Dal maestro edenico di Malala di Vincenzo Pascuzzi, 9.10.2013 Malala Yousafzai è nota per essere stata ferita dai talebani nel 2011, quando aveva 14 anni, per la sua attività a favore dell'istruzione scolastica per le donne pachistane. Tre mesi fa la stessa Malala, 16enne, nel discorso al palazzo dell’ONU aveva affermato: "One child, one teacher, one book, one pen can change the world". Intervistata nel 2008, a 11 anni, aveva dichiarato: «I don’t mind if I have to sit on the floor at school. All I want is education. And I’m afraid of no one». Infatti, e riassumendo, due sono le cose indispensabili per apprendere: 1) la motivazione a farlo e 2) la scuola essenziale, cioè: il maestro, il libro, la penna. Si può anche rinunciare all’aula, al banco e sedersi sul pavimento. Esistono immagini fotografiche di scolaresche all’aperto, sedute a terra, con il solo maestro e magari una lavagna appoggiata all’albero. Qualche riflessione sulla scuola ai suoi inizi o albori. La possiamo indicare con il termine “proto-scuola”. Allora immaginiamola così: ci sarà stato un maestro (o insegnante, o prof, o docente) e almeno uno scolaro (discente) o un piccolo gruppo anche di età diverse, un embrione della classe. La proto-scuola consisteva nel rapporto didattico o binomio docente-discente/i. Poteva anche non esserci un’aula come ambiente dedicato. Di sicuro non c’era preside, bidelli, personale amministrativo: a tutto provvedeva il maestro. Di più: il maestro (essendo il primo, o uno dei primi) non aveva diploma formale né abilitazione all’insegnamento. Era doppiamente autodidatta: da solo aveva imparato quello che insegnava e da solo aveva dovuto imparare a insegnare. Non c’era calendario scolastico, né registro, né programmi o indicazioni ministeriali, non voti e pagelle, …. Ci sarà pure stata la valutazione ma doveva essere paterna, bonaria, regolatrice puntuale degli apprendimenti e della didattica, di cui costituiva quasi ombra o traccia. Doveva essere una situazione di armoniosa e continua sinergia, una situazione tipo Eden. (Chi ha insegnato al serale riuscirà più facilmente a immaginare e comprendere). Questa edenica proto-scuola deve aver avuto successo crescente, si è affermata e si è espansa. Allora è sorta la necessità di un ambiente dedicato alle sue attività, di organizzazione, di amministrazione, di regole, di controllo, anche di gerarchia. Inizialmente l’organizzazione e tutto il resto (l’ "intendance”) sosteneva positivamente, era di sicuro supporto al maestro e all'attività didattica. Con il crescere della scuola (numero alunni) e dei contenuti della didattica (materie, discipline, orari) l’organizzazione-intendance è cresciuta ancora anche lei, fino a prendere il sopravvento, è divenuta più consistente e importante della didattica stessa ed ha finito per ridurla, sottometterla, soffocarla, schiacciarla. Ora abbiamo che i presidi, che non insegnano più, sono appunto dirigenti mentre non lo è nessun docente. Al contrario, nell’ambito del SSN, molti medici, sono sì inquadrati come dirigenti ma continuano a svolgere la loro professione. L’organizzazione-intendance è in qualche modo consapevole dell’improprietà e dell’eccessiva invasività del suo ruolo. Ruolo che però intende mantenere e che prova a giustificare. Anche da qui è scaturita l’idea (la “pensata”) di far “misurare oggettivamente” la didattica, cioè i risultati dell’insegnamento-apprendimento. Quantificare – e non importa come! – la qualità, connotarla con dei numeri consente o consentirebbe all’organizzazione-intendance di sottomettere definitivamente la didattica, renderla responsabile e colpevole di tutto ciò che non va, garantendo a se stessa la possibilità di mantenere la prerogativa di decidere e di comandare senza doverne rispondere direttamente. In questa prospettiva, Miur, presidi e Invalsi si trovano in perfetta sintonia di interessi e di intenti, collaborano, si spalleggiano fra loro. Nel tempo, anche la valutazione ha subito cambiamenti: da discorsiva, veritiera e snella è diventata fiscale (almeno formalmente), è stata sottratta alla responsabilità del maestro con il voto di consiglio, si è dovuta adattare all’obbligo scolastico e alla scuola di massa diventando falsa e mendace almeno in parte. È poi successo che la rappresentazione della didattica con i voti, le pagelle, le promozioni, i diplomi è diventata più importante della didattica stessa. Più che per apprendere, si va a scuola per ottenere la certificazione (promozione o diploma che sia) quasi che l’involucro, la confezione pregiata faccia il contenuto. Poi – e siamo al 3° livello - è intervenuta, come già detto, la valutazione esterna o valutazione della valutazione (cioè Invalsi) presunta oggettiva con prove standardizzate coatte e insidacabili e con lo scopo appena appena nascosto di consolidare la supremazia dell’organizzazione-intendance. Chi ha dubbi, è contrario, contesta e si espone, viene punito. Alcuni maestri che si sono rifiutati, non per capriccio ma con motivate ragioni, sono stati sbrigativamente sanzionati dai rispettivi presidi o d.s, nella duplice veste di giudici e parti in causa. Così il maestro dall’Eden iniziale è finito all’Inferno. |