Quota 96 scuola: il Governo Letta alle prese
con la pensione degli insegnanti

 di Mario Bello, Nano Press 18.9.2013

Il problema degli esodati non è l’unico nodo caldo che il governo Letta ha ereditato dal precedente governo Monti. Esiste anche un caso ‘quota 96‘ che riguarda le pensioni della scuola e che, in qualche modo, possiede tratti in comune con quanto accaduto ai lavoratori esodati. Anche gli insegnanti sono rimasti beffati dalla Riforma Fornero, seppure in modo diverso rispetto agli altri: molti già prossimi alla pensione sono stati costretti a tornare in servizio per raggiungere i nuovi requisiti per il pensionamento. E ora il nuovo esecutivo si trova a gestire una patata bollente, perché ci sono casi di insegnanti che, nonostante abbiano superato i 60 anni, saranno costretti a lavorare ancora per oltre 6 anni.

Si dirà che essere costretti a lavorare più del previsto è sempre meglio che ritrovarsi fuori dal lavoro e d’improvviso lontani dalla pensione. Questo è ovvio, ma in ogni caso la questione degli ‘esodati della scuola’ è comunque il frutto marcio di una riforma realizzata in fretta e senza una pianificazione attenta degli effetti complessivi. Il problema, se vogliamo, nasce da una dimenticanza imbarazzante dell’ex ministro Fornero nella legge da lei firmata, che ha indicato come termine ultimo per raggiungere i requisiti di pensione con le vecchie regole il 31 dicembre 2011. Questo termine valido per tutti i lavoratori. Fatto è che gli insegnanti, a differenza degli altri della pubblica amministrazione, hanno caratteristica specifica. Quale? Che lavorano in un arco di due anni solari, dal 1 settembre e finiscono il 31 agosto, ed è in questo periodo che maturano i requisiti per la pensione.

Ma se in passato la maturazione avveniva alla fine dell’anno scolastico (per evitare di lasciare scoperte le classi), la riforma ha cancellato questa diversità, mettendo in crisi l’intero calcolo previdenziale. I più danneggiati sono stati i lavoratori della scuola nati nel 1952, che avrebbero maturato i requisiti al 31 agosto 2012, ovvero quelli che sono stati soprannominati ‘esodati della scuola‘. Dopo mesi di polemiche, neanche il recente pacchetto scuola del governo Letta ha messo mano alla questione della ‘quota 96′, di fatto venendo meno alle promesse elettorali del PD, che ponevano l’accento anche sulla necessità di “permettere il pensionamento di quanti (docenti e Ata) sono rimasti impigliati nella riforma Fornero, in particolare sanando l’ingiustizia subìta dai lavoratori della scuola della cosiddetta quota 96. In questo modo non solo si libererebbero posti di lavoro, ma avremo la possibilità di allineare l’Italia all’Europa per quanto riguarda l’età anagrafica dei docenti“. Dalle parole pochi fatti.

Il problema, come sempre, riguarda la copertura economica del provvedimento che consentirebbe a questi lavoratori di andare in pensione. Trovare i fondi, in un periodo in cui si è cancellato l’Imu e si cerca di evitare l’aumento dell’Iva, resta molto complicato. Il fatto è che non si conosce neanche la cifra esatta degli insegnanti coinvolti nella quota 96, così non è possibile quantificare l’esborso necessario. Secondo il Comitato che riunisce questi lavoratori, “da quando il disegno di legge è approdato nelle Commissioni i numeri sono cominciati a lievitare. Se in un primo tempo il Miur aveva parlato di 3.500 persone rimaste bloccate in servizio, poi le cifre sono aumentare fino a 6mila. Alla fine, è stato l’Inps a parlare di 9mila soggetti coinvolti“. Stando così le cose ci vorrebbero almeno 200 milioni di euro. Soldi che, allo stato attuale, il governo non ha.