Editori, studenti, banda larga e Apple:
una intervista molto lunga al ministro Carrozza
di Riccardo Luna, il
Il Post 16.10.2013
Il 2 ottobre
scorso sono stato ricevuto dal ministro dell’Istruzione Maria Chiara
Carrozza nel suo ufficio al ministero a viale Trastevere.
Abbiamo avuto un lungo colloquio che prendeva le mosse dalla
pubblicazione del decreto ministeriale sui libri digitali di cui io
stesso avevo dato notizia sabato 28 settembre con un tweet. Avendo
parlato con il ministro qualche settimana prima avevo avuto modo di
apprezzare la sua appassionata visione sulla scuola ed ero ottimista
sul decreto tanto da mandare un tweet positivo ad occhi chiusi,
mentre mi imbarcavo da Bolzano per Roma; e invece atterrando a
Fiumicino mi sono accorto subito che la lettura del testo aveva
scatenato accese polemiche onestamente tutt’altro che infondate.
In particolare in
quelle ore via Twitter c’è stato un brusco botta e risposta con il
preside dell’Istituto Majorana di Brindisi Salvatore Giuliano (“E’
un regalo agli editori” “Lei come si permette?”); su Facebook
l’editore indipendente Agostino Quadrino (Garamond) aveva avviato
una discussione molto critica ancora non sopita; mentre Roberto
Scano, esperto tecnologo con una sensibilità al tema
dell’accessibilità, aveva messo il testo su un gdoc pubblico per
accogliere proposte migliorative del testo.
In realtà il testo è
intoccabile, nel senso che a differenza di un decreto legge, che
deve essere convertito in legge dal Parlamento, il decreto
ministeriale è immediatamente esecutivo dopo il visto della Corte
dei Conti. In questo contesto, e nei giorni in cui il governo Letta
sembrava al capolinea, il ministro mi ha invitato al ministero “per
chiarire”. Ho dato conto subito dei punti essenziali del suo
pensiero e del succo della polemica in corso il 4 ottobre su la
Repubblica. Ma quel resoconto a mio avviso aveva due difetti: non
rendeva giustizia di tutto il ragionamento del ministro e della sua
visione della scuola; e non offriva al mondo della scuola uno
strumento completo su cui impostare un dialogo con chi oggi ha la
responsabilità di guidare il passaggio al digitale. Spesso in realtà
i limiti di spazio dei quotidiani, riducono il tutto a un botta e
risposta che fa assomigliare anche le questioni più importanti e
delicate per il nostro futuro, e la scuola lo è, a delle mere
dispute “calcistiche”, trattate come se fossimo dei tifosi.
Ho finalmente trovato
il tempo di sbobinare l’intervista di dieci giorni fa. Ho deciso di
farlo e di metterla in rete in versione integrale, senza altri
aggiustamenti se non qualche correzione stilistica che la renda
comprensibile, perchè ritengo che per non si possa non partire dalla
scuola per far ripartire questo paese; ma da questa frase che tutti
ripetono a macchinetta, discende l’obbligo di approfondire i
problemi, avere il coraggio di perseguire delle soluzioni innovative
e soprattutto uscire dagli slogan.
Il pensiero del ministro sui libri digitali, il futuro della scuola,
il ruolo innovativo dei privati, il rapporto critico con Apple, sono
tutte cose che affido alla rete, ovvero ai tanti che si occupano di
scuola, sperando così di rendere un servizio utile al ministro ma
soprattutto al mondo della scuola anche in vista di un grande
appuntamento nazionale che il ministro vuole convocare sul tema, il
prossimo 9 novembre.
Come la penso, credo
risulterà evidente dalle domande piuttosto insistenti: potendo
aggiungere una considerazione, mi sento di dire che dal colloquio ho
ricavato l’impressione che il ministro sia animato da ottime
intenzioni ma qualcuno al MIUR abbia forzato il testo in qualche
passaggio a vantaggio degli editori scolastici senza dirlo al
ministro; ma mi rendo perfettamente conto che affermare una cosa di
questo tipo vuol dire sostenere che il ministro è stato imbrogliato
da un suo collaboratore e quindi mi rimangio questa considerazione
politicamente scorretta e rinvio ad un altro momento la risoluzione
di alcune incompatibilità che ci sono tra il testo del decreto e
quello che il ministro mi ha ripetuto per quasi un’ora. Buona
lettura a chi avrà la pazienza di arrivare fino al termine.
Parliamo del decreto sui libri. Essendo un decreto
ministeriale appena lo avrà vistato la Corte dei Conti, sarà legge.
