Quota 96: quando il diritto alla pensione viene negato

Nonostante appelli e ricorsi, non è ancora stato sanato l'errore della Riforma Fornero che ha beffato qualche migliaio di insegnanti. Docenti che con le vecchie norme erano ormai vicini a raggiungere i requisiti necessari per accedere al trattamento pensionistico e poi "costretti" a restare in servizio. Alcuni anche per cinque o sei anni. Il comitato chiede ancora risposte, ma governo e politica latitano

di Alberto Sofia, Giornalettismo 17.9.2013

È passato più di un anno, tra attese, appelli e ricorsi: molte promesse, ma il diritto alla pensione resta ancora un miraggio. «Conosciamo il problema, ci stiamo lavorando», si sentono ripetere da troppo tempo migliaia di docenti e lavoratori del mondo dell’istruzione. Fanno parte dei cosiddetti “Quota 96”, insegnanti rimasti beffati dalla “riforma Fornero”, tanto da essere ribattezzati come gli “esodati della scuola”. In realtà, rispetto al nodo di chi è rimasto senza reddito e senza pensione, fuori dal processo produttivo ancora per troppo tempo prima di raggiungere i requisiti previdenziali -inaspriti con la riforma delle pensioni del governo Monti, ndr – il problema dei “Quota 96” è diverso. Saranno “costretti” a continuare a lavorare, sebbene in molti avessero già richiesto di entrare in pensionamento. Il motivo? Le regole precedenti consentivano di maturarne il diritto, poi la riforma ha fatto saltare tutti piani. Tanto che non pochi, se la politica non riuscirà a trovare soluzioni, si ritroveranno a dover aspettare ancora cinque o sei anni. Nonostante l’età che avanza e le difficoltà evidenti, per chi ha superato i 60 anni, di «rispondere alle tante esigenze di bambini piccoli e vivaci», hanno spiegato.

QUOTA 96 E LA BEFFA DEL PACCHETTO SCUOLA -  Dopo mesi di polemiche e presidi, in tutta Italia, la questione doveva essere affrontata e risolta – insieme ai nodi degli inidonei e degli insegnanti di sostegno – con l’ultimo “pacchetto scuola”, il decreto legge approvato in Consiglio dei ministri. Ma l’attesa dei “quotisti” è stata vana: anche questo provvedimento non ha affrontato il problema di “Quota 96”, così come aveva anticipato la deputata Manuela Ghizzoni del Partito democratico, denunciando un nuovo «schiaffo ai diritti dei lavoratori». E parlando di un grave errore del proprio partito: «Un vulnus per la credibilità del Pd che alla soluzione del problema aveva dato pieno avvallo politico», aveva spiegato con un’intervista al Manifesto. Anche perché lo stesso Partito democratico aveva inserito la problematica nel suo programma di governo per il settore scuola:

«Occorre permettere il pensionamento di quanti (docenti e Ata) sono rimasti ‘impigliati’ nella riforma Fornero, in particolare sanando l’ingiustizia subìta dai lavoratori della scuola della cosiddetta “quota 96”. In questo modo non solo si libererebbero posti di lavoro, ma avremo la possibilità di allineare l’Italia all’Europa per quanto riguarda l’età anagrafica dei docenti», si leggeva.

Parole e promesse ancora non mantenute, nonostante l’impegno della Ghizzoni: la democratica è la prima firmataria di una proposta di legge – la C249 – ritornata in commissione Lavoro, dopo il passaggio a quella “Bilancio”, per problemi di copertura economica. Un disegno di legge, con il quale si tentava di risolvere gli errori post-Fornero per il comparto scuola, simile a quello presentato dal MoVimento 5 Stelle  (con prima firmataria la “cittadina” siciliana Maria Marzana). Tanto che i due testi sono stati alla fine unificati. Ma se la partita in Parlamento rischia di essere ancora lunga, il comitato di Quota 96 non intende arrendersi: già nei giorni precedenti all’annuncio del Decreto legge Istruzione, decine di insegnanti avevano organizzato presidi di fronte a Montecitorio, rivendicando quello che considerano come  «il riconoscimento di un diritto, non un privilegio». Hanno contestato il pacchetto scuola, un provvedimento dal valore di 400 milioni di euro, con il quale il Governo Letta ha spiegato di voler tornare ad investire sull’istruzione, dopo anni di tagli. Ma che non sembra bastare ai lavoratori del settore. Mentre si prepara un autunno turbolento, già i sindacati autonomi (Cobas, Cub, Usb) hanno proclamato uno sciopero generale per il 18 ottobre per tutte le categorie, ma con un’attenzione particolare al pubblico impiego: il comitato civico “Quota 96” ha già rilanciato l’iniziativa sul proprio sito, per continuare la protesta.

