Tagli alle scuole paritarie,
fra ideologia e miopia

di Stefano Blanco e Giampaolo Cerri, Linkiesta 1.10.2013

Il comune di Milano ha deciso, nei giorni scorsi, di diminuire di 1,2 milioni di euro il suo contributo alla scuole dell'infanzia paritarie per il prossimo anno. La curia milanese ha protestato vibratamente.

Si riaccendono stanche polemiche, restano (purtroppo) le emergenze educative.

Resta un'arretratezza culturale che fatica ad andare oltre visioni ideologiche nel dibattito sulla scuola. I soldi sono pochi, questo è chiaro a tutti, ma intervenire diminuendo le risorse per l'educazione fa comunque male. Soprattutto è illogico perché le scuole private paritarie garantiscono a decine di migliaia di bambini un ampliamento di servizio per la collettività che, gestito direttamente dal pubblico, non sarebbe possibile.

Se per quel taglio, gli 8mila bambini milanesi che frequentano le paritarie si dovessero trasferire nelle scuole comunali, Palazzo Marino dovrebbe reperire 56 milioni di euro, dato che un iscritto alla materna costa 7mila euro all'anno.
Allo stesso modo, a livello nazionale, dove il ministero dell'Economia vuol dimezzare per il 2014 il contributo alle paritarie che l'anno scorso ammontava a 500 milioni di euro. Se il milione di studenti che le frequenta si riversasse su quelle statali, la Finanziaria 2015 avrebbe bisogno di quasi 7 miliardi aggiuntivi: molto di più dell'Imu o dell'aumento Iva di cui si è tanto discusso.

Ma il tema è soprattutto un altro.

Queste scuole, negli ultimi anni, hanno fornito un valido ambiente educativo per un numero sempre maggiore di bambini che faticavano a trovare un corretto e intenso supporto in altre scuole.

In Italia esiste una grande tradizione di queste istituzioni, dall'infanzia sino ad arrivare all'università, da sempre svolgono un ruolo complementare nelle formazione della città. Non parliamo solo della lunga tradizione cattolica che ha permeato profondamente la cultura italiana, ma basti citare le significative esperienze delle scuole montessoriane e steineriane che da molti anni operano con intelligenza educativa sul territorio.

Andrebbe incentivato un dialogo maggiore tra tutti i soggetti che giocano un ruolo così determinate nella comunità cittadina, nell'idea di svolgere tutti un servizio pubblico. Una società aperta e libera, oltretutto con una pressione fiscale come la nostra, non può non permettere una seria scelta per la scuola come non può non sostenerla attraverso facilitazioni per le famiglie.

Siamo ancora imbrigliati nel comprendere cosa sia servizio pubblico e come debba essere salvaguardato, valutato e controllato. Non è ancora patrimonio comune e condiviso che la scuola come l'università o gli ospedali, che rispondono a criteri che lo Stato o gli enti locali impongono, sono un servizio pubblico, che siano gestiti da privati o direttamente dell'ente pubblico. Quest'ultimo ha dimostrato di non essere un buon gestore e sarebbe forse il momento di concentrarsi maggiormente su funzioni di controllo e valutazione. Magari obbligando chi riceve contributi pubblici ad attuare politiche di sostegno al reddito attraverso borse di studio o rette agevolate per una percentuale definita delle famiglie iscritte. Vincolando l'erogazione dei finanziamenti a seri standard qualitativi e a risultati formativi in uscita.

Su questo si dovrebbe incentrare un sano rapporto con le istituzioni finanziate. Sarebbe un importante lavoro che il ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza potrebbe intraprendere di concerto con gli enti locali.