Essere insegnanti e docenti

Occorre sviluppare interesse e motivazione

di Maurizio Tiriticco*, ScuolaOggi  7.9.2013

E’ corretto affermare che “nessuna riforma può avere successo se non vengono sviluppati nei docenti interesse e motivazione verso la propria professione (che indubbiamente deve essere legata ai risultati)” e che “nessun sistema di valutazione degli insegnanti e della scuola può essere avviato se non vengono rifondate le basi del livello di professionalità dei docenti in servizio”. Di qui la necessità di una loro formazione continua in servizio (altra cosa rispetto all’aggiornamento, che riguarda le conoscenze e le competenze disciplinari), la cui obbligatorietà, a mio avviso, non discende tanto da un disposto contrattuale, quanto da una diffusa consapevolezza di dover disporre di strumenti professionali sempre nuovi per far fronte a soggetti in apprendimento che giorno dopo giorno propongono bisogni la cui lettura risulta spesso difficile. Del resto, non c’è professionista, oggi, che non debba costantemente arricchire le sue competenze professionali, in relazione ai costanti mutamenti che caratterizzano qualsiasi comparto lavorativo.

Di qui, a mio avviso, la necessità di insistere sul concreto "comportamento insegnante" nelle relazioni con gli alunni. E’ inutile parlare di abilità e competenze, quindi di precisi comportamenti pluridisciplinari che i nostri studenti debbono acquisire, se i nostri docenti persistono nel proporre e perseguire contenuti e conoscenze spesso solo disciplinari. E’ inutile proporre una didattica laboratoriale (non c’è documento di riordino di cicli che non ne parli), se la lezione cattedratica e il libro di testo continuano a essere gli strumenti apprenditivi di sempre. E’ inutile parlare di progettazione didattica, quando spesso sia gli alunni che gli insegnanti non sanno quali obiettivi specifici di apprendimento perseguono.

Dagli anni Settanta fino ad oggi ricercatori come i De Landsheere, Mauro Laeng, Graziella Ballanti, Clotilde Potecorvo (di lei ricordo i recenti La scuola come contesto, Discutendo si impara), si sono occupati della cosiddetta “mediazione didattica”, del come e perché l’insegnante debba in primo luogo sollecitare curiosità, stimolare attenzione e ricerca, motivare al “fai da te” e al “fai da te con altri”. Oggi l’insegnante non è più depositario di un sapere che deve trasmettere, perché oggi non esistono più saperi codificati e perché, in effetti, da sempre un sapere si conquista e non si trasmette. Preferiamo parlare di “insegnante collettivo”, dal momento che nello stesso contratto di lavoro si insiste sul fatto che l’insegnante deve svolgere “attività individuali e collegiali” e avere competenze anche “organizzativo- relazionali”.

Una scuola che si è adagiata sui processi cognitivi lineari fa molta fatica oggi a misurarsi con quei processi cognitivi reticolari a cui i nostri figli sono sollecitati fin dalla nascita! Ed è quanto mai difficile nelle scuole insistere e persistere sulla intelligenza analitico/digitale, quella di sempre, quando studiosi come De Bono (Il pensiero laterale, Sei cappelli per pensare) o Gardner (Le intelligenze multiple) dimostrano che esiste un’altra forma di intelligenza, quella sintetico/analogica, che è quella che caratterizza le operazioni cognitive dei nostri ragazzi. In questa direzione vanno anche le sollecitazioni di un Morin nel noto saggio I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Mi piace ricordarne solo due: insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso; insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. Quanto giocano i processi intuitivi della “mano sinistra” – per dirla con il Bruner – a fronte dei processi analitici della “mano destra”?

Mi sono limitato ad accennare semplicemente a “strumenti di lavoro” nuovi che un insegnante deve conoscere e padroneggiare. Ciò non significa cancellare la lezione in assoluto, ma arricchirla con mille altre modalità interattive che devono far parte delle competenze professionali dell’insegnante. E un chiaro accenno alla complessità di queste competenze discende anche dagli articoli 26 e 27 dell’ultimo Ccnl.

Per non dire del problema della valutazione! Da un lato l’Invalsi propone prove assolutamente nuove rispetto alla tradizione valutativa della nostra scuola (prescindo da un giudizio di merito sulla natura e l’efficacia di tali prove); dall’altro insegnanti e alunni, in larga misura, non ne comprendono né l’efficacia né il valore. Da un lato un Ministero che con il ritorno ai voti ci riporta al secolo scorso, dall’altro le prove Pisa che sollecitano strategie risolutive “creative” ad alunni troppo abituati a esercizi “applicativi” di regole diligentemente apprese.

Nelle scuole si avvertono mille difficoltà sulla tematica dell’innovazione che sia le Indicazioni nazionali che le Linee guida sottendono e timidamente propongono. Per quanto riguarda il primo ciclo sono state varate delle misure di accompagnamento! Riusciranno ad incidere sui concreti quotidiani comportamenti degli insegnanti? E per il secondo ciclo che cosa si sta predisponendo?

Voglio sperare che l’iniziativa avviata da Tuttoscuola solleciti gli insegnanti e tutti coloro che hanno a che fare con la scuola – governanti e governati – a entrare nel vivo dei problemi che ho appena accennati. E voglio anche credere che siano gli insegnanti stessi a pretendere di essere formati in progress con cadenze continue per far fronte ai problemi che un’utenza sempre nuova propone con forza.

E a pretendere anche di essere convenientemente retribuiti!



* Esperto di didattica, già ispettore centrale del Miur