La discussione su BES e dintorni,
e ciò che occorre

di Domenico Sarracino, Pavone Risorse 4.10.2013

Da diversi giorni nel gruppo “Chiamalascuola” di FB si sta sviluppando un'interessante discussione sulla questione dei Bes e delle ricadute sulle scuole, che vede confrontarsi sostanzialmente due punti di vista: per semplificare da un lato Ianes e dall'altro Goussot.

Dico subito che mi trovo più vicino a Goussot ma, nello stesso tempo, vorrei provare a fare un passo in avanti ed andare a vedere alcune questioni pratiche affinchè la discussione possa essere di più diretta utilità. La questione dei Bes mi sembra ancora una volta una delle tante trovate ministeriali, buttate nell'arena delle scuole con molta approssimazione ed improvvisazione. Sono vicino a Goussot quando questi -sintetizzo- sostiene che non esistono bisogni speciali nè vede la necessità di complicate e pericolose classificazioni (discutibili anche ideologicamente), ma il problema di una didattica articolata-differenziata in rapporto ai diversi profili degli alunni. Giusto, ma vorrei provare a proporre uno spostamento più verso la concretezza e dentro le aule, dato che a me sembra che questo sia il fatto più importante.

Insomma è necessario porsi operativamente - una buona volta - il problema del superamento della lezione frontale e di come realizzare proposte di apprendimento articolate, graduate a seconda dei bisogni, basate sulla collaborazione-cooperazione e sul ruolo attivo dei discenti. E per fare questo occorre interrogarci su quali siano le condizioni professionali, organizzative, strutturali e strumentali che rendono ciò praticabile, non in questa o quella particolare situazione, ma nella generalità delle classi. Credo che l'insegnamento praticato si basi ancora, quasi generalmente sulla lezione frontale (spiegazione, qualche esempio quando c'è tempo, compiti a casa, controllo dei compiti, interrogazione) con differenze tra ordini di scuola ( meno nelle scuola primaria più in quella superiore).

L 'utilizzo di altre forme (collaborazione, compartecipazione, aiuto reciproco, ricerca -fatta come dio comanda-, cooperazione) vanno prendendo piede, ma restano ancora marginali. E non dobbiamo trascurare il fatto che queste forme di insegnamento-apprendimento, basate sul ruolo attivo degli apprendenti, non sempre sono già date, richiedono da parte dei docenti un affinamento professionale e una grande capacità di tenuta e di guida della classe ma anche adeguate condizioni numeriche, di spazi, di orari, di strutture e di strumenti. E queste condizioni di contesto non sono da sottovalutare ( come spesso si fa), perchè bisogna mettersi nei panni dell'insegnante che va in una classe dove i ragazzi non possono muoversi o ci si muove male, l'orario delle lezioni è stato contratto, magari l'ora di lezione è ridotta, le compresenze non ci sono, le apparecchiature ieri funzionavano e oggi no, ci sono fili appesi, tapparelle guaste ... e gli alunni sono tanti e i loro bisogni di ascolto, di attenzione e di individualizzazione sono crescenti.

Perciò credo che si continuerà a lungo, e con magri risultati, ad invocare una didattica nuova se non si riuscirà ad individuare le condizioni professionali e di contesto che rendono possibile la sperimentazione di una didattica più motivante ed attiva. Naturalmente la prima condizione è la preparazione professionale e l’adesione convinta ai nuovi modelli di didattica; ed anche qui bisogna di più riuscire a scendere nel concreto e al come si fa, utilizzando pratiche di formazione basate sulla ricerca e sul tentare e ritentare, cercando ed utilizzando le esperienze di buone pratiche, valorizzando chi ha già fatto un cammino in tal senso (con quella classe, in quel contesto, quell’orario, quei supporti), vedendo e discutendo materiali, prodotti, video… Mi piacerebbe che nelle scuole si provasse… pensando le cose dal momento in cui si entra in classe e si deve agire.