Scuola e Alunno con Autismo
Riflessione sul modello italiano
Educazione & Scuola
13.11.2013
Ed eccoci ad un
problema centrale “Scuola e Autismo”.
Puntualmente come ogni anno, all’inizio dell’anno scolastico, si
sentono e si leggono articoli riguardanti nomine, insegnati di
sostegno, cattedre, certificazioni, ecc., in realtà dovremmo
occuparci di Marco, Alessia, Simone a scuola e non in generale di
leggi, di bambini con autismo o di pedagogia, psicopedagogia, ecc.
Alcune riflessioni a proposito meritano perciò attenzione e
dibattito.
C’è fra tutti noi
cittadini e soprattutto noi genitori di bambini con autismo, una
forte apprensione associata a speranza e grandi attese relativamente
alla qualità della prospettive educative e della vita di relazione
che i bambini e i ragazzi con autismo sperimenteranno all’interno di
un contesto altamente specifico come è la scuola.
La scuola, seconda soltanto alla famiglia come luogo educativo e di
permanenza, è certamente un momento fondamentale per il ragazzo, la
famiglia e la società.
La scuola è anche per ora la sola realtà “istituzionale” che, nel
bene e nel male, si è fatta carico del problema “autismo”, ed
inoltre, è anche quella che quotidianamente impatta, in modo diretto
e continuato, con le difficoltà vere del singolo bambino
certificato, investendo attenzione e risorse nella gestione di un
processo, quello dell’integrazione, mai troppo
chiarito, i cui traguardi e le cui metodologie sono state dalla
scuola stessa più inventate ad hoc che apprese e applicate.
Al suo interno, la scuola ha consentito, ad insegnanti, bambini e
alunni con disabilità, una esperienza reciproca e troppo spesso, a
tale istituzione, è stato attribuito e ingiustamente richiesto, un
impegno eccedente finalità e possibilità intrinseche. Frequentemente
si è confuso il suo ruolo pedagogico e sociale, con il percorso
riabilitativo vero e proprio di molte disabilità. Nonostante questo
fraintendimento molti insegnati si sono distinti in questa sfida con
stupefacenti adattamenti e ottimi risultati ma molti sono anche gli
errori, molti i silenzi, le ingiustizie, le intolleranze, le
discriminazioni, i muri di gomma…
La scuola è un
diritto e un dovere
La scuola è la
vita, la vita di ogni uomo nella collettività, al di là della sua
condizione, del suo stato di salute, della sua specificità, della
eventuale sua non abilità o disabilità. Il soggetto è nella scuola
come “individuo”, non come “normo-dotato” o come affetto da
“autismo”, o da “audiolesione”, ecc. La scuola mette in relazione
persone differenti che si scambiano informazioni, su sé, sugli altri
e sulle cose e nessuna etichetta, nessuna caratteristica,
peculiarità, origine, religione, diagnosi, dovrebbe modificare in
senso negativo o deprivativo tale scambio.
In questa ottica la legge 104 del 1992 prevede la
scolarizzazione di tutti i minori in situazione di handicap, bambini
con autismo compresi. Altre norme ancora sono state emante per
assicurare questo diritto e sarebbe bene conoscerle per potersi
sorprendere nel vedere come questo obiettivo risulti tuttavia così
difficoltoso.
Scolarizzare
non significa semplicemente “accesso”.
La scolarizzazione non
si riduce all’accesso, all’inserimento in una classe ma produce,
quale elemento nobile e qualificante, integrazione,
come percorso che dalla aspecificità delle finalità di gruppo e
delle formule di principio, mediante un insieme di adattamenti
reciproci, guidati dai docenti, giunga all’individualità degli
alunni, consentendo loro delle esperienze significative,
sia nell’apprendere che nel socializzare.
Cosa assolutamente dobbiamo pretendere dalla scuola?
E in
particolare, noi genitori di soggetti con autismo, “cosa
possiamo pretendere?, E una volta che lo avremo stabilito
potremo anche domandare “Realizza la scuola ciò che è
corretto pretendere?”, ed eventualmente “Perché
non lo può fare?”
Per legittimare simili quesiti sarebbe importante dimensionare a
livello nazionale il fenomeno autismo e sindromi correlate,
comprendendo all’interno di questo eterogeneo gruppo, a causa delle
diverse classificazioni utilizzate dai vari professionisti
relativamente a tali diagnosi, anche i casi di psicosi infantile.
Le dimensioni del problema ci potrebbero far capire meglio come ci
dobbiamo organizzare per pretendere risposte sempre più qualificate
e specifiche.
Dimensioni del problema
I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle
scuole pubbliche d’Italia, in base ai dati dei provveditorati agli
studi (oggi CSA), dati ricavati dalle diagnosi ufficiali rilasciate
dai Servizi Sanitari, relativi all’anno 2001-2002, riferiscono un
numero di casi complessivo di 8062 alunni così certificati, e cioè
140 casi circa per milione di abitanti; suddivisi in 64/milione con
diagnosi di autismo, e 75/milione con diagnosi di psicosi
infantile. Attenzione questi sono i dati relativi agli alunni
disabili certificati rispettivamente, autistici o
psicotici, presenti nelle scuole in Italia in un preciso periodo
di tempo e non i dati riferiti alla totalità dei casi presenti sul
territorio nazionale.