Voglio dire, mentre il decreto legge di inizio settembre sulla
scuola deve essere convertito dal Parlamento, questo fa già parte
della nostra vita, come studenti e famiglie intendo.
Il decreto sui libri va
avanti, quello “l’Istruzione Riparte” va discusso in commissione
istruzione, ora bisogna capire la calendarizzazione, era previsto il
termine del 4 ottobre per gli emendamenti. Le vicende del governo
hanno avuto dei contraccolpi sui tempi, vediamo… Io confido che la
discussione vada avanti.
Perché approvare in tutta fretta un decreto ministeriale sui
libri digitali, alla vigilia di una crisi di governo, mentre il
Parlamento sta discutendo la norma quadro che rappresenta la visione
del suo ministero sulla scuola? Voglio dire, perché non aspettare il
Parlamento? Qualcuno in commissione c’è rimasto male…
Perchè c’è il combinato disposto dei due decreti che conta per i
libri…
A maggior ragione avrei atteso il Parlamento.
No, perché questa materia fa parte delle competenze del ministro. Il
provvedimento
“l’Istruzione Riparte” è di reinvestimento sulla scuola, ma è
indipendente. Il primo e il secondo decreto non hanno bisogno
reciprocamente dell’altro.
Infatti nelle premesse di questo decreto ho visto che
“tenete conto” di un sacco di norme precedenti ma non di quelle del
decreto in conversione.
Chiarisco. Questo decreto è un atto che rientra nelle mie
prerogative. Nel decreto “l’Istruzione Riparte” la parte molto
rilevante per i libri digitali è la liberalizzazione. Lì c’è la vera
politica sui libri.
Allora, il decreto era molto atteso. Erano un po’ che si
mormorava che avrebbe preso nettamente le distanze dal precedente
decreto Profumo, del marzo scorso. Alcuni molto scontenti in rete,
altri meno. Ma entriamo nel merito. Una delle cose che più interessa
le famiglie è probabilmente il fatto che, abrogando per intero il
precedente decreto Profumo, il prezzo dei libri scolastici aumenta.
Dobbiamo capire che è il combinato disposto dei due decreti che
conta. E quindi la politica sui libri digitali si compone di tre
parti e ha un obiettivo fondamentale. Il primo obiettivo è
liberalizzare questo mondo e quindi rendere l’adozione dei libri
facoltativa.
Già lo è, facoltativa, lo è sempre stata, ovvero da
tantissimi anni.
Il decreto “l’Istruzione Riparte” conferma, precisa e ribadisce
questo punto dando anche un indirizzo. Perché su queste cose c’è
bisogno di un indirizzo politico. E l’indirizzo politico è quello
che l’adozione dei libri è facoltativa: si definisce il fatto che la
responsabilità è del collegio dei docenti che può anche decidere di
non adottare affatto libri di testo e scegliere altri strumenti.
Fantastico. Ma questo è un principio che già c’era. Voi lo
avete ribadito.
E’ un principio che dal punto di vista della legge andava
ristabilito.
Perché? Davvero non lo capisco… Perché era così importante
se già esisteva al punto che molte scuole lo facevano?
Appunto, per permettere a quelle scuole di farlo e per rafforzare
questa scelta politica. E chiarire definitivamente che questa è una
opzione.
E le altre due parti importanti, dopo la liberalizzazione?
Un investimento nelle infrastrutture che è nel decreto “l’Istruzione
Riparte” e che stiamo provvedendo a mettere in atto.
In questo caso non parla di infrastrutture intese come
edilizia scolastica, ma della rete – immagino.
Esatto. E quindi la connessione in rete di un maggior numero di
aule, il fatto che noi vorremmo far sì che tutte le aule siano
connesse. Il nostro compito è dire: parte questa sfida della
digitalizzazione dei libri e della scuola digitale, per farlo
occorre che tutte le scuole siano connesse. Il terzo elemento è…
Mi perdoni ma tutte le aule connesse è un passaggio
fantastico rispetto all’attuale “connetto la segreteria del preside
con l’adsl”, è meraviglioso.
Sì.
Sì ma in che modo? Con quali risorse?
