempio di sviluppare autonomie o autostima ecc), per varie circostanze trovano maggiore difficoltà ad essere soddisfatti nell’interazione con l’ambiente: in questi casi, un bisogno educativo normale diventa “speciale” e richiede dunque un intervento educativo e didattico che è appunto “speciale”, cioè migliore, più efficace. E questo, naturalmente, nei contesti normali di vita, scuola, famiglia e comunità, che vanno arricchiti di competenze tecniche necessarie.
Le recenti disposizioni
del Ministero sugli alunni con BES [Direttiva Ministeriale del 27
dicembre 2012 e Circolare Ministeriale 8/13, N.d.R.] vanno nella
direzione di una scuola più inclusiva, che riconosca ad ogni alunno
con una qualche difficoltà il diritto a un percorso individualizzato
e personalizzato. È insomma un passo avanti nella direzione
dell’equità». «Quando iniziammo a pubblicare libri con Erickson, nel 1984, eravamo giovani psicologi dell’apprendimento che lavorando a fianco degli insegnanti e degli educatori (io lavoravo allora come psicologo di alcuni Centri ANFFAS, l’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), ci rendemmo conto della necessità di avere materiali pratici e utili per favorire gli apprendimenti e la partecipazione.
Abbiamo quindi iniziato
a tradurre materiali, a scrivere e a raccogliere colleghi sulla
stessa sintonia, anno dopo anno. Poi l’incontro con Andrea Canevaro
mi ha portato sempre più dentro i temi dell’integrazione scolastica.
Oggi è una grande soddisfazione vedere il percorso fatto e il
contributo che Erickson ha portato in questo campo».
«Nella mia carriera di
docente universitario ho iniziato proprio nei corsi per assistenti
sociali, mentre come volontario lavoravo a Trento in una cooperativa
sociale con le famiglie delle persone con disabilità (esattamente la
Cooperativa la Rete, di cui ricordo tanti e tanti gruppi di auto
mutuo aiuto…) e credo che la figura dell’assistente sociale possa
diventare un perno organizzatore di una rete di interventi e di
Istituzioni che spesso parlano linguaggi diversi. Questo ruolo di
mediazione e di potenziamento delle risorse delle famiglie è
prezioso».
«Le Amministrazioni
Pubbliche di queste due Province, le scuole e le università hanno
saputo gestire abbastanza seriamente la grande quantità di risorse
economiche derivanti dalle autonomie speciali. Abbiamo certo molte
risorse, ma anche un capitale umano fatto di cooperazione sociale e
di tenacia da “montanari”. Qualcosa di innovativo l’abbiamo fatto
nella scuola, ma non dobbiamo chiuderci tra le ridenti montagne,
dobbiamo uscire e coinvolgere le tante altre realtà italiane che si
trovano in situazioni diverse».
«Si deve fare il bene
degli studenti con disabilità! E le famiglie sono un attore
fondamentale del sistema, partner principale che tutela il
raggiungimento dei fini dei processi di integrazione scolastica. Un
alunno con disabilità va a scuola per imparare un sacco di cose, per
socializzare bene con i compagni e per ricevere e fare anche qualche
invito alle feste di compleanno… questi sono i fini veri
dell’integrazione. Le famiglie devono controllare i fini, i
risultati. Anche a costo di conflitti.
* Dario Ianes, |