DIAGNOSI DI AUTISMO
E PSICOSI INFANTILE (dati CSA 2001-2002)
Diagnosi di Autismo
Scuola materna 21/
milione di abitanti (1220 bambini certificati autistici)
Scuola elementare 22/ milione di abitanti (1276 bambini certificati
autistici)
Scuola media 15/ milione di abitanti ( 870 bambini certificati
autistici)
Scuola secondaria superiore o II° grado 7/ milione di abitanti ( 406
bambini certificati autistici)
Diagnosi di Psicosi
infantile
Scuola materna 20/
milione di abitanti (1160 bambini certificati psicotici)
Scuola elementare 20/ milione di abitanti (1158 bambini certificati
psicotici)
Scuola media 19/ milione di abitanti (1102 bambini certificati
psicotici)
Scuola secondaria superiore o II° grado 16/ milione di abitanti (
928 bambini certificati psicotici)
Come potete
vedere i valori numerici rispettivi, autistici e psicotici,
sono pressochè sovrapponibili. Se però sono paritetici in partenza
(scuole materne), divengono dismogenei successivamente a causa dei
ritiri, poiché, con il passare degli anni, i bambini autistici
scolarizzati diminuiscono in modo significativo, in generale (valore
assoluto) e persino rispetto ai soggetti certificati come psicotici.
I bambini con diagnosi di psicosi mantengono fortunatamente una
forte presenza anche nella scuola secondaria. Questo dato ci dice
però che le cose vanno particolarmente male per i soggetti con
autismo. Non è infatti il migliorare dell’incidenza della diagnosi
che li fa scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive difficoltà
nell’integrazione.
E’ solamente
l’andamento severo della sindrome autistica che può giustificare la
negatività di questi riscontri?
Noi genitori non lo crediamo.
I dati mostrano che per l’autismo la scolarizzazione è anche meno
precoce, forse perchè le diagnosi arrivano un po’ più tardi, o
entrambe le cose, rispetto alle psicosi (lieve aumento dei casi
nelle scuole elementari). Ma questo dato è strano perchè le psicosi
si affermano tipicamente in età decisamente più avanzata rispetto al
sospetto di autismo. Questo dimostra inconfutabilmente che molte
diagnosi di autismo vengono fatte molto tardi. Altre elaborazioni
dei dati forniti dal CSA evidenziano anno dopo anno, un incremento
costante dei casi, per ambedue le diagnosi, anche se di poche unità
per milione, e tale andamento mostra un aumento maggiore a favore
delle certificazioni di autismo rispetto a quelle di psicosi
infantile in un rapporto pressochè doppio (il che fa pensare ad una
corrrezione di diagnosi). Questo starebbe per un aggiustamento dei
criteri diagnostici e per una sempre maggior conoscenza
dell’autismo, più che per una diminuizione reale della patologia
psicotica.
Appare veritiero però che questa fotografia “scolastica” del
problema, pur significativa, offra valori decisamente sottostimati
rispetto ai quadri patologici in questione nella loro interezza. Da
una parte perché questi dati non comprendono i casi, con PDD e altre
patologie border-line, quelli non ancora certificati, e dall’altra
perché il provveditorato non rileva tutti i possibili pazienti o i
loro spostamenti e, non ultimo, perchè manca nel conto il numero di
chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola (orfani o “a
tutela sospesa”), oppure c’era ed è uscito e di chi si aggiungerà a
costoro nell’anno appena iniziato.
Questi sono i dati da cui noi dobbiamo partire per capire quanta
voce in capitolo abbiamo rispetto ai circa 50.000 insegnati di
sostegno operanti in Italia e per impegnarci a non rinunciare in
alcun modo e per nessuna ragione al profondo valore di scolarizzare.
Integrazione
Esiste anche una profonda differenza tra inserimento e
integrazione.
Il presupposto di base,
quando si parla di autismo, è comprendere che siamo di
fronte ad un disturbo complesso e le risposte
possibili saranno dunque complesse. Le situazioni sono molteplici e
vanno affrontate, di volta in volta, come problematiche differenti,
in un’ottica di specificità. I riduzionismi non aiutano a capire la
realtà delle persone, perché ne prendono una piccola parte e la
fanno diventare il tutto. Consapevoli delle difficoltà insite nella
specificità, è bene ribadire che noi genitori di alunni con
disabilità cognitivo-comportamentale sappiamo bene, e
lo vogliamo ribadire, che la scuola non è il luogo deputato alla
terapia propriamente detta per i disturbi dei nostri
figli.
Noi semplicemente
vogliamo realizzare ciò che è previsto dalla legge:
apprendimento ed integrazione.
Vogliamo per i nostri figli esperienze significative,
socializzazione, ampliamento delle capacità comunicative e
relazionali, apprendimenti seppur minimi, mirati a favorire
l’autonomia attraverso competenze e abilità essenziali, dando
qualità alla loro esistenza. Sappiamo anche che, nell’ambito di
questo progetto complesso e difficile, tutte le esperienze sono
importanti ma questo non significa che tutte siano valide e, secondo
il principio della rete, in un’ottica si scambio delle
informazioni tra scuole, si dovrebbero socializzare le esperienze
prestando ascolto a quelle riconosciute come esemplari e che possano
essere utili e a disposizione di tutti. Non serve compartecipare
soluzioni del problema solo se “esaustive, radicali o miracolose” ma
semplicemente aiutare gli operatori a non sentirsi isolati
all’interno della propria azione didattica “in divenire”, aprendo
loro un orizzonte di riferimento più vasto.
