Stipendi
bassi e poco peso alla meritocrazia:
incapaci di attrarre gli insegnanti migliori
Perché (ora) sono inutili più fondi alla scuola
L’Italia investe molto nell’istruzione, ma
spende male.
Studiamo più ore e siamo meno bravi degli altri
Il
Corriere della Sera
10.10.2013
I risultati della prima indagine Piaac (Programme
for the International Assessment of Adult Competence ) sono
una doccia fredda per chi pensa ancora che la scuola italiana sia,
nonostante tutto, migliore di quella di altri Paesi.
Quando il confronto non si basa su aneddoti («mia figlia ha
frequentato un anno all’estero ed era la piu brava...»), ma sui
risultati di questionari uguali in 24 Paesi e ai quali hanno
risposto campioni rappresentativi della popolazione di età compresa
tra i 16 e i 65 anni, il quadro è disastroso. Siamo in fondo alla
classifica sia per le competenze linguistiche sia per quelle
matematiche. E il disastro riguarda non solo i giovani ma anche gli
anziani, a dimostrazione del fatto che i problemi della scuola
italiana derivano da lontano, dal suo impianto dirigistico e
centralizzato che deve essere radicalmente cambiato. Non continuiamo
a illuderci sulle virtù del liceo classico!
Agli italiani
viene invece costantemente detto che è solo un
problema di risorse destinate alla scuola, ma i dati Ocse (Education
at a Glance ) esaminati dal Rapporto del Forum «Idee per la
crescita» (vedi
e-book del Corriere della Sera) mostrano una realtà diversa.
Nel 1999-2000 la spesa annua per studente era maggiore in Italia
rispetto alla media dei Paesi Ocse in tutti e tre i livelli di
istruzione: pre-scolare, primaria e secondaria. Ad esempio nel caso
della secondaria, lo Stato italiano spendeva 7218 dollari per
studente mentre la media Ocse era 5957 dollari (e il confronto è in
termini reali, ossia a parità di potere d’acquisto della moneta). È
vero che i governi Berlusconi hanno tagliato pesantemente la spesa
per l’istruzione e lo hanno fatto nel modo peggiore possibile, ossia
colpendo alla cieca non solo chi meritava di essere punito, ma anche
chi con fatica e senza riconoscimenti teneva in piedi la scuola
italiana. Tuttavia, nel 2008-2009 la spesa per studente secondario
italiano era comunque di 9112 dollari, di poco inferiore alla media
Ocse di 9312. E in ogni caso, non sono certo questi tagli la causa
della pessima performance dei quarantenni e cinquantenni nella
indagine Piaac.
Ha ragione chi
nota che lo Stato italiano spende poco per la scuola
in proporzione al Pil e in proporzione alla spesa pubblica totale,
ma quello che conta per valutare se le risorse sono scarse o
sufficienti è la spesa per studente. E il motivo per cui questa
spesa, nonostante tutto, è alta in Italia deriva dal forte calo
demografico che ha caratterizzato il nostro Paese. Lo Stato italiano
non spende poco per i suoi studenti, spende male! E per questo la
decisione recente del governo Letta di aumentare i finanziamenti
alla scuola, non è affatto rassicurante. Se prima non impariamo a
spendere bene, è inutile versare più risorse nella scuola: sarebbe
come trasportare acqua con un secchio bucato.
Si sente però
anche dire che siano pochi gli
insegnanti in Italia o
scarse le ore di insegnamento. Anche in questo caso i dati Ocse
presentano una realtà diversa. Nella scuola secondaria c’erano in
media 10,3 studenti per insegnante in Italia nel 1999-2000 contro
una media Ocse di 14,3. Le cifre corrispondenti per il 2009-2010
erano 12 e 13,8. Le ore obbligatorie di insegnamento erano 1020 in
Italia nel primo periodo contro una media Ocse di 935 (1023 e 899
nel secondo periodo). I dati sono simili per gli altri livelli di
istruzione.
Se le risorse economiche, gli insegnanti e le ore di insegnamento
per studente non sono inferiori alla media Ocse, perché allora siamo
ultimi nella indagine Piaac?
Viene naturale
chiedersi se lo Stato sia in grado di attrarre i
laureati migliori alla professione di insegnante dando loro
l’autonomia di cui hanno bisogno per disegnare meglio l’offerta
formativa e spendere in modo più efficace le risorse.
Gli insegnanti italiani sono pagati poco in rapporto al Pil pro
capite, rispetto a quanto sono pagati in media gli insegnanti nei
Paesi Ocse. E a questo si aggiunge una lunga gavetta di precariato
in cui conta soprattutto l’anzianità e non il merito, per diventare
docenti. È difficile pensare che in questo modo si possano attirare
i laureati migliori (soprattutto nelle materie scientifiche e
tecniche) a meno che non si tratti di persone che abbiano una vera
passione totalmente disinteressata per questo mestiere (e per nostra
fortuna ce ne sono).
Eppure, ad ogni concorso per la scuola il numero di candidati è
sempre largamente superiore al numero di posti disponibili. È un
fatto per certi versi sorprendente, ma è facile ipotizzare che non
siano i migliori laureati a essere attratti da questa professione,
che paga poco ma chiede anche poco (l’orario di lavoro di un
insegnante italiano è inferiore alla media Ocse) e assicura il posto
fisso.
All’iniquità
di una situazione che punisce chi lavora con impegno e
premia invece chi la prende come una comoda rendita, bisogna
rapidamente porre fine. Lo Stato italiano ha ampiamente dimostrato
di non essere in grado di farlo. È bene allora che, pur conservando
il ruolo di finanziatore e regolatore delle scuole pubbliche, lasci
ad altri il compito di gestirne le risorse umane e finanziarie.