QUOTA 96: GLI ERRORI DELLA LEGGE FORNERO – Le risposte della politica si fanno attendere, nonostante il lavoro di diversi singoli deputati insieme al comitato Quota 96. La stessa ministra Maria Chiara Carrozza tentenna, di fronte alle richieste degli insegnanti. «Ho più di 60 anni, dovevo andare in pensione il 1 settembre dello scorso anno, poi la Fornero ha stravolto tutto. Le sembra giusto dover aspettare ancora tutto questo tempo?». Una domanda e un appello simile per tanti “quotisti”, tra docenti e personale Ata (amministrativi, tecnici ed ausiliari). Ma la titolare del dicastero dell’Istruzione si è limitata a spiegare più volte di «comprendere il problema»  e di essere «alla ricerca di una soluzione». Così per Quota 96 la risposta sembra sempre la stessa: «Continuate ad aspettare». Soltanto per vedersi riconosciuto un diritto. “Sequestrati” al lavoro – come hanno spiegato con sarcasmo diversi insegnanti coinvolti nel caso – , per un errore di legge. In base a quanto previsto dalla normativa precedente alla riforma Fornero, ai lavoratori dipendenti, per maturare i requisiti per accedere alla pensione, era necessario raggiungere la cosiddetta “quota 96”. Quel numero che, mettendo insieme età anagrafica e contributiva, il dipendente doveva conseguire (61 anni di età e 35 anni di servizio o 60 di età e 36 di servizio) per accedere al trattamento pensionistico (erano sufficienti anche 40 anni di contributi, indipendentemente dall’età, ndr). Poi la Riforma Fornero ha modificato il sistema: chi si trovava ormai prossimo alla pensione – molti erano stati i docenti che, nell’ottobre 2011 avevano già fatto richiesta di pensionamento, dato che avrebbero raggiunto la quota entro la fine dell’anno scolastico, ndr – ha visto così allontanare quel traguardo. In media di quattro anni, anche se c’è chi dovrà aspettarne anche cinque o sei.

Ma da dove nasce il problema? «Tutto il pasticcio deriva dal fatto che la legge Fornero ha indicato come termine ultimo per raggiungere i requisiti il 31 dicembre 2011, senza tenere conto che i lavoratori della scuola, a differenza degli altri della pubblica amministrazione, hanno una propria specificità», ci spiega Kiara Farigu, che fa parte del Comitato. Il motivo è semplice: «Questi dipendenti lavorano in un arco di due anni solari, dato che iniziano il 1 settembre e finiscono il 31 agosto», precisa.  Se in passato per i lavoratori del comparto scuola era stabilita la maturazione del requisito non al termine dell’anno solare, bensì alla fine dell’anno scolastico, la Fornero ha dimenticato questo particolare non certo irrilevante. Un banale errore di calcolo, non corretto dal Ministero, che ha danneggiato soprattutto i lavoratori della scuola nati nel 1952, che avrebbero maturato i requisiti al 31 agosto 2012. «A differenza di altri settori, per noi esiste soltanto un’unica finestra di uscita previdenziale», ricorda Farigu, sottolineando come sia possibile andare in pensione soltanto tra il 31 agosto e il primo settembre, per evitare di lasciare una classe di alunni nel corso dell’anno scolastico. Un’esigenza che ha spinto le passate riforme a tenere in conto questa specificità, compresa quella del 2007 di Cesare Damiano, l’ex ministro del Lavoro del governo Prodi che modificò la riforma Maroni, sostituendo lo “scalone” proprio con le “quote”. A cadere nell’errore è stata invece la Fornero, già “colpevole” nella questione esodati. Eppure per molti partiti e onorevoli – compresa parte del Pd – la sua riforma è vista ancora come un totem. Qualcosa di intoccabile, un sinonimo di riformismo, nonostante i difetti evidenziati.