L’integrazione è
qualità di vita in comune ed è un fenomeno sicuramente complicato, i
cui obiettivi vanno perseguiti non separatamente tra loro ma
sperimentati in un’ottica di globalità. L’integrazione si realizza
attraverso una esperienza comune o allargata, quando cioè tutti,
operando insieme, si aiutano reciprocamente a migliorare la
competenza culturale, relazionale e comunicazionale dei singoli nel
gruppo.
Non da soli dunque si
affronta l’integrazione, e verrebbe da dire “tanto meno l’autismo”.
Le condizioni
essenziali affinchè esista integrazione sono:
Tutti divengano
interpreti di uno stesso progetto, tutti debbono essere coinvolti,
non solo l’insegnante di sostegno, ma tutti: il docente e il
dirigente, i collaboratori scolastici, la famiglia, i medici, i
paramedici, gli alunni, tutti….
Si deve operare in modo sinergico. Ciascuno deve impegnarsi per
quanto gli compete, in una connessione stretta e continua con gli
altri per fare un lavoro comune. Ciascuno faccia la sua parte e
ciascuno si nutra e si rafforzi dell’esperienza integrative di tutti
gli altri del gruppo e di coloro che sono altrove.
Integrazione significa anche “responsabilità”. Ciascuno ha la
propria.
Sappiamo tutti che per
consentire l’integrazione vera, non formale, nella scuola e nella
società, specialmente dell’alunno con autismo, se vogliamo realmente
farci carico di questo, risulta fondamentale ripristinare concetti
squisitamente etici, un po’ desueti in questa civiltà patinata ed
egocentrica; quello della responsabilità personale, di
responsabilità attiva, di impegno individuale e di
gruppo, di dovere morale. Non è affatto vero
infatti che noi esistiamo perché qualcuno ci ha generato, la nostra
umanità esite perchè un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto
carico, s’è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi.
Dimenticare questo è dimenticare il senso della nostra vita.
“Approccio positivo”
Dal punto di vista psicopedagogico educativo, l’unico approccio
corretto per promuovere l’integrazione dei bambini autistici è un
“approccio positivo”.
Positività non significa semplicemente che non si debbano più usare
modelli di tipo disfunzionale, cioè quelli che partono dal
proporre e ricostruire ciò che non funziona bene, ma anche e
soprattutto che con questi bambini si deve procedere e costruire a
partire dalla loro positività, dai loro interessi, da
ciò che loro propongono e manifestano, facendo spazio alla
spontaneità, nella congruità e rafforzando ciò che è adeguato,
spendibile, equiparato all’età, prestando attenzione a gratificare
ciò che è armonioso e coerente con la situazione e gli intenti
comuni del gruppo, in un cammino di piacere nel fare le cose, di
rinforzo dei comportamenti produttivi e funzionali.
Positività significa non lasciarli senza proposte, significa che con
questi bambini non si può utilizzare il “no” fine a se
stesso, il “no” e basta, il “no” senza spiegazioni, senza soluzioni
sostitutive. A questi bambini va insegnata l’alternativa alla
negazione, al divieto, a ciò che non è permesso, alla frustrazione
di vedersi negato qualcosa. Questi bambini non possono essere
obbligati a un comportamento, a una risposta, né a una
socializzazione, né si possono enfatizzare in loro soluzioni
abilitative eccessivamente specializzate o univoche, rinunciando o
addirittura soffocando una globalità indispensabile, con interventi
volti ad un recupero complessivo e ad una “non” formale
integrazione.
La coercizione non aiuta il bambino autistico. Servono altre
strategie, serve formazione, pazienza, tranquillità, disponibilità,
anticipazione. Vie che privilegino la positività esistente in loro
nelle diverse situazioni, che sfruttino i punti forti presenti nella
realtà dell’altro, che richiamino l’impegno di tutti gli operatori
nel realizzare un progetto partecipato di vera qualità della vita.
Linee guida
fondamentali per avviare l’integrazione dei bambini autistici.
Alla scuola si dovrebbe giungere con requisiti minimi indispensabili
già acquisiti dall’alunno certificato: l’attentività,
l’attenzione condivisa, la capacità di scambio e la reciprocità
nelle intenzioni, la motricità grossolana e fine, la comprensione
del linguaggio, alcune autonomie di base, ecc.
Questo non sempre avviene, anzi raramente il bambino autistico è
così opportunamente attrezzato e uno dei primi compiti della scuola,
ai vari livelli, è quello di sapersi informare adeguatamente presso
i diretti responsabili della presa in carico (specialisti
neuropsichiatri infantili; esperti della problematica)
sull’esistenza di questi prerequisiti e quindi valutarli,
individuarli, quantificarli e monitorarli. Se assenti o carenti, la
scuola deve assicurarsi il permanere dell’alunno certificato in
percorsi atti a fornire ed adeguarlo a queste competenze essenziali.
La relazione medica deve essere informazione
utilizzabile per gli insegnanti e dire loro cosa riconoscere e cosa
è meglio fare ed evitare, ma soprattutto deve legittimare la forma
di intervento pedagogico che verrà poi proposta.
