In principio la dispersione scolastica non esisteva…

di Cosimo De Nitto*  Educazione & Scuola 3.10.2013

Bravi o asini

Una volta c’erano solo i bravi e capaci da una parte, e dall’altra chi era svogliato, non gli piaceva studiare, oppure poverino “non ce la faceva”, insomma lo studio non era per lui e pertanto era meglio per lui e per tutti che andasse via dalla scuola e andasse “a zappare la terra”, come si diceva allora.

Poi, quando qualcuno cominciò a studiare il fenomeno, denunciò il fatto che, guarda caso, tutti questi tonti, asini e svogliati erano figli di genitori che “zappavano la terra” e che a loro volta erano stati tonti, asini e svogliati. Pertanto si trattava che, o la bravura a scuola era determinata da un fattore genetico ed ereditario, oppure era un problema di natura culturale e sociale legato alla povertà delle condizioni familiari. Siccome nessuna teoria determinista era possibile invocare, e siccome i colpiti erano soprattutto figli di operai, contadini, piccoli artigiani si parlò del fenomeno come una vera e propria “selezione di classe”, ingiusta, insopportabile, anticostituzionale.

Sedotti e abbandonati

Poi pian piano la scuola italiana si è trasformata in scuola di massa (riforma della scuola media, obbligo scolastico, decreti delegati ecc.) e il fenomeno ha cambiato in parte i suoi connotati. Diversi figli di contadini e operai andavano avanti negli studi, sia pure con grandi sacrifici, e tra quelli che lasciavano la scuola non c’erano più solo loro. Ci si è accorti che non erano solo le condizioni economiche e sociali a determinare il fenomeno, ma c’erano altri fattori che manifestavano un certo peso, e questi fattori erano soprattutto legati al clima culturale, affettivo, psicologico/relazionale interno principalmente alla famiglia. Allora si prese a parlare di “abbandono scolastico”. La differenza tra “selezione di classe” e “abbandono scolastico” era tutta nella causa principale che si attribuiva al fenomeno. Nel primo caso gli alunni erano in pratica cacciati dalla scuola, nel secondo erano essi stessi che mollavano perché non riuscivano a reggerla.

Un volgo disperso che nome non ha

Intanto a cominciare dalla seconda metà degli anni ’80 la “scuola di massa” è entrata sempre più in crisi, è stata accusata di essere la causa dei disastri sociali conseguenti alla mancanza del merito: promozioni facili, obbligo, pretesa di tutti di studiare ecc. Insomma con l’affermarsi del neoliberismo sono tornate a riaffacciarsi ideologie che parevano superate: la scuola non può essere per tutti: se uno non è “portato” meglio che vada a lavorare anche se è ancora un ragazzo, il titolo di studio non serve a niente, se tutti studiano chi più farà l’operaio o il contadino?, la competizione economico-industriale interna e internazionale richiede…, la scuola è un’azienda e come tale deve essere amministrata…ecc. ecc. Questi cambiamenti, insieme all’affermarsi sempre più di un linguaggio economico, aziendalistico e gestionale della scuola, neutro all’apparenza, ma solo all’apparenza, il fenomeno che prima era stato definito in relazione alla politica e agli interessi delle classi dominanti (“selezione di classe”), poi era stato definito come libera scelta individuale sia pure necessitata (”abbandono”), ora, in modo più neutrale viene definito “dispersione”. Dispersione è spreco di energie, risorse dovuto al cattivo funzionamento del “sistema”. Insomma la “dispersione” era considerata più o meno il risultato di una specie di “scarti di lavorazione” di un sistema che non funzionava, causato da mano d’opera bassamente qualificata e tecniche di lavorazione inadeguate.

Cause e concause

Al di là dei modi in cui è stato via via nella nostra storia definito il fenomeno, al di là delle metafore con le quali è stato indicato, appare indubbio che al suo formarsi e prodursi in forme quantitativamente così rilevanti e preoccupanti concorrano principalmente i seguenti fattori:

1) le condizioni di partenza degli alunni, i condizionamenti culturali, economici, psicologici e relazionali degli ambienti familiari e sociali di provenienza;

2)  il modo di funzionamento della scuola, la sua organizzazione, le didattiche messe in campo dall’apparato pedagogico (insegnanti, curricolo, strumenti, laboratori, ambienti di apprendimento ecc.);

3)  le politiche economiche e sociali complessive del sistema politico e istituzionale che incidono e condizionano la cultura, il tenore di vita delle persone, la qualità della vita delle città e dei territori, degli ambienti sociali più larghi;

4)   le caratteristiche specifiche dei soggetti, il loro profilo, la loro storia personale.


Data la complessità del fenomeno e le sue innumerevoli articolazioni immaginare che bastino dei singoli interventi, ancorché positivi, che toccano questo o quell’aspetto del problema, ma slegati o addirittura in contraddizione con una visione ed una politica generale di contrasto alla dispersione, appare sbagliato o quanto meno insufficiente.

Infatti tutti gli interventi che da diversi anni attraverso iniziative cofinanziate dalla Comunità Europea hanno preso forma di diversi progetti di lotta e/o di prevenzione della dispersione scolastica non hanno prodotto i risultati attesi, il fenomeno è continuato a crescere, in modo ormai preoccupante ed esponenziale di pari passo alla profonda e drammatica crisi economica e sociale che stiamo attraversando.

Propaganda e realtà

Guardiamo un attimo la situazione specifica della scuola italiana. Da un lato ci sono politiche scolastiche che puntano alla riduzione drastica e indiscriminata della spesa, riduzione drastica del personale, impoverimento degli ambienti di insegnamento apprendimento, peggioramento delle condizioni di lavoro, retributive e di considerazione sociale degli insegnanti, aumento degli alunni per classe, diminuzione del sostegno e integrazione, maestro unico, eliminazione del modulo e del tempo pieno nella primaria, ecc. (l’elenco potrebbe continuare), dall’altro ci sono i BES, progetti come il propagandato M.E.T.I.S. ecc. su cui si sta spendendo il governo con il suo sottosegretario Rossi Doria che sono una sorta di “via didattica” alla lotta contro la dispersione e per l’integrazione. Nella scuola, come uomo di scuola, non posso non essere favorevole a nessuna “via didattica” che veda insegnanti più preparati, aggiornati, formati, professionalizzati. Questa via individua nelle capacità e nelle competenze dei docenti un fattore molto importante, irrinunciabile, però, se non è accompagnata, o addirittura è contraddetta come nel nostro caso dalla politica scolastica e dalla politica in generale del governo creiamo un’illusione, tutt’al più facciamo propaganda politica.

Sguardo lungo cercasi

Se non si mette mano, per fare un esempio più generale, al fenomeno crescente del drammatico aumento dei cosiddetti NEET* (un altro orribile acronimo che sta per “not in employment, education or training”, giovani che non studiano e non lavorano – non studiano perché i propri genitori non lavorano e non lavorano perché il “mercato” non li vuole) quale lotta mai si potrà fare alla dispersione scolastica? I docenti potranno essere preparatissimi, aggiornatissimi, formatissimi. Non c’è “via didattica” che tenga, occorre di più e di altro. E qui non solo i docenti, ma anche la scuola in generale non può fare niente. Occorrono allora coerenza, una visione d’insieme lungimirante e un progetto di scuola, direi anche un progetto di società e di Paese.

 

* NEET – Giovani che non studiano e non lavorano: caratteristiche, costi e risposte politiche in Europa http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2012/541/it/1/EF12541IT.pdf