QUOTA 96: TRA NUMERI E COPERTURE CONTROVERSE – Non sono mancati i ricorsi: alcuni  giudici del lavoro ha dato ragione ad alcuni ricorrenti, ma ad avere l’ultima parola dovrà essere la Corte dei Conti (un verdetto è atteso per il 14 novembre, ndr). «In un caso, invece, il giudice del Lavoro del Tribunale di Roma ha accertato il diritto di una ricorrente di essere collocata in quiescenza dal 31 agosto 2012. Il Miur non si è appellato e in questo caso la ricorrente è riuscita ad accedere al trattamento pensionistico», ha ricordato Farigu. Ma per la gran parte la questione è rimasta aperta. In attesa di una soluzione di carattere politico, i membri di Quota 96 attendono anche altri verdetti di natura giudiziaria. Per il 19 novembre prossimo è atteso soprattutto l’intervento della Corte Costituzionale, dopo il  ricorso presentato da una docente contro il Miur. Ma chi si vede ormai da diverso tempo non riconosciuto il proprio diritto continua a sperare che la politica non continui a temporeggiare. Il nodo resta quello della copertura economica, considerato che, per permettere ai quota 96 di andare in pensione, sono necessarie determinate risorse. Trovare i fondi resta complicato, dopo quelli utilizzati per cancellare il pagamento della quota Imu per il 2013 (in attesa dell’entrata in vigore della Service Tax). Senza dimenticare come sia ancora aperto il dibattito per evitare l’aumento dell’Iva dal primo ottobre dal 21 al 22%, inizialmente previsto per lo scorso luglio e poi congelato dal Governo Letta. Ma quanti soldi servono per trovare una soluzione al problema di Quota 96? Forse un centinaio di milioni di euro, anche se non c’è chiarezza sulle cifre. Anche perché non si conosce nemmeno quante persone siano comprese nella vicenda “Quota 96”. «Quando il disegno di legge è approdato nelle Commissioni i numeri sono cominciati a lievitare. Se in un primo tempo il Miur aveva parlato di 3500 persone rimaste bloccate in servizio, poi le cifre sono aumentare fino a sei mila. Alla fine, è stato l’Inps a parlare di nove mila soggetti coinvolti», spiega Kiara Farigu. Denuncia come, attraverso un “balletto dei numeri”, la copertura economica necessaria per sostenere il disegno di legge si sia di fatto triplicata, arrivando fino a 200 milioni di euro circa: «La questione è diventata troppo costosa da affrontare in questo momento. E siamo stati di fatto sacrificati tra le emergenze». Eppure, secondo Farigu, sulle cifre resta molta confusione.  «Ci sembra un numero francamente esagerato», precisa. E comunque i “quotisti” non intendono restare vittima di una battaglia numerica: «Non importa come. Devono rimediare agli errori di legge e salvaguardare il nostro diritto. Chiediamo solamente solo ciò che ci spetta e che stenta ad esserci riconosciuto. Anche dal PD, nonostante gli impegni formali in tal senso», ribattono, dopo aver manifestato anche di fronte alla sede romana del partito. Per fare chiarezza hanno però chiesto alla ministra Carrozza un censimento effettivo: basterebbe la collaborazione delle scuole.

DIRITTI DA TUTELARE – Denunciano come il Ministero sia stato per ora assente, nonostante le promesse pubbliche. «Dicono che stanno lavorando, ma, viste come sono andate le cose, restiamo perplessi», spiega Farigu. «Alla ministra Carrozza, attraverso Manuela Ghizzoni, abbiamo anche presentato un appello del dottor Vittorio Lodolo D’Oria, un esperto in malattie professionali degli insegnanti. Comprese quelle da “burnout”, legate ai carichi eccessivi di stress ai quali siamo soggetti. Ma la ministra non si è mai degnato di risponderci», accusa Farigu. Eppure le speranze ci sono ancora, considerato il canale aperto con diversi parlamentari: «Oltre alla Ghizzoni, sia Annalisa Pannarale, per Sinistra Ecologia Libertà, e Maria Marzana, per il MoVimento 5 Stelle, sono al nostro fianco», sottolinea.

Le soluzioni? Si riparte soprattutto dalla proposta di legge – quella che ha unificato i testi Ghizzoni-Marzana – tornata in Commissione Lavoro: «Misure alternative non sono state trovate. Qualche possibilità ci sarebbe con la legge di stabilità e con un emendamento con la legge di conversione del dl Imu-Cig-Esodati, che stabilisce un fondo per l’accesso ai trattamenti pensionistici per chi aveva maturato i requisiti prima della Legge Fornero», spiega Annalisa Pannarale. Ma sottolinea come siano percorsi ancora da costruire. Il prossimo passo è previsto per giovedì 19 settembre: «Si riunirà il Comitato dei nove, ovvero quello ristretto che vede la presenza di tutti i gruppi parlamentari che fanno parte della Commissione e che si occupa di portare in Aula il lavoro. Certo, i tempi non sembrano ristretti, ma speriamo di leggerlo come un passo in avanti», sottolinea. «Di certo utilizzeremo ogni modo per cercare di sanare questa vicenda che è drammatica e ridicola, considerato come abbia messo a rischio i progetti di vita delle persone, partendo da un errore del legislatore». Aggiunge come sia compito dello stesso «sentirsi in dovere di sanare questa situazione».