L’altro, il bambino autistico, non è un esempio di patologia,
l’altro è una persona da conoscere nella sua totalità, nella sua
qualità di essere umano e come tale non ha di per sé obblighi di
trasformazione in qualcosa di meglio.
L’intervento educativo
nella scuola dovrebbe poi favorire:
l’acquisizione di un
linguaggio
(in qualunque forma possibile privilegiando quello verbale, non
verbale, corporeo, scritto, ecc.)
lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione
dell’ambiente
la promozione di competenze strumentali di base
la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe
l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.
Il successo degli
interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi di altre
variabili:
Precocità di
avvio alla scolarizzazione, (favorire l’inserimento educativo
precoce dei bambini autistici già negli asili nido, nelle scuole
materne), sempre e solo se gli interventi erogati sono
adeguati (questi due concetti non andrebbero mai disgiunti).
Competenza di tutti
operatori, tutti quelli coinvolti, non solo scolastici, tutti,
dalla sanità, scuola, società, servizi, tutti quelli coinvolti.
L’integrazione
si realizza producendo cultura e
consenso.
Servono persone
molto preparate, sotto il profilo, medico, pedagogico, sociale, ecc.
Se ci si riferisce ad un soggetto autistico si ha bisogno di
insegnanti di sostegno che conoscano benissimo i capisaldi della
pedagogia (per esempio le metodiche di Schopler, alcuni metodi di
condizionamento operante, metodi di comunicazione aumentativa e
alternativa, ecc). Insegnamenti fondamentali.che devono far parte
del bagaglio professionale di chi si avvicina all’handicap
cognitivo-relazionale e che poi saranno utilizzati e adattati in
modo conforme al caso specifico.
Disponibilità
affettivo-comunicativa degli insegnanti, che è specifica e di
cui bisogna se ne assumano personale e piena responsabilità
Fiducia
nell’ottenimento degli obiettivi che pertanto debbono essere
realistici.
Ottimismo nella
verità, non piaggeria o entusiasmo da ciarlatani
Coinvolgimento forte
dei genitori e familiari, che debbono realizzare una continuità
di obiettivi e strategie anche in casa.
E’ necessario
partecipare come genitori, insieme agli altri operatori
coinvolti, alla stesura del progetto educativo-pedagogico dei nostri
figli, un progetto individualizzato, realistico, effettivo, e che la
legge recita come condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere
condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti, flessibile
ed utile nel metodo e nei tempi. Dovrà avvalersi di un uso proprio
dei materiali e di un uso corretto degli spazi, valutando
sistematicamente i risultati per correggere gli errori o potenziare
i progressi
Lavoro di rete,
di coordinamento e di integrazione degli interventi per mezzo di
alleanze positive tra i vari operatori, tra servizi diversi, tra
medici e insegnanti, tra assistenti sociali medici e insegnanti, tra
dirigenti scolastici e responsabili dei servizi socio sanitari.
Mettersi insieme per dare risposte utili.
I genitori da soli, la scuola da sola, i medici da soli, possono
ottenere meno di quanto sarebbe possible. L’ottica essenziale è
quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e con
l’organizzazione interna della scuola e del sociale.
L’istituzione
scolastica, con l’avvento dell’autonomia didattica,
non è più vincolata ad un modello permanente di funzionamento e
può, di volta in volta, decidere secondo i bisogni degli allievi,
quali forme organizzativo-didattiche siano le più funzionali
rispetto all’intervento scelto; non c’è più un vincolo, un modello
definito da seguire. L’avvio della devolution inoltre
ridurrà sempre più le competenze del ministero della sanità e della
pubblica istruzione facendo emergere nuovi interlocutori per il
mondo della scuola: regioni, province, comuni, enti locali, ecc.
Il successo
dell’inserimento è correlato alla personalizzazione, non l’autismo
dunque ma Michele, Alessia, il bambino e la sua specificità.
Il successo formativo,
non dipende solo dall’insegnante o solo dalle capacità dell’alunno,
ma è una co-costruzione che si realizza attraverso
l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati, graduali,
progressivi, attraverso tentativi e aggiustamenti continui degli
apprendimenti.
E’ essenziale passare in fretta da una logica individuale, quella
che vede tutto il possibile in una sola figura professionale, ad una
visione allargata, all’obiettivo comune nello sforzo di tutti.
E’ sbagliato pertanto pensare che simile progetto dipenda
esclusivamente dall’insegnante di sostegno.
Anni di graduatorie ‘non’ di merito hanno mandato al massacro
persone innocenti in entrambe le trincee. E’ ormai fondamentale il
passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno, con
i “sostegni”, come insieme di strumenti, operatori ed
energie, coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai
veri operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà
specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare
l’integrazione dei nostri figli. Sono sostegni la comunità, il
gruppo sociale e scolastico, il gruppo-classe, il tutoring, i
materiali necessari e specifici; sono un sostegno l’uso specifico e
alternativo e l’organizzazione degli spazi, la documentazione e i
corsi di formazione, gli incontri tra operatori coinvolti, con i
medici, con i genitori, i video con valutazioni collettive,
periodiche, ecc. I sostegni sono tanti e chiamano in causa anche
altre realtà, anche altri enti, altre istituzioni che ad esempio
debbono preoccuparsi di fornire la scuola dei materiali
indispensabili alla realizzazione di un percorso integrativo.
