LAVAGNA AMARA

Scuola 2.0, la frustrazione degli insegnanti

Tablet, pc, Lim, connessioni. Ma lo Stato non paga. E i docenti si arrendono.

di Claudia Pepe, Lettera 43 28.10.2013

Software, open source, start up italiane, e-book, tablet, sofware, player, fund raising, smart city, wi-fi. Così tanti termini in inglese nelle scuole italiane non li sentivamo dallo sbarco degli americani alla fine del Seconda Guerra mondiale.
Eppure, pullulano nelle dichiarazioni del ministro Maria Chiara Carrozza che ha detto una cosa mai sentita (!): lo Stato non pagherà altre infrastrutture per la digitalizzazione degli istituti scolastici, perché occorre che siano i privati a investire nella scuola pubblica italiana.
LA POOP SCHOOL 2.0. Lei, il ministro, si augura che siano dei procurement in fund raising. Ma in termini chiari e italiani il succo è che siamo nella poop. Possiamo definirci i primi fruitori della poop-school 2.0.
Non avevamo soldi per le fotocopie, per la carta igienica, per i sistemi di sicurezza, per le porte, i banchi e ora sentite un po', se vogliamo le Lim (lavagne interattive multimediali) o le paghiamo noi o i genitori. Ma questo non sarebbe nulla. Il ministero ha stanziato 15 milioni di euro sul wifi, ma tutto il resto è a carico dei Comuni. Che sappiamo tutti non hanno soldi neanche per pulire le strade. E il ridicolo, dopo il rinvio degli e-book rimane e rimarrà sempre il registro elettronico.

LA FRUSTRAZIONE DEI DOCENTI. Dall'inizio dell'anno noi insegnanti viaggiamo con fogli volanti, con registri fatti da noi a casa, e nel frattempo andiamo a corsi di formazione. Dove i formatori ti rispondono alle mille domande: «Zitti, siete peggio dei vostri alunni».
Per cui passivamente prendendo mille appunti, e scambiando bigliettini con il tuo collega di banco che ne capisce meno di te, riesci a capire due o tre cose. Ma essenziali. Il codice della scuola, il tuo cognome e la password che, per grazia di dio, ti scegli da sola.
Ma il bello arriva quando tenti da casa di irrompere in quel mondo segreto. Scopri amaramente che non puoi firmare a ottobre la lezione fatta i primi di settembre e nel frattempo ti dai una testata all'angolo del tavolo, perché non sei stata così previdente dal primo giorno a segnarti: nomi, cognomi, date, argomenti, assenze, giustificazioni, entrate in ritardo, uscite anticipate, consegna circolari e note disciplinari su un foglio che nel frattempo ti serve per scrivere: poop.

TABLET DELLE MIE BRAME. Vai a scuola e naturalmente non disponendo di un tablet, cerchi come una tarantolata i computer della scuola. Ovviamente sono tutti occupati o rotti. Con la bava alla bocca capisci in un sol istante che quel cavolo di tablet dovrai comprarlo e peserà sull'economia già disastrata della tua famiglia. Lo prendi con lo sconto per gruppi bisognosi e lo accendi. Per farlo partire ci metti cinque minuti e sul più bello, mentre ti dici: «Ce l'ho fatta!», ti spunta una visione. Una scritta che non vorresti mai vedere in quel momento, in quel posto e in quel giorno: «Non sei connesso». Poop, poop, poop.
Questo perché la Rete non è abbastanza grande da supportare tutti i tablet, pc, telefonini e lavagne Lim accese nella scuola. Incavolata come un neutrino nel tunnel della Gelmini, chiedi aiuto e, senza averla procurata, arriva la scena che a tratti sfiora la comicità di Pieraccioni nel film Il ciclone.

CERCANDO IL PUNTO G (DELLA CONNESSIONE). Tu, seguita da una nutrita flotta di insegnanti, percorri tutta la scuola con il tablet acceso sperando di trovare il punto G della connessione. Arrivi anche nei bagni, ma niente: allora tenti nelle scale e lì, misteriosamente, avviene il miracolo.
Tra il quarto e il quinto scalino della seconda rampa a sinistra rispetto all'entrata ufficiale, si vede una tacca e l'esultanza ti porta a riscoprire la felicità del primo bacio. Ma non puoi rimanere in quella posizione dalle otto alle 13, allora decidi che scriverai a penna e vai in classe. Ma nel bel mezzo della lezione entra la bidella con 2 mila fogli da consegnare e tu, ubbidiente e umile, fai tirare fuori il libretto che per fortuna è ancora di carta, e fai scrivere con la penna l'avviso.

Nel frattempo ti rimangono 10 minuti di lezioni in cui c'è sempre un allievo che ha un attacco di diarrea, una ragazza a cui vengono le mestruazioni senza preavvisi e un altro che viene a chiederti se il giorno dopo la mamma può venire a parlare con te. E questo per chi ha una scuola. Per chi ha due scuole con due sistemi diversi, ci saranno due rampe diverse e due punti G diversi.

ADOZIONE A DISTANZA. PERCHÉ NO? A questo punto diciamo che è una vergogna e che lo Stato se ne strafreghi della scuola, degli insegnanti e degli studenti. Prima di finire a pubblicizzare dalle finestre della scuola, aziende di idraulica, o sistemi antiscasso, io opterei per diventare una bella Onlus. Ma sì. Ci facciamo adottare a distanza con una frase ammiccante come: «Chiamate lo 00000, adotta una scuola: se la incontri ne rimarrai stupefatto. Non contagia e se la conosci previene tutti i mali dovuti all'ignoranza e alla stupidità umana». Oppure: «Chiama anche tu diventa un fan della scuola pubblica, la nostra vita dipende da voi».
Finiremo di cercare opposizioni alla connessione. E finalmente faremo gli insegnanti.
Con un libro, una penna e la fantasia nelle mani.