L'INTERVISTA Carrozza: "La scuola digitale non sarà di Stato" Il ministro dell'Istruzione spiega la sua strategia per portare la scuola nell'era 2.0. No a obblighi sugli e-book, ma sconti fino al 30% per i docenti che adotteranno testi digitali. Software aperti e no a monopolisti dell'hardware. Cambio di marcia anche sulle Lim di Federica Meta, Corriere delle Comunicazioni 28.10.2013
La digitalizzazione non
si impone dall’alto ma deve essere il risultato di condivisione di
esperienze. È questa la filosofia che ispira la strategia del
ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
Maria Chiara Carrozza,
che al Corriere delle Comunicazioni, spiega perché è contraria a una
“scuola digitale di Stato”.
La scelta di cancellare
l’obbligo risponde a una visione per cui la digitalizzazione dei
processi di insegnamento e apprendimento non si può imporre
dall’alto, ma va sostenuta nel rispetto delle specificità e dei
bisogni dei singoli istituti. Nel pacchetto “L’Istruzione Riparte”
abbiamo eliminato l’obbligo dei libri cartacei che potranno essere
fruiti anche in comodato d’uso (il Miur ha stanziato 8 milioni, ndr)
e, dunque, non possiamo pensare di applicarlo agli e-book. Sarebbe
un controsenso. Il combinato dei due provvedimenti - decreto
ministeriale su e-book e pacchetto scuola - ha un obiettivo
fondamentale che è quello di “liberalizzare” questo mondo e quindi
rendere l’adozione dei libri, cartacei o digitali che siano,
facoltativa. Ma c’è un aspetto realmente innovativo nel decreto
ministeriale sugli e-book, finora poco evidenziato e che mi preme
sottolineare.
Il provvedimento
contiene le linee guida sul libro del futuro che dovrà essere sempre
meno di carta, ma soprattutto fruibile su tutti i supporti digitali
- tablet, pc, lavagne interattive di produttori diversi - in modo da
lasciare la massima libertà d’acquisto a famiglie e insegnanti. In
questo modo si apre la strada al software open source, alla
collaborazione fra istituti, alle reti di scuole sui territori. Io
credo fermamente che il libro digitale possa rappresentare una
grande opportunità di crescita e progresso per la nostra scuola solo
se sarà vissuto in modo aperto e progressivo da tutti gli attori del
sistema scolastico.
Guardi, certamente
questa non è una fase in cui si possono erogare fondi ad hoc. Ma,
allo stesso tempo, non è un momento in cui possiamo permetterci di
distrarci sul tema del digitale. Per quanto riguarda il primo punto
ricordo che - sempre nel decreto e-book - si è deciso di abbassare
da subito i tetti di spesa nelle classi dove i costi per la
dotazione libraria sono solitamente più elevati. Nel 2014/2015,
infatti, nelle prime della secondaria di primo grado e nelle prime e
terze della secondaria di secondo grado, i tetti saranno ridotti del
10% laddove i libri richiesti saranno in versione mista, in parte
digitali, in parte cartacei. Se invece, nelle stesse classi, i
docenti decideranno di adottare solo libri digitali il tetto di
spesa sarà ridotto del 30%. Allo stesso tempo bisogna trovare modi
di innovare, abbassando il costo per lo studente. E l’open source
può aiutare in questo senso.
I software utilizzati
per i libri digitali dovranno essere aperti e interoperabili,
fruibili con la stessa qualità, cioè, su tutti i supporti
elettronici - dai computer ai tablet - in commercio per lasciare
libertà di scelta alle famiglie e ai docenti nell’acquisto. E l’open
source non impatta positivamente solo sulle tasche delle famiglie e
sulle finanze delle scuole, ma anche sulla creazione di un vero e
proprio ecosistema dell’innovazione che può dare chance anche alle
start up italiane.
Nella mia idea di
scuola non c’è posto per i monopolisti. Dobbiamo dare a tutti i
player, anche i più piccoli, la possibilità di entrare nel mercato.
Come ministro devo garantire a tutti gli studenti italiani una
formazione di qualità e, allo stesso tempo, che ci sia un mercato
liberalizzato, dove la nuova imprenditorialità abbia il posto che si
merita. Quindi, a mio avviso, la partita della scuola la vincerà chi
sarà in grado di elaborare prodotti didattici a costi accessibili,
funzionanti su tutte le piattaforme, ma che non metta in secondo
piano la qualità, che deve essere “validata” dagli insegnanti.
Francamente credo che
dobbiamo cambiare rotta rispetto all’idea della Lim di Stato.
Non solo. Più che altro
perché è finita l’epoca in cui si acquistano piattaforme di Stato,
questo è il punto. È più sensato, dal punto di vista strategico ed
economico, dotare le scuole di un fondo per comprarsi la lavagna
interattiva del modello e della marca che ritengono più adatta,
eventualmente.
No, certamente. Si
mettono in campo azioni di procurement avanzato che coinvolga anche
i privati, grandi o piccoli che siano, interessati ad investire
nella scuola. L’ecosistema dell’innovazione scolastica che ho in
mente non fa solo innovazione di prodotto ma anche di “fund raising”.
Poi si può lavorare per defiscalizzare le donazioni dei privati alle
scuole, ad esempio.
Ne vorremmo di più, ma
sono quelli che avevamo a disposizione. Gradualmente continueremo a
cercarne altri provando, anche qui, a far intervenire i privati. Ma
il principio che muove è sempre quello di rendere le scuole autonome
da questo di vista. Guardi, la formula dei bandi andrà rivista perché risponde a una logica “dirigista” delle smart city che, invece, sono processi di innovazione sociale guidata dai territori e non dal centro. Come per la scuola anche per le smart city vale lo stesso discorso: il ruolo dei governi è stimolare un ecosistema dell’innovazione e non dirigerla dall’alto. |