LE ACCUSE AL GOVERNO – Diritti riconosciuti, ma lesi in assenza di una copertura finanziaria. Senza contare il rimpallo dei numeri tra Miur e Inps: «Il ministero aveva dato cifre senza dubbio più attendibili: siamo di gran lunga al di sotto dai nove mila paventati dall’Inps. Pannarale precisa: «Noi non vogliamo entrare in questa dinamica: partecipare a questo gioco, significa avallare l’idea che i diritti ci siano soltanto quando c’è la copertura finanziaria. Invece andrebbero garantiti comunque». Per questo attacca le ultime misure in materia fiscale del governo: «È evidente che, di fronte a un governo di larghe intese costretto a rispettare i diktat e gli impegni presi con Berlusconi, compreso quello di eliminare l’Imu anche per chi potrebbe permettersi il pagamento della stessa, non tenendo conto di un principio di progressività,  diventa complicato dare risposte alle priorità del Paese», spiega Pannarale. Secondo l’esponente di Sel, prima dovrebbero arrivare risposte per esodati, cassintegrati, Quota 96, studenti e pendolari, considerata anche l’assenza di politiche che garantiscano il diritto alla mobilità. L’obiettivo è fare pressione perché la proposta di legge arrivi in aula: «Se non ci sarà la volontà politica, spingeremo per ogni possibile decretazione d’urgenza, quella abusata in altri casi dal governo, togliendo potere legislativo al Parlamento», conclude Pannarale.

Anche Maria Marzana del M5S, prima firmataria del disegno di legge poi unificato con quello della Ghizzoni, denuncia il rischio che permangano resistenze politiche in futuro: «Da mesi questa proposta viene discussa nelle Commissioni, ma quella Bilancio l’ha rimandata indietro. Noi avevamo presentato una copertura inattaccabile, prima tassando i bitumi di petrolio, per colpire le compagnie petrolifere. Poi in sede di discussione, abbiamo proposto di tassare le transazioni finanziarie», spiega. Ricorda quelle che ritiene le responsabilità del governo: «Fin dall’inizio è stato reticente sui numeri, riluttante nel trovare una soluzione. E comunque quando c’è un diritto negato, il problema non può essere rappresentato dalla copertura finanziaria», aggiunge Marzana. Ma anche sulle coperture previste nella proposta del Pd per il M5S sono stati fatti degli errori: «Tanto che alla fine il Bilancio l’ha rimandata indietro», ricorda Marzana. Auspica che il lavoro vada avanti: «La collaborazione, anche con gli esponenti del Pd, c’è stata in merito a questo provvedimento, ma poi bisogna anche vedere qual è la posizione del partito e la sua volontà», precisa, sottolineando come il «Movimento 5 Stelle continuerà a cercare di risolvere il problema di Quota 96». Così come quello di altri diritti negati. Non manca la critica al pacchetto scuola: «Si è fatta molta retorica e pochi atti concreti. I problemi di scuola, università e ricerca restano gli stessi». Ricorda le cifre: «Non possono bastare 400 milioni di euro del provvedimento del governo, a fronte di 7,8 miliardi di euro tagliati nella scorsa legislatura. Fondi che non sono stati ripristinati, nonostante le nostre richieste», attacca.  Dove trovare i soldi? «Si tratta di una questione di scelte: d’altra parte in aula sono passati provvedimenti come lo stanziamento di 50 miliardi per il programma F35, mentre non si trovano 100 milioni circa per Quota 96», conclude.  Tutto mentre qualche migliaia di lavoratori resta ancora in attesa: «Abbiamo cercato la mediazione, per ora non è andata bene. Ma non abbiamo nessuna intenzione di mollare. Non escludiamo di tornare in piazza, anche se speriamo la politica riesca a fornirci finalmente una risposta», concludono dal Comitato. Soluzione in tempi brevi e non soltanto promesse di carta.