Nelle classi dove è
presente il bambino autistico è indispensabile:
Conoscere bene il
bambino
Conoscere bene la patologia, le sue cause, le sue caratteristiche,
le difficoltà che produce.
La disabilità deve essere conosciuta senza pregiudizi, per poterla
accogliere nel gruppo, dal latino cum prendere, cioè
“prendere con sé”.
3. Conoscere le strategie pedagogiche ed educative ad essa
applicabili in generale.
Le conoscenze cliniche e pedagogico didattiche specifiche sono oggi
così stimolanti ed accessibili che non è più possibile accettare
l’improvvisazione o l’ignoranza in questa direzione. Il problema
della pedagogia dell’autismo non è diverso da una regione all’altra,
da una scuola all’altra, è un intervento terapeutico internazionale.
È una pedagogia mondiale.
Formulare e condividere con tutto il gruppo operativo il piano
d’intervento e il progetto
educativo elaborato per quel bambino.
Conoscerne i dettagliati dell’intervento e strutturare la sua
realizzazione mantenendo
un’ampia disponibilità alla necessaria flessibilità.
5. Agire nella quiete. Armarsi tutti di disponibilità, calma e
tranquillità.
6. Preparare prima l’accoglienza, il lavoro da effettuare,
strutturando spazi, tempi, materiali.
7. Anticipare le attività da svolgere (calendario attività) o la
proposta (simbolicamente). Parlare in modo chiaro, semplificato e
fare un parco uso delle parole come se fossero preziose chiavi per
capire il mondo. Assicurarsi di essere comprensibili e soprattutto
di essere compresi. Non usare esemplificazioni verbali, sinonimi,
metafore ma essere sempre diretti, espliciti, univoci, coerenti,
contestuali, supportando la parola con gesti, immagini, modelli…
8. Partire con attività gradite o che suscitino interesse.
Inframezzare le diffocoltà con i piaceri.
9. Controllare e fornire adeguati stimoli senso-percettivi
utilizzando un solo canale sensoriale per volta, in modo graduale,
concreto, intensivo e ripetuto con assiduità, rettificandone
l’utilizzo ogni volta che non funziona perfettamente.
10. Introdurre stimolazioni ed esercizi senso-percettivi utilizzando
progressivamente più canali sensoriali, in modo graduale e
ripetibile, adattando i compiti alla qualità risultati.
11. Proporre stimoli in quantità limitata (si può lavorare un minuto
solamente su un’attività, e spesso è già un successo che quel minuto
non sia andato sprecato) ma che siano di alta significatività (è
bene interrompere una attività quando c’è il massimo successo in
modo da renderla appetibile per una nuova proposta, appena un’attimo
più lunga, il giorno dopo).
12. Preparare moltissime attività per una singola competenza
(rischiare nuovi apprendimenti). Non tediare ma mantenere alto
l’interesse con il successo e il piacere.
13. Organizzare attività con il gruppo; dapprima utilizzando
proposte conosciute e praticate nell’uno a uno
(bambino-adulto) sostituendo l’istruttore adulto con un coetaneo, e
successivamente aprire vistosamente ai coetanei. Favorire
liberamente la partecipazione spontanea all’attività del
gruppo-classe, nel modo più fiducioso, coinvolgendo in reciprocità
gli interlocutori.
14. L’impostazione metodologica deve essere giustificata,
legittimata, validata, chiara e soprattutto documentata con
registrazioni e video affinchè possa essere valutata nel suo
divenire e nella sua efficacia dal punto di vista educativo. Sono i
particolari di un intervento che lo trasformano qualitativamente.
Vi sono ostacoli e
tanti possono essere interni all’alunno con autismo… ma troppo
spesso sono esterni.
E’ certo che da una scuola priva di aule, dove mancano banchi o
insegnanti (cosa non così inverosimile in certe zone del nostro
paese), non è possibile pretendere l’ottimizzazione di un percorso
educativo. Nella stragrande maggioranza dei casi però le risposte
adeguate dovrebbero essere possibili.
Due o tre cose su
cui non si può più transigere.
Per le specifiche
caratteristiche neurobiologiche, gli inteventi educativi negli
alunni autistici, devono svolgersi in un
setting che
preveda stabilità
psicologico-ambientale e questo è risaputo nel mondo
intero. Non si può più tollerare che l’esperienza della
scolarizzazione dei nostri figli si trasformi in un sicuro
meccanismo di regressione, di dolore, di confusione assoluta.
Su questa elemento di stabilità spaziale e strutturale
fondamentale, si fonda il progetto di integrazione del bambino con
autismo nella scuola.
Va fatta una battaglia
durissima, giusta e necessaria, da parte di noi genitori, assieme
agli insegnanti che sulla loro pelle l’hanno capito e con i medici
che lo prescrivono. Ci sono delle precise responsabilità di legge
dei comuni, proprietari delle scuole dell’obbligo, e delle province,
proprietarie delle scuole superiori, quando gli spazi in cui
dovrebbere integrarsi i nostri figli non sono previsti, non sono
sufficientemente individuati, non sono sufficientemente ampi o bene
illuminati. L’amministrazione centrale e locale deve inoltre
comprendere in modo definitivo non solo questo ma anche il principio
di continuità
ancora continuamente calpestato dalle logiche occupazionali e con
giustificazioni non pedagogiche ma spesso rivoltanti nella loro
imperscrutabilità.
Erogare
interventi educativo
pedagogici adeguati.
Quando si può parlare di interventi adeguati?
Quando l’intervento erogato rispetta un codice che riguarda
specificamente il soggetto autistico. Setting, continuità,
preparazione, formazione, progettualità, condivisione, collegamento
con il gruppo, tutela, disponibilità, tranquillità, verifiche, ecc.
Quindi la scuola che cosa fa?
Al momento fa quello che è in condizione di fare, in alcuni casi
meglio, in altri peggio, in generale ancora troppo poco se parliamo
proprio di autismo e scolarizzazione. Mi pare fondamentale se non
altro in prospettiva futura affermare che il ruolo della scuola deve
essere migliorato.
Ci vuole cultura. Ci vuole formazione.
Si deve passare da una formazione privata, costosa, elittaria, ad
una formazione obbligata, sistematica e pubblica indirizzata e
aperta a tutti (anche per coloro che già presenziano nelle strutture
del territorio). L’università si deve impegnare a fornire formazione
specialistica continua sull’handicap per i medici, per gli
insegnanti, per i genitori. La provincia e i provveditorati
dovrebbero attivarsi per la formazione. L’associazionismo dei
genitori dovrebbe tornare garante di un primato del pubblico per i
servizi necessari e fondamentali, lavorando nell’interesse esclusivo
dei minori chiamati a vivere la qualità dell’integrazione, non
preoccupandosi esclusivamente dell’affermazione delle proposte del
proprio specialista o dell’insegnante di Marco o Matteo.
AUTISMO: COSA RICHIEDERE ALLA SCUOLA
Alla SCUOLA si richiede QUALITA’ e non quantità.
Se pensate che un
bambino con autismo o con altri disturbi dello sviluppo possa essere
inserito in ambiente scolastico sin dal primo giorno ad orario
pieno, allora non conoscete questa sindrome.
L’inserimento dovrà essere necessariamente graduale e prevedere
un’attenta strutturazione di spazi, modalità e tempi, delle
moltissime attività da effettuare. L’immersione nel mondo scuola,
seppure strutturata, dovrà essere attentamente monitorata, secondo
la capacità di adattamento del bambino con disabilità e non certo
secondo un’ipotesi di delega a tempo pieno all’istituzione di turno.
Ricordate che ritirare il piccolo bambino anche solo dopo un’ora di
lezione, nei primi giorni, mantenendo elevato il livello di
tolleranza e di interesse per ciò che viene proposto, significherà
non doverlo necessariamente ritirare, persino definitivamente, più
tardi, nè costringerlo ad aggravamenti e a penose alternative alla
partecipazione (permanenza in vuoti corridoi o rimbombanti aule di
ginnastica…) per frustrazione da insuccesso, da confusione, per
eccesso esperienziale o per stanchezza, intolleranza.
E’ essenziale che il permanere a scuola sia sempre produttivo e di
alto livello qualitativo. È certamente meglio che la scuola non
lasci sperimentare, al bambino con disabilità, disagio, angoscia,
frustrazione, fallimento, o consentirgli di scoprire modalità
improprie di rifiuto, di allontanamento da essa.
QUALITA’
Qualità significa:
NON AVERE
PREGIUDIZI
AVERE CALMA, DISPONIBILITA’, TRANQUILLITA’,
SAPERE BENE COSA “FARE” e
soprattutto
SAPERE COSA “NON-FARE”
COSA E’ L’AUTISMO
È un disturbo cerebrale complesso, i cui meccanismi e le cui cause
sono ancora poco chiare, che sembra condizionare ed alterare
profondamente l’utilizzazione corretta delle informazioni che
giungono dall’esterno associata ad altre difficoltà. Molti livelli
psicologico-neuro-funzionali sembrano disfunzionali ed incongrui
rispetto alle classiche tappe dello sviluppo psicologico.
Conseguentemente il bambino non è in grado di comprendere,
distinguere, codificare spontanemente, oppure utilizzare in modo
coerente le informazioni che gli giungono dall’ambiente. E’ confuso
e invaso da un intricato e spesso intollerabile insieme di
sensazioni difficilmente gestibili. Questo suo vivere in un caos
sensoriale gli impedisce di partecipare, relazionarsi, capire,
apprendere, avere iniziative ed elaborare i dati conseguenti a
queste esperienze come succede normalmente agli altri bambini così
da preferire il permanere in un sorta di basso e ripetitivo livello
esecutivo e recettivo. Questa enorme difficoltà di ricezione, di
utilizzazione adeguata delle informazioni e di produzione diventa
vuoto di informazioni e povertà di performance. Vuoto che si esprime
in mancanza di interessi, di linguaggio, in solitudine, agitazione,
ritardo intellettivo, ritualità, incapacità di relazione e
comportamenti inadeguati se non proprio inopportuni. Questo non
significa che i bambini con disturbi cognitivo-comportamentali, non
desiderino liberarsene, né che le competenze carenti non le si possa
insegnare loro,nè che vi siano limiti insuperabili ad un compenso.
Lo sforzo di tutti è di rendere chiaro ciò che viene richiesto e
proposto e di condurre progressivamente questi bambini verso una
selezione, un ordine nell’apprendere e una normalizzazione del
vivere con se stessi e gli altri, eliminando ciò che è di disturbo
in questo cammino sia che venga dall’esterno, sia che dipenda dal
problema biologico-neurofunzionale condizionante.
SAPERE COSA
“FARE”
Accogliere un bambino con autismo o malattie correlate
significa adottare le dovute strategie, significa sapere cosa
“fare”:
COSA RICHIEDERE ALL’AMBIENTE
LUOGHI, TEMPI E ATTIVITA’ DA EFFETTUARE
DEBBONO ESSERE SEMPRE PROGETTATI PRIMA
1 –
STRUTTURAZIONE DEL LUOGO
Significa organizzare e definire
stabilmente alcuni spazi
“protetti” all’interno della scuola.
Luoghi specifici, utili ad una ottimale realizzazione delle attività
da svolgere in un rapporto uno a uno;
uno – piccolo/grande gruppo, identificati secondo le caratteristiche
del bambino e
gli obiettivi educativi per lui individuati.
“Protetto” significa: configurato, adeguato, tranquillo.
Significa OCCASIONALMENTE organizzare e definire rapidamente
ulteriori “spazi protetti”
per adeguarsi ad attività diverse, nuove. Significa anche
individuare segnali convenzionali, a disposizione del bambino, che
lo mettano “in sicurezza” rispetto a una condizione di difficoltà o
di minaccia, quando occasionalmente è fuori dagli spazi protetti. La
progressiva estensione in senso dinamico del concetto di spazio
“protetto” consente l’elaborazione di una individualità nello
sperimentare, nell’esplorare e di una flessibilità operativa assai
utile per uno sviluppo psicologico futuro.
2 – STRUTTURAZIONE
DEL TEMPO
Sulla base delle caratteristiche del bambino e degli obiettivi
educativi per lui individuati si debbono progettare, condividere,
valutare gli insegnamenti da proporre.
Questo significa organizzare e definire prima, in generale e nel
quotidiano, i tempi, le attività da proporre e eseguire; come
effettuare la loro misurazione, registrazione, nonchè programmare le
valutazioni periodiche da effettuare sugli apprendimenti per
elaborare nuove pianificazioni e strategie.
Bisogna preparare prima ciò che serve (attendere è difficile e le
modalità di attesa e riposo vanno insegnate) e anticipare quanto da
eseguire con opportuni elenchi e tabelloni, definendo con chiarezza
inizio e fine di ogni attività. Ci si preoccuperà di introdurre
flessibilità nella loro proposta, nel continuarle e sospenderle,
coinvolgendo l’alunno nelle attività di riordino.
NB. L’organizzazione dello spazio e del tempo dovrà essere
pianificabile, comprensibile e visibile anche per il bambino
(calendari attività; tabelloni ecc…)
3 – STRUTTURAZIONE DELLE ATTIVITA’
In base alle competenze già acquisite da un bambino e valutate
attentamente quelle in emergenza si definiscono gli obiettivi da
raggiungere, le competenze su cui lavorare.
Per ogni competenza se si progetteranno alcune attività che la
riguardino, si prepareranno i materiali e le strategie per meglio
effettuarla.
È utile disporre di più attività per singola competenza, evitando di
annoiare, o di prolungare eccessivamente una proposta, mettendosi
nella condizione migliore per mantenere alta l’attentività e
l’adesione a quanto proposto. È opportuno inoltre iniziare sempre
con una proposta gradita e poi le novità. Si spieghi bene cosa verrà
esattamente richiesto al bambino, visualizzando e verbalizzando
chiaramente il nome e le modalità esecutive della nuova attività,
l’accesso e l’uscita da questa nuova competenza.
L’esecuzione delle attività, la risposta ad esse, la partecipazione
a quanto proposto deve essere puntualmente premiata (variando ed
estinguendo progressivamente gli aiuti e i premi) prestando molta
attenzione a quanto si sta realmente e magari inconsapevolmente
premiando in quell’istante; e mano mano che l’impegno e le capacità
si manifestano, si inseriscano punteggi (tabelle con gettoni
adesivi) per ottenere gratificazioni finali (scelte dallo stesso
bambino e consistenti in concessioni speciali che lo riguardino) o
proponendo contratti in cui esito sia di grande soddisfazione.
Non bisogna mai dimenticare di enfatizzare enormemente il piacere di
effettuare e concludere bene un compito affinchè divenga esso stesso
il vero premio.
COSA RICHIEDERE ALLE PERSONE
1 – COSA E’ RICHIESTO ALLE INSEGNANTI
FIDUCIA in sé stessi e nel bambino
DEDIZIONE, DETERMINAZIONE & CONTINUITA’
PREPARAZIONE, FORMAZIONE e AFFRANCAMENTO DAI PREGIUDIZI
(Es. di pregiudizi radicati quanto falsi: handicap irreversibile;
sempre ritardo mentale grave; averbalità; aggressività; asocialità;
autolesionismo, bambini pericolosi, difficili, ecc. )
I pregiudizi confondono e impediscono il riconoscimento che
l’autismo è una disfunzione e non un male senza soluzione. Avere
nella scuola un bambino con autismo è come avere un bambino con
diabete. Così come una classe intera è informata e si ferma di
fronte ad un malore di un bambino con diabete per soccorrerlo, per
la stessa ragione dovrebbe “fermarsi” se un alunno con autismo, non
riesce a comprendere quanto gli è richiesto, per soccorrerlo.
2 – ELIMINARE il
“NO” e la frase “QUESTO NON SI FA”
La negazione e basta…
non serve a questi bambini.
Non possono riempire un vuoto con un vuoto. Ma vale per essi la
sostituzione, l’alternativa. (ad es. Se un bambino ama rubare la
gomma dagli astucci dei coetanei e magari romperla, ridendo felice,
è perché qualcuno, in precedenti occasioni, lo ha rincorso, lo ha
catturato togliendogli di mano il prezioso oggetto, con grande
partecipazione emotiva della classe intera. Le caratteristiche
assunte dall’esperienza, magari casuale, l’hanno resa interessante,
rinforzandola. Per modificarla ora è necessario impoverirla
riducendone gli effetti (estinzione per indifferenza),
Responsabilizzata la classe intera sul problema e sulla strategia
per risolverlo, risulterà opportuno lasciare che il bambino completi
la sua azione nel disinteresse di tutti e appenna si sarà fermato
fargli una precisa richiesta: “Dammi la gomma”. In una successiva
occasione gli si darà l’opportunità di sperimentare lo stesso
comportamento facendo in modo che prima egli formuli la richiesta:
“Posso avere la tua gomma?” e si enfatizzerà questa modalità: “Bravo
che chiedi la gomma. Eccoti la gomma”… Promettimi che non la mordi.”
Servirà poi offrire alternative: “Adesso vai alla lavagna ma non
prendere la gomma dall’astuccio di Marco”, come anticipazione del
comportamento corretto. “Bravo che non hai preso la gomma”.
E infine verificare se il comportamento problema si è estinto
offrendogli opportunità di dimostrarlo senza più rinforzi.
Una azione negata va giustificata e subito sostituita con un’altra
azione o con una proposta alternativa, altrettanto funzionale ma
adeguata, giustificata, guidata, magari facilitata all’inizio,
premiata.
Va sempre spiegato il perché non si fa l’azione negata.
Lo si può fare verbalmente oppure disegnando delle vignette che
spieghino visivamente quanto va fatto piuttosto che quanto non va
fatto, oppure in alternativa vanno spiegati gli effetti di queste
due contrapposte scelte, sia sul bambino, sia su chi gli sta
attorno.
(es. Non gridare perché tutti scappano mentre quando chiedi
quello che vuoi tutti tornano
felici e sorridenti a consegnartelo).
In certe situazioni la
negazione può trovare accoglienza se la sua formulazione viene
opportunamente anticipata con una spiegazione,
(es. non ci fermiamo perché il negozio oggi è chiuso).
Quando si deve far
fronte a comportamenti “inaccettabili” vale sempre la regola
dell’analisi attenta del fenomeno nel suo complesso, di ciò che lo
precede e di ciò che lo segue; le vie di soluzione passano
dall’estinzione, dalla sostituzione con alternative opportune,
dall’anticipazione, dalla proposta di modalità corretta, dal
contratto.
Questo significa che un comportamento problema non deve
ottenere mai una attenzione “palese – emotiva” che lo riempia di
valori, effetti, efficacia quel comportamento, involontariamente
“rinforzandolo”.
L’attenzione ci deve essere per proteggere l’alunno ma “mascherata”
da indifferenza.
(es. Il bambino in macchina batte la testa contro il finestrino,
magari in seguito a urti occasionali a causa del movimento della
macchina che in qualche maniera gli sono piaciuti, oppure perché
vorrebbe il finestrino aperto, ecco che sarà opportune mostrare
indifferenza per proporre pochi istanti dopo la conclusione
dell’azione, con la massima calma e chiarezza si chiede alla bambina
di sedersi bene e di allacciare la cintura.: “… brava che ti sei
seduta bene al tuo posto. Se vuoi aprire il finestrino devi solo
chiedere: Posso aprire il vetro? Non serve battere la testa”. Se la
bambina non riesce a chiederlo gli si dà l’ordine: “Apri il
finestrino” Poi gli si chiede di chiuderlo. Dopo averla gratificato
per il comportamento corretto, un adulto si siede dietro con lei e
la aiuta a formulare la richiesta di aprire il finestrino in varie
occasione mettendola però contemporaneamente in sicurezza esecutiva).
Se la situazione vi
sfugge o vi preoccupa, chiamate un esperto, oppure inviategli un
video di quanto accade, prima, durante e soprattutto dopo.
COSA SI CHIEDE AL
BAMBINO.
QUALSIASI COMPETENZA E’ ACQUISIBILE DA UN BAMBINO CON AUTISMO.
MEGLIO SE E’ UNA ABILITA’ o UNA COMPETENZA SPENDIBILE, FUNZIONALE,
UTILE A MIGLIORARE LA PROPRIA INTEGRAZIONE PIUTTOSTO CHE DI RARA
UTILIZZAZIONE.
CERTAMENTE CI VUOLE TEMPO E IMPEGNO MA TUTTO PUO’ ESSERE INSEGNATO.
“SE UN BAMBINO
FALLISCE, NON E’