Ora faremo il decreto di attuazione. Proprio oggi abbiamo discusso
di come attuare questo principio, ovvero la parte di attuazione per
il finanziamento della rete. Abbiamo fatto quello per il comodato
d’uso dei libri o strumenti per fruire dei contenuti digitali,
allocando le risorse per il 2013 per sostenere il fatto che reti di
scuole possano distribuire o libri o strumenti per fruire dei libri
digitali. Si inizia a reinvestire sul fatto che noi dobbiamo prima
di tutto dotare tutti i bambini italiani degli strumenti per fruire
dei libri, altrimenti la digitalizzazione la potremo fare solo nelle
scuole dove c’è qualcuno che interviene. Il mio obiettivo quindi è
liberalizzare, ovvero dare una responsabilità al collegio dei
docenti; secondo, dotare le scuole per quanto si può con le risorse
disponibili, della connessione, soprattutto per scaricare contenuti
dei libri; e terzo, non avere una piattaforma di Stato, ovvero dire
che lo Stato consiglia una piattaforma o un’altra, ma lasciare
libere le scuole di dotarsi di piattaforme per la fruizione dei
libri e insistere sull’open access, cioé non devono esserci licenze
o libri il cui contenuto sia legato ad una certa piattaforma Samsung
o Apple, ma far sì che ogni bambino possa fruirne a prescindere dal
tipo di tablet o lettore che ha a casa. Secondo me questo è il
passaggio più complicato: se noi agiamo nell’ottica di dire che c’è
una scelta nazionale diventa una questione di appalti di Consip.
Era la strada del precedente decreto di Profumo…
Sì, infatti io non ho voluto cancellare o reindirizzare quello che
aveva fatto il ministro Profumo. C’è una evoluzione e l’evoluzione
parte dal concetto che rispetto all’impostazione di quel decreto io
vorrei liberalizzare, gradualmente gestire questo passaggio,
diffondendo a tutti i bambini, le alunne e gli alunni italiani,
queste piattaforme entrando in una logica di coordinamento con le
donazioni private… Il mio prossimo passaggio se rimarrò ministro
sarà quello di lavorare sulle defiscalizzazioni delle donazioni. In
questo momento le defiscalizzazioni delle donazioni dei privati alle
scuole sono il 19 per cento, io vorrei arrivare al 100 per cento. E
in più garantire come Ministero, anzi come governo, che noi entriamo
in una politica di accesso aperto, non di accesso vincolato ad un
particolare software o piattaforma perché questo innesca dei
meccanismi sbagliati.
Mi ha innescato molte domande… Vorrei tornare un attimo
indietro su quel che ha detto prima. State lavorando al decreto che
si occupa della rete internet nelle scuole. In sostanza l’obiettivo
è portare la banda larga in tutte le classi?
L’obiettivo, se io avessi le risorse per farlo, è la banda larga in
tutte le classi, ma ci arriverei attraverso i comuni, come stiamo
facendo con l’edilizia scolastica che ha trasferito risorse e
competenze localmente. Quello che io non voglio fare sono gli
appalti di Stato: vorrei la responsabilità di queste dotazioni fosse
negli enti locali più i dirigenti scolastici.
Questo vuol dire trasferire risorse: è questo che sta
pensando di fare?
Sì. Come abbiamo fatto con il comodato d’uso.
Ma sono risorse che vanno trovate già nella prossima Legge
di Stabilità che dovete approvare?
No, ci sono già nel decreto “l’Istruzione Riparte”.
Sì, ma quei 15 milioni per la banda larga sono nulla.
Questo è quello che per ora ho trovato. Poi gradualmente continuerò
a cercare risorse. E’ un processo. Io voglio lanciare il tema. Se si
lancia un piano definendone l’attuazione in modo trasparente poi
magari riesco a convincere anche i privati o altri soggetti a
intervenire e sostenere questo processo. Ma il principio che mi
muove è quello di andare ad una autonomizzazione delle scuole in
queste materie.
Perfetto. Lei diceva che il suo decreto è una evoluzione di
quello di Profumo. Ok, tutto è una evoluzione del passato – in un
certo senso. Ma Profumo stabilì che dal prossimo anno i libri, tutti
i libri scolastici, sarebbero stati digitali. Punto. Lei parla di
graduale accompagnamento di questo passaggio…
La gradualità a cosa è legata? Il principio che a me sta a cuore non
è tanto il fatto che si compia in uno o due anni. Più breve è il
tempo e meglio è: l’obiettivo è rispondere agli obiettivi che ci dà
l’Unione Europea di digitalizzare la scuola. Per me questo è
inequivocabile. Noi dobbiamo farlo e più rapidamente possibile. Però
vorrei che ci fosse in questo una dotazione degli strumenti equa sul
territorio nazionale e quindi vorrei innescare un processo virtuoso
anche in collaborazione con le donazioni liberali, le scuole e i
comuni, e dotare tutti degli strumenti per far sì che i bambini
abbiano un lettore per i libro. Perché poi il libro può essere
digitale solo se la scuola può dare ad ogni alunno la possibilità di
fruirne.
