“In certe zone del Sud non c'è
altro di P.A. La Tecnica della Scuola 17.9.2013 Una semplice inchiesta tra alcune scuole secondarie di primo grado, distribuite in zone e comuni precisi, lasciano intravvedere quali scelte i ragazzi, a conclusione del terzo anno, saranno costretti a fare per le superiori e solo per motivi economici e sociali. Dopo la media inizia il divario anche fra i ragazzi Il Corriere intervista Filomena Zamboli, dirigente scolastico del liceo Pascale di Pompei: “Vado a prendere a casa i miei studenti”. Difficoltà logistiche a scuola? Tante, dice la preside, a incominciare dalla sedie per mancanza delle quali si rischiava di non aprire una delle sedi distaccate. Ma ha provveduto una associazione di volontariato, visto che la Provincia non ha soldi per l’istruzione. La preside racconta fatti, difficoltà e non si lascia certamente prendere dalla facile retorica: “In Campania la scuola è al servizio del contesto sociale, e lo so per esperienza ma anche per i racconti di tutti i colleghi, visto che sono presidente della Disal regionale. Ho lavorato per anni a ridosso del quadrilatero delle carceri di Torre Annunziata: con i docenti organizzavamo i turni per andare a prendere i ragazzi a casa e riportarli dopo la scuola, altrimenti le classi sarebbero state vuote. E le famiglie che dicevano? Per loro spesso era indifferente. C’erano anche tantissime mamme straniere, che lavoravano per fare le pulizie negli uffici, e dovevano uscire di casa troppo presto, non avrebbero mai potuto accompagnare i figli a scuola. Noi lo facevamo non per volontarismo, ma per senso di responsabilità”. “La scuola campana è eroica, da tanti punti di vista. Pensi alla condizione strutturale: Napoli stesa è un sovrapporsi di stili architettonici, di palazzi addossati gli uni agli altri. La periferia è solo una continuazione di quest’ammasso di case e strade strette. E le scuole devono trovare spazio in questi edifici, senza palestre né aule magne per le assemblee, ma solo stanze adattate: se venisse un terremoto, gli studenti non avrebbero scampo”. Né la dirigente individua vie di uscita per sviare tali follie delle istituzioni e che in un'altra Nazione d’Europa farebbero gridare all’indignazione e alla immediata soluzione di tanto rischio. “No, non c’è via di uscita, questa è una pecca antica della nostra scuola, dobbiamo imparare a conviverci, come con il napoletano, che è la prima lingua madre di tanti studenti. Non puoi ignorarlo, devi partire da lì e farci i conti: il dirigente scolastico è l’unico funzionario pubblico in Italia ad essere responsabile di una struttura anche se non ne è proprietario. Il docente, unico caso in Europa, è l’unico ad avere la responsabilità anche civile dei minorenni. Non possiamo sottrarci.” E allora, dice la preside, bisogna organizzarsi: “Nelle scuole dove ho lavorato ho sempre costruito persino gli orari di entrata e uscita sulla base del contesto sociale. Se so che i genitori non sono in grado di venire a ritirare i propri figli a quell’ora, devo dilatare i tempi di uscita. Anche chiedendo un po’ di aiuto agli insegnanti, che non possono stare con l’orologio in mano: nessun insegnante si è mai venuto a lamentare perché si è dovuto trattenere cinque-dieci minuti in più, sanno tutti che l’alternativa è perdere un alunno”. E gli alunni, al di là della didattica, sono i futuri cittadini e non bisogna consentire di disperderli: “Ho sempre fatto in modo da organizzare le classi in maniera che quelli problematici siano distribuiti, e non concentrati. Un grosso lavoro a monte evita problemi a valle. E quando proprio non riuscite a sostenere la situazione? Servizi sociali, forze dell’ordine: ho chiesto tante volte aiuto. E sempre ricevuto tantissima disponibilità, anche nei contesti più complicati. Pensi che il servizio psicologico di supporto delle Asl copre dai 5 ai 7 comuni, eppure le psicologhe riescono sempre a trovare tempo e spazio per le nostre segnalazioni. Una volta una neuropsichiatra infantile è venuta agli incontri con i miei ragazzi difficili fino al nono mese di gravidanza, quando ormai avrebbe dovuto per legge non lavorare più, pur di non abbandonarli”. E di fronte a tali gravissimi problemi, i test Invalsi invece descrivono insuccessi: “I risultati dei test sono reali e non frutto di copiature collettive o dettature di classe. Ma forse dovremmo chiederci che valore hanno questi test standard per tutti. Non siamo una scuola come le altre, forse dovrebbero misurare la capacità sociale dei ragazzi”, nel senso che “un ragazzo che non ha campi da calcio, né piste ciclabili né ville comunali dove andare a giocare, e ha la scuola come unica risorsa, ha fatto enormi passi in avanti se è riuscito a integrarsi e a staccarsi da un ambiente sociale di provenienza malato. La scuola che facciamo noi consegue dei risultati che nessuno prende in considerazione.” Forse perché, aggiunge la preside di Pompei “Io sono innamorata di questo lavoro: ogni ragazzo, ma anche ogni docente, è un pezzo di umanità in evoluzione, è la vita, è un’occasione da cogliere. Ogni passo in avanti è un passo verso la vita. Per questo anche il nostro Stato dovrebbe cominciare a trattare la scuola come un bene prezioso. Così come si è attenti alle esigenze di ogni studente, tutte diverse le une dalle altre, allo stesso modo non si possono trattare le scuole allo stesso modo in tutte le regioni, in tutte le realtà. Per la scuola eroica, ci vuole uno sguardo da super-eroi.” Sarebbe il caso però che qualcuno lo facesse sapere a quei tromboni che con troppa facile demagogia amano dividere e giudicare, condannare e mortificare, sobillare e umiliare. |