Scuola media unica: di Enrico Bottero, Pavone Risorse 20.10.2013 La scuola media unica aperta a tutti compie cinquant’anni. Ebbe inizio infatti nell’anno scolastico 1963/64. Ricordo che quell’anno entrai scuola con un certo orgoglio, quello di far parte della prima generazione chiamata a far vivere una nuova scuola, a inaugurare una nuova stagione. Ciò che ovviamente non potevo comprendere erano le ragioni profonde di questa scelta storica. Oggi è bene ricordare quel momento proprio in quanto, a distanza di tanto tempo, sembra essersi esaurita la spinta propulsiva di quegli anni. In un Paese che stava sviluppando la propria economia ed entrava nel novero delle potenze industriali, allora si guardava sia all’alfabetizzazione di tutti che alla riduzione delle disuguaglianze, segno che estensione dei diritti e sviluppo economico non sono in contrasto, ma al contrario sono direttamente legati. Oggi, al contrario, mascherata dietro belle parole, si profila sempre di più un’esigenza di selezione, di differenziazione, insomma una limitazione netta della mobilità sociale conquistata allora. L’attuale ossessiva campagna a favore del riconoscimento del “merito” nella scuola, va detto con chiarezza, è molto lontana dallo spirito di quell’epoca. A quel tempo, quando si parlava di riconoscimento ai capaci e ai meritevoli, si guardava alla grande massa di giovani esclusi dalla mobilità sociale a causa della loro origine familiare. Oggi si pensa al contrario a selezionare le “eccellenze”, non ad aprire porte, dunque, ma a chiuderle. La stessa parola, “merito” applicata alla scuola e privata del suo contraltare, “uguaglianza”, conduce inevitabilmente a quella che una volta si sarebbe definita “scuola di classe”. La battaglia condotta da Don Lorenzo Milani è dunque ancora di attualità ma contrasta con lo spirito del tempo.
Come si arrivò
alla scuola media unica? La Legge che fu varata nel dicembre 1962
sancì un compromesso tra i sostenitori di una scuola completamente
uguale per tutti (la sinistra dei socialisti e dei comunisti) e
quelli di una scuola differenziata (monarchici, missini e mondo
cattolico). Il compromesso, uno dei frutti più significativi della
nuova alleanza di centrosinistra tra democristiani e socialisti,
prevedeva una scuola unitaria che conservava alcuni aspetti
caratterizzanti il sistema tradizionale rendendo opzionali alcune
discipline (latino, educazione musicale, applicazioni tecniche). Fu
una vera e propria svolta. I figli delle classi popolari fino
all’anno prima erano destinati alla scuola di avviamento
professionale, una scuola di addestramento al lavoro subordinato cui
erano per tradizione destinati. Oggi ricordiamo questo evento perché quella visione conservatrice e corporativa ha ripreso l’iniziativa ed è alla base del lungo declino dell’Italia di questi anni. I dati recenti OCSE sull’alfabetizzazione degli adulti ci collocano come fanalino di coda nelle statistiche internazionali mentre ancora il 18% dei ragazzi abbandona la scuola. Abbiamo dunque bisogno di una scuola inclusiva, sostenuta e non abbandonata dallo Stato, che prima di “certificare” le competenze le sappia promuovere, non limitandosi alle competenze di primo livello, quelle più meccaniche, o alle semplici nozioni, ma sappia avviare alle competenze complesse e alla cultura. La lotta per risalire la china sarà lunga e richiede la responsabilità e l’impegno di tutti, a partire da classi dirigenti che sappiano avere una visione del futuro. Di lotta si tratta perché la “pedagogia è uno sport di lotta”. Lo ribadisce Philippe Meirieu nel suo ultimo libro, parafrasando il titolo di un film di qualche anno fa. Gli educatori, infatti, sono un po’ come al fronte, perché “devono ricordare continuamente, e prima di tutto a se stessi, che nessuno è destinato all’abbandono né condannato all’esclusione, che tutti possono apprendere e crescere, che la trasmissione della cultura non può avere per obiettivo la selezione delle elites, ma deve permettere a tutti di accedere al piacere di pensare e al potere di agire”[1]. Anche se di classi dirigenti responsabili per ora non se ne vede l’ombra, noi non possiamo né dobbiamo gettare la spugna.
[1] Philippe Meirieu, Pédagogie. Des lieux comuns aux concepts clés, ESF, Issy-les Moulineaux, 2013, p. 5. |