E come si fa? Mi spiego: come si fa a mettere un lettore in
mano ad ogni studente italiano?
Secondo me questi processi non si fanno per decreto. Lo si fanno con
una serie di politiche complessive. Non è che da oggi dico che la
scuola è digitale, quando poi in certe scuole non hanno nemmeno
l’antisismica…
Tante scuole non sono in regola con i certificati
antisismici.
L’indirizzo del governo Letta è quello della scuola digitale. Questo
si compone di una serie di politiche, che ci sono già. Da una parte
“l’Istruzione Riparte” e quindi la dotazione del Wi-Fi, la
liberalizzazione, riaffermare il principio che è il collegio dei
docenti a decidere. E poi c’è il decreto sugli ebook. E poi ci
saranno altri strumenti con i quali noi, gradualmente, garantiremo
questo passaggio.
Lei lo sa meglio di me: con 15 milioni la banda larga nelle
scuole non la portiamo. C’è una strada lunga da fare.
Lo so.
E i tablet ad otto milioni di studenti come dovrebbero
arrivare? Dalle famiglie? Dalle scuole? Che idea si è fatta?
Se io potessi e avessi le risorse, sulla base della mia conoscenza
del mondo della scuola, darei la possibilità ai dirigenti
scolastici, con un fondo di autonomia scolastica, di acquistare in
comodato d’uso i lettori di libri digitali, meglio se tablet, per
darli in comodato d’uso ai ragazzi.
Chiaro. Fermiamoci un istante. Lei in questo momento ha in
mano un iPad.
Giusto.
Però dal discorso che ha fatto finora mi pare di poter dire
che nella sua visione la piattaforma di Apple per i libri scolastici
non è compatibile con la scuola che ha in mente. Lo traduco troppo
brutalmente?
Io personalmente uso i tablet da quando esistono e uso Apple per
scelta. Ma ho provato anche un Samsung e mi sembra una piattaforma
altrettanto valida. E come ministro non posso scegliere una marca
rispetto ad un’altra.
Ci mancherebbe. Però dicendo che le piattaforme scolastiche
devono essere aperte e interoperabili, lei sta dicendo che Apple è
fuori?
Apple si dovrà adattare, se vorrà vendere nelle scuole italiane, a
fare una piattaforma aperta.
Si chiama notizia.
Si chiama interoperabilità.
L’ho letto, è nel decreto.
Apple se vorrà giocarsi questo mercato dovrà sviluppare una
piattaforma interoperabile.
Non è banale.
Questi sono fatti di Apple. Vede, se io dico agli studenti di usare
una piattaforma chiusa, poi li obbligo a comprare licenze e
strumenti che funzionano solo lì. E così il mio compagno di banco
che ha il Samsung poi deve comprarsi un altro tablet? Io questo non
lo voglio. Io voglio che tutti possano utilizzare il libro a
prescindere dal tablet che hanno, il docente non deve assicurarsi
che uno abbia comprato la licenza… ci deve essere un principio di
open access. Per me questo è l’elemento essenziale, che non si debba
fare la fatica alle famiglie di inseguire un software piuttosto che
un altro.
Bene. Però queste cose le dite in una parte del decreto,
l’allegato, che è tutto un condizionale. Un “dovrebbe”, “potrebbe”,
“vorrebbe”… Sembra una circolare, non un decreto. Ci sono solo
auspici, compresa l’interoperabilità.
No, non sono auspici, l’allegato tecnico ha lo spirito…
(leggo alcuni passaggi del testo) Guardi che è cosi, tanto
che una delle polemiche che ci sono state sulla rete, in particolare
da Roberto Scano…
Non so chi sia Roberto Scano
E’ un esponente autorevole del mondo digitale
che si occupa in particolare di accessibilità. In questo caso ha
messo il testo del suo decreto su un g-doc affinché tutti potessero
apportare dei suggerimenti. Ma la mia domanda è: perché tanti
condizionali? Mica è una circolare.
Perché voglio dare un
indirizzo.
Sì ma le cose che vuole per la scuola, dovrebbero o devono
essere fatte?
Quando si fa una rivoluzione digitale come questa, bisogna stare
attenti: io ho la responsabilità di un milione di insegnanti ma
anche di otto milioni di studenti. Avere la responsabilità di otto
milioni di studenti che da Bolzano a Mazara del Vallo devono fare
questo passaggio e lo devono fare con lo spirito di pari
opportunità, equità, open access, dando a tutti la
possibilità di usare gli strumenti che già hanno; avere questa
responsabilità per me è enorme. Di qui, il tono del decreto: per me
equivale a dire qual è l’indirizzo, cominciare a entrare in questo
processo che non sarà un processo che si potrà fare in tre giorni.
Io non mi illudo che la scuola digitale in Italia ci sarà in sei
mesi o un anno. Guardi, che l’editoria tradizionale del libro
scolastico sia superata è ormai accertato. Il problema è se gli
editori vorranno rilanciarsi e giocare questa partita, vedremo. Ma
probabilmente ci saranno tanti nuovi attori e io voglio anche
impedire che qualche nuovo attore impedisca ad altri di entrare, non
voglio nuovi monopolisti. Quindi prima di tutto abbiamo un obiettivo
formativo: devo garantire che tutti questi otto milioni di studenti
imparino la matematica, l’italiano e le storia; nello stesso tempo
devo garantire che ci sia un mercato liberalizzato, non voglio
favorire un produttore piuttosto che un altro. Anzi voglio favorire
una nuova imprenditorialità che mi piacerebbe scaturisse da questa
politica. Chi giocherà bene questa partita sarà colui che saprà fare
uno strumento a costi accessibili, che vada su tutte le piattaforme
e però insegni a fare le equazioni, le espressioni e la storia
contemporanea. Allora quando si parla di un percorso di cambiamento
così industriale nell’istruzione, bisogna far sì che tutti abbiano
gli strumenti adatti. E poi c’è un’altra cosa: è necessaria una
garanzia che quello che gli studenti studiano nel loro libro sia
valido, occorre che il collegio dei docenti ne riconosca
l’autorialità, ovvero che qualcuno si prenda la responsabilità di
dire che quel contenuto è un contenuto adatto.
Ecco, è un passaggio fondamentale. Lo approfondiremo, ma
prima mi faccia tornare su una cosa che ha appena detto. Lei ha
citato gli otto milioni di studenti e il suo compito di indirizzo.
In realtà su alcune cose lei è abbastanza imperativa nel testo del
decreto. Per esempio la “tutela degli interessi patrimoniali degli
editori” sono ribaditi addirittura tre volte. Tre volte è tanto…
A me degli interessi degli editori non interessa nulla.
C’è scritto tre volte in poche righe.
Ci sono scritte tante volte tante cose.
Quindi lei sta dicendo che lei non si è mossa per tutelare
anche gli interessi degli editori scolastici?
Sì.
Allora perché rispetto al decreto Profumo di appena sei mesi
fa lei ha modificato l’importo dei tagli sui tetti di spesa che le
famiglie devono affrontare, riducendoli?
Perché il libro con il decreto l’Istruzione Riparte adesso è
opzionale. Il libro può anche non essere adottato, questo è il
punto.
Ma era già così, l’aumento del prezzo di copertina che
c’entra?
Era così per un gruppo piccolissimo di scuole. Quel gruppo
piccolissimo ha fatto dei passi avanti, il
“Book in progress”, le Scuole senza zaino, sono elementi di
crescita del sistema ma io devo far sì che tutti acquisiscano questo
messaggio.
Ma era necessario alzare il prezzo dei libri, riducendo i
tagli previsti, per far passare il messaggio? Non capisco davvero.
Tanto i libri cartacei nello spazio di pochi mesi, o pochi anni,
probabilmente un anno o due, spariranno come sono spariti tanti
strumenti del passato.
In che senso spariranno?
I libri cartacei tradizionali spariranno. E’ inevitabile. Ho visto i
cali delle vendite dei vocabolari, ho visto 15 mila dizionari in
meno. Questo è inesorabile.
Ma l’aumento dei prezzi conseguenza del suo decreto riguarda
anche i libri digitali. Oltre al fatto che l’Iva sui libri è al 4
per cento, mentre su quelli digitali è il 21. C’è qualcosa che
pensate di fare?
Ci lavoreremo. Questo è un aspetto importante.
Perché sennò è un controsenso con tutto quello che stiamo
dicendo.
È un aspetto importante.
Bene, lei stava parlando del tema della autorialità dei
libri fai-da-te nelle scuole. Ricordo anche un tweet che mandò
qualche mese fa in cui asseriva che poi qualcuno deve validare i
testi scolastici. Bene, nell’allegato del decreto ho trovato il
fatto che dovrà esserci la validazione del libro. Che vuol dire? E’
una cosa che letta così suona male…
Vuol dire che deve essere chiaro chi è l’editore. Se c’è una rete di
scuole, ci deve essere un comitato scientifico con nomi ben
riconosciuti che faccia la validazione del testo. Qual è la funzione
buona dell’editoria? Io vengo dal mondo accademico. Qualunque
rivista scientifica, online o cartacea, ha un editore riconosciuto.
Ma non è tanto un problema dell’editore come stampatore, ma di avere
un comitato redazionale con nomi e cognomi a cui si dà la
responsabilità della validazione del processo editoriale. Questo può
anche essere fatto da un comitato di insegnanti.
Ma lei questo passaggio non lo disciplina, nel decreto. Dice
soltanto che serve la validazione. Chi decide?
Se ne discuterà. Il 9 novembre faremo un convegno nazionale sul tema
del libro digitale al quale inviteremo tutti. Sarà alla Scuola
Normale Superiore di Pisa. Inviteremo insegnanti, attori del mondo
digitale che hanno fatto le prime esperienze. Tutti: sarà un
convegno aperto in cui si discuterà proprio di questo aspetto, la
valutazione dei contenuti. Non è che creeremo un ente apposta.
Va bene dirlo perché in questo paese c’è stato un ventennio
in cui il controllo sui libri era, diciamo così, al confine della
censura e oltre. Il Miur non tornerà a fare il controllore?
No, questo lavoro non lo può fare il ministero.
Non è una cosa di stampo fascista, bene.
Vede, una qualunque rivista scientifica ha un comitato editoriale.
Deve essere tutelata l’authorship, cioé chi è l’autore, chi
valida questo percorso – che può essere anche una rete di scuole, ma
non deve mettermi i nomi delle scuole e dei dirigenti scolastici,
deve mettermi chi è il comitato che valida il contenuto. Possono
benissimo farlo altri insegnanti. Alcuni insegnanti oggi cosa fanno?
Scrivono libri per conto di una casa editrice. E l’editore è quello
che sceglie la linea editoriale. Nel passaggio al libro digitale ci
sarà una liberalizzazione, ma ci deve essere anche una
responsabilizzazione di chi fa questo. E’ ottimistico pensare che il
tutto possa avvenire in stile Wikipedia. Ma non perché io non creda
in Wikipedia. Wikipedia è uno strumento che sta lì, dove ciascuno
può dare il suo contributo e apportare correzioni. C’è un tempo di
latenza, a volte veloce e a volte lento. Qui però si tratta di dare
ai ragazzi uno strumento con cui imparare a studiare.
In realtà, per quanto riguarda il libro di testo, il
responsabile è il docente che lo adotta e che quindi anche in
qualche caso lo scrive.
E quindi uno deve dire: il responsabile di questo testo è quel
docente.
Ha visto questa storia – un po’ buffa e un po’ triste –
capitata con Giunti Editore?
No.
Pare che ci sia un libro scolastico dove i friuliani sono
descritti come un popolo di spazzacamini, e l’attribuzione dei vini
locali è sbagliata, così come il dialetto. Si chiama il Giardino dei
saperi, leggo su un’agenzia.
Probabilmente Giunti si è pregiudicato la possibilità di vendere
libri scolastici in Friuli, è stata una bella prova.
Ma il punto è: anche gli editori sbagliano.
Certo.
La validazione a cui lei pensa è piuttosto una
autocertificazione?
E’ una autocertificazione di un gruppo di insegnanti. Per esempio se
io potessi dare un suggerimento a chi ha fatto “Book in progress”…
Ecco, diamoglielo, perché sono arrabbiati.
Tanti sono arrabbiati, sempre. Chi fa scelte in politica fa sempre
arrabbiare qualcuno. Ma il punto fondamentale è un altro. Il mio
suggerimento è dotarsi di un comitato scientifico, fatto da
insegnanti, di esperienza o anche giovani, in modo che alcuni
producano e altri valutino. Si chiama valutazione fra pari. Questo
introduce un elemento di autocontrollo. Non la considero una cosa
mostruosa. Prendiamo la matematica, che è la stessa da anni: se uno
cambia il metodo di insegnarla, devo far sì che la novità venga
validata da altri insegnanti di matematica in modo da garantire gli
studenti. Se poi fra tre anni si vede che con quel libro li, con
quelle novità di metodo, attraverso i dati Invalsi e altri test,
emerge che l’apprendimento degli studenti migliora, beh, questo è il
mio obiettivo, perché io sono convinta che alla fine sarà così.
In
che senso? Diciamolo più chiaramente.
Sono convinta che l’introduzione di questa liberalizzazione, della
produzione di testi e il confronto, inevitabilmente porterà
innovazione nella scuola.
E quindi ne avranno un beneficio gli studenti.
E quindi gli studenti ne avranno un beneficio. Però tutto deve
essere fatto in un’ottica aperta. Non voglio monopolisti, non di
nuovo. Perché in questi processi la cosa peggiore è far finta di
liberalizzare per poi trovarsi un nuovo monopolista.
Facciamo nomi e cognomi dei monopolisti se possibile: lei
chi ha in mente? Apple? O “Book in progress”? Che intende?
Intendo il fatto di usare obbligatoriamente una piattaforma
piuttosto che un’altra.
Ok, mi pare che in questo momento i libri di “Book in
progress” si leggano solo su dispositivi Apple. È questo il punto?
Non lo sapevo, sinceramente non ne ho idea. Ma quello che posso dire
è che non voglio monopolisti. Non ho in mente una esperienza
piuttosto che un’altra di scuole digitali. Ma non voglio che ci sia
una scelta che obblighi tutti ad avere la stessa piattaforma. Questo
mi fa orrore! Per esempio io ho una
LIM (lavagna interattiva multimediale) nella mia stanza, la
vede? Quella lì. L’ho voluta provare per capire personalmente. E la
trovo una cosa massiccia, grande, che è difficile spostare da una
stanza all’altra. E mi dico: ma perché non dotiamo le scuole di un
fondo per comprarsi la lavagna, o il proiettore – o ancora dieci
proiettori con i soldi di una lavagna – della marca che loro
ritengono più adatta?
Mi sta dando una bellissima notizia, personalmente: vuol
dire che la finirete di spendere soldi in LIM.
Ma sì, io penso che quel filone sia finito. Sì.
E che fine fanno tutte quelle che il MIUR ha pagato a peso
d’oro negli anni scorsi?
Chi le ha le usa. Ma è finita l’epoca in cui si acquistano
piattaforme di Stato, questo è il punto.
Mi pare molto significativo. Senta, in rete c’è stato un
battibecco fra lei e il preside dell’Istituto Majorana di Brindisi,
Salvatore Giuliano, leader di “Book in progress”. Forse i toni sono
stati un po’ forti.
Mi ha accusata di aver fatto un regalo agli editori.
E lei ha risposto per le rime. Ma – battute a parte – se non
è un regalo agli editori, perché la tutela dei loro interessi è
ribadita tre volte e quella degli studenti mai?
Questo decreto è tutto fatto nell’interesse degli studenti.
E perché non lo avete scritto mai? Non so chi sia stato
l’estensore materiale, magari il suo capo di gabinetto, l’ufficio
legislativo. Quando si parla di libri di testo o studenti si parla
solo dell’obiettivo di ridurre il peso.
Il testo del decreto lo ha curato un professore che si occupa di
libri digitali.
Però la invito con serenità a leggere quello che ha firmato,
perché è un po’ distante da quello che mi ha detto finora.
Il decreto è stato fatto solo nell’interesse degli studenti.
Guardi, io l’ho ascoltata un paio di settimane
fa al meeting di Cernobbio, ho sentito con quanta passione ha
parlato della scuola…
Per me l’obiettivo è solo l’interesse degli studenti.
Però il decreto resta. E’ scritto, è legge. Poteva scriverlo
lì. Sennò uno che sta fuori, mettendo assieme il rinvio del libro
digitale, la cancellazione del tablet per tutti e l’aumento dei
libri di testo, si fa una idea sbagliata.
Se uno da fuori si legge anche il decreto “l’Istruzione Riparte”
trova una norma più importante che rende il libro di testo
facoltativo. Quella è la chiave di tutto.
Bene. Ho visto che è attesa a Bergamo in una visita dalla
professoressa Dianora Bardi, che guida il progetto “Impara Digitale”
partito con successo da un liceo di Bergamo. Qualche tempo fa è
stata a Brindisi da Giuliano. Qui al Miur state ricevendo i
protagonisti di belle storie di innovazione dal basso. Che idea si è
fatta di questo mondo?
Io penso che queste siano esperienze molto belle e il mio compito
come ministro è far sì che siano riproducibili su tutto il
territorio nazionale. Portare tutto il paese allo stesso livello
valorizzando il lavoro di chi va avanti. Io voglio facilitare chi va
avanti e mandarlo più avanti possibile, ma voglio anche guardare al
resto del paese e portare il resto del paese in quelle condizioni.
Vorrei che tutti potessero utilizzare i libri digitali: a Casal di
Principe, che è un caso particolare, o nelle periferie più estreme,
o nelle terre più isolate, voglio che le scuole abbiano la
possibilità di dare a tutti i ragazzi un lettore per fruire di
questi contenuti. Vorrei insomma che le migliori esperienze in corso
venissero messe a disposizione di tutto il paese.
Giustissimo, giustissimo pensare a Casal di Principe e a chi
sta indietro. Ma lei con questo decreto sta spostando più in là il
traguardo. Non c’è più l’obbligatorietà del libro digitale dal
prossimo anno scolastico.
No.
Questo mi pare un fatto significativo. D’altro canto a me
colpisce sapere che a Brindisi sono riusciti a dare un tablet ad
ogni studente trovandosi i soldi da soli.
Infatti io voglio favorire le scuole in questo processo.
Ma come le favorisce? Voi i soldi non li avete per darli
direttamente, temo. Restano solo le donazioni private?
Noi un po’ di soldi li metteremo e abbiamo iniziato a metterli nei
provvedimenti fatti. È la prima volta che c’è uno stanziamento per
comprare strumenti in comodato d’uso.
Mi ricorda di quanti soldi parliamo?
Circa otto milioni. Lo trova sul sito del MIUR. E comunque, una
parte dei soldi verranno da noi, per il resto favoriremo delle
donazioni private.
Vuol dire che è questo il prossimo decreto che farà?
Defiscalizzare al 100 per cento le donazioni dei privati alle
scuole?
Ci ho lavorato, ci stiamo lavorando.
Siamo nelle mani del suo collega, il ministro dell’Economia
Saccomanni.
Abbiamo iniziato a parlarne con Saccomanni e con la Ragioneria. È un
punto essenziale per me. Perché io ho parlato con molti genitori nel
forum dei genitori. E ho capito una cosa: la scuola italiana è più
evoluta laddove la comunità entra nella scuola. Ho visto per esempio
Reggio Children, oppure delle scuole in Toscana a Montespertoli. Lì
c’è una partecipazione alla vita della scuola dei genitori, degli
imprenditori, degli enti locali e delle fondazioni. Per esempio mi
piacerebbe fare un patto con le fondazioni bancarie in cui si
inseriscono gli investimenti in edilizia scolastica e universitaria
– ma anche nella scuola digitale – quale criterio di politica del
bilancio sociale. E da lì vorrei fare un piano nazionale in cui si
chiede alle fondazioni bancarie di assisterci in questo processo per
dotare ogni bambino italiano di un tablet o un lettore digitale.
Nella sua visione i privati hanno ruolo fondamentale. Eppure
soprattutto a sinistra c’è sempre stata una paura di “privatizzare”
la scuola. Mi pare di poter dire che lei sta spalancando loro le
porte: come donatori.
Esatto, come donatori. Sono stata in una scuola in Toscana
recentemente dove un imprenditore, di cui non si sapeva nemmeno il
nome perché non era scritto, aveva donato i tablet. A me è piaciuto
questo ed è piaciuta la scuola senza zaino di Montespertoli dove
questo modello è assimilato e fa sì che tutti gli studenti abbiano
la stessa dotazione.
Senta, lasciamo da parte le polemiche: il progetto “Book in
progress” le piace o no?
“Book in progress” mi piace, magari ce ne fossero altri di casi
così, e magari avesse più successo di quello che ha oggi.
Beh, duecento scuole non sono poche.
L’importante adesso è che liberalizzi la piattaforma e che trovi
criteri di autovalutazione interna, ma questo lo ritengo un normale
processo di maturazione.
Quindi lei non vuole passare come un nemico della scuola
digitale, nonostante le apparenze.
Che la scuola diventerà tutta digitale è sicuro. Il problema è
andarci nel modo migliore. Io vorrei gestire questo passaggio
favorendo una nuova imprenditorialità. Per esempio abbiamo fatto
incontro con quelli che al
CNR
(Consiglio Nazionale delle Ricerche) seguono questi temi e sono
pronti a collaborare.
C’è poi un aspetto di cui non abbiamo parlato, ed è il ruolo
che hanno i tablet e i libri digitali nel favorire gli studenti
affetti da problemi di apprendimento. Senza contare che il costo per
gli insegnanti di sostegno aumenta ogni anno: la scuola digitale
vista da questo punto di vista è anche un elemento di spending
review.
Sì, ma più che altro si rende più facile la vita a chi ha una
dislessia. Io stessa ho parlato con i genitori di bambini con questi
problemi e mi dicevano che per loro è essenziale avere il supporto
di un libro digitale.
Un’ultima cosa: lei oggi è stata cortese e disponibile come
raramente lo sono i politici, e di questo le sono grato. Alcune cose
che ha detto sono davvero importanti, ma credo che su alcuni punti
non sia stata convincente. Uno su tutti: l’aumento dei prezzi.
Difficile capire perché lo ha fatto.
Noi abbiamo fatto molto di più: abbiamo reso possibile per le
famiglie non spendere nulla permettendo ai docenti di autoprodursi i
libri.