Oliva (TreeLLLe): «L’Italia corre il rischio
di una totale statalizzazione della scuola»
Il decreto Scuola non basta a risolvere
i problemi italiani. Intervista a Attilio Oliva: «L’ipotesi di uno
Stato, unico gestore monopolistico del servizio scuola, è pericolosa.
di
Matteo Rigamonti,
Tempi.it 14.10.2013
Selezione dei dirigenti scolastici e del corpo docenti,
organizzazione del sostegno alle diverse disabilità, parità
scolastica. L’emergenza scuola continua e il decreto del
governo Letta non è sufficiente a risolverla, come dichiara a
tempi.it Attilio Oliva, presidente dell’associazione TreeLLLe, come
Life Long Learning, che ha come obiettivo il miglioramento della
qualità di educazione, istruzione e formazione in tutte le sue fasi.
Oliva, da dove può partire una seria riforma
della scuola?
Dal reclutamento dei dirigenti scolastici. Il suo ruolo
infatti è strategico nella scuola come in ogni altro tipo di
organizzazione. Un cattivo dirigente può creare gravi danni alle
scuole che gli sono affidate. È fondamentale che l’attuale sistema
di reclutamento sia superato, perché è inaccettabile che per 2 mila
posti da dirigente si presentino 38 mila insegnanti come è appena
successo all’ultimo concorso. Con tutti gli esiti nefasti che ben
conosciamo, ricorsi e controricorsi compresi. È stato un vero e
proprio fallimento. Quello del dirigente scolastico non è un lavoro
che può fare chiunque, è indispensabile essere in grado di dirigere
una struttura e avere, pertanto, una vera e verificata vocazione
alla leadership.
Quali cambiamenti proponete?
Nessun concorso basato su prove scritte ed orali può garantire che
chi lo superi sia in grado di dirigere, cioè abbia una vocazione
alla leadership. Occorre la prova sul campo, prima della nomina e
non dopo; e occorre una prova “protetta”, cioè un tirocinio in
affiancamento a un dirigente esperto. Solo dopo un periodo di
osservazione “sul campo” di almeno un anno dovrebbe avvenire
l’assunzione vera e propria e l’affidamento di una scuola. Questo è,
per esempio, quel che accade in Francia, dove chi supera il concorso
resta per almeno tre anni nella posizione di “vicario” di un
dirigente. Solo dopo una sua valutazione positiva si può dirigere
una scuola con la piena responsabilità.
Affidare il reclutamento dei dirigenti alla
Scuola nazionale della pubblica amministrazione, come vorrebbe il
decreto Scuola, non è sufficiente?
Bene per il reclutamento “centralizzato”, che garantisca
credibilità alla selezione dei migliori. Ma la Scuola nazionale non
ha al suo interno le risorse professionali e la cultura per
selezionare questo tipo di personale. In Francia esiste una Scuola
nazionale di amministrazione per tutti i dirigenti pubblici (Ena),
mentre ce n’è una specifica e separata (Esen di Poitiers) per il
reclutamento e la formazione dei quadri dirigenti
dell’istruzione. Se per ragioni di tempo e di economia non si vuole
o non si può creare una scuola specifica, almeno si crei in seno
alla Scuola nazionale una sezione autonoma, guidata da personale con
esperienza specifica, selezionato fra i migliori in servizio o in
pensione.
E per quanto riguarda il reclutamento dei
professori?
Occorre portare ad esaurimento la famigerata graduatoria
dei precari, in modo da chiudere per sempre questa anomalia tutta
italiana, senza eguali in Europa, che umilia i docenti
costringendoli alla precarietà fino a 30/40 anni e anche più.
Inoltre andrebbe garantito almeno in parte l’accesso alla scuola per
le giovani leve di insegnanti: l’Italia, infatti, ha il corpo
docenti più vecchio d’Europa, con un’età media oltre i 50 anni.
Il Decreto consente l’inserimento di 26 mila nuovi insegnanti di
sostegno con contratti a tempo indeterminato. È positivo?
Sì, non dobbiamo dimenticare che l’Italia è stata il primo paese ad
attuare l’integrazione degli alunni con disabilità nelle classi
regolari secondo un modello innovativo poi seguito da molti Paesi
europei. Ma è anche fondamentale evidenziare che le disabilità non
sono tutte uguali: secondo la tipologia dell’Ocse possono esserci
“disabilità” con serie patologie organiche (categoria a),
“difficoltà” emotive o comportamentali meno gravi (categoria b)
oppure semplici “svantaggi” di origine ambientale e socio-economica
(categoria c). E in Italia la certificazione di disabilità è
riconosciuta spesso a tutti questi tipi di difficoltà, con una
meccanica assegnazione delle ore di sostegno. Ma così facendo
l’attuale sistema risulta molto costoso (4 miliardi di euro circa),
visto che coinvolge ormai 100 mila insegnanti di sostegno (nel 2002
erano 75 mila), poco trasparente a causa dell’allargamento
strisciante dei soggetti assistiti, che oggi sono oltre 200 mila
(nel 2002 erano 140 mila), e poco intelligente perché fondato solo
sul rigido binomio disabilità certificata-insegnante di sostegno.
Cosa si potrebbe cambiare?
Sarebbe più opportuno pensare a nuovi “centri per
l’integrazione” a livello territoriale con personale ad alta
specializzazione che esamini progetti di sostegno “personalizzati”
presentati dalle scuole, che assegni di volta in volta le risorse
finanziarie, professionali e tecnologiche necessarie e infine
verifichi l’efficacia delle soluzioni adottate. Così probabilmente i
costi complessivi smetterebbero di lievitare e il sostegno ai
singoli bisogni educativi speciali (Bes) sarebbe più intelligente e
mirato. È necessario poi sensibilizzare i decisori pubblici
all’urgenza e necessità di ripensare globalmente l’attuale
organizzazione del sostegno alle diverse disabilità attraverso nuove
modalità di utilizzazione (risorse umane, tecnologie, servizi
differenziati, tempi extrascolastici).
Il decreto ha stanziato risorse per gli studenti disabili della
scuola statale e non per quelli delle paritarie.
Einaudi vedeva come un grave pericolo l’ipotesi di uno Stato che
fosse unico gestore monopolistico del servizio scuola. Purtroppo è
quello che di fatto sta avvenendo: le scuole paritarie riguardano
non più del 5 per cento degli studenti e sono in diminuzione. Se c’è
un pericolo, non è la privatizzazione della scuola ma la sua totale
statalizzazione. In Italia, però, c’è una legge sulla parità
scolastica che prevede il concorso di soggetti non statali alla
costituzione dell’offerta di istruzione pubblica, che andrebbero
trattati con pari attenzione e considerazione. Certo, purché non si
tratti di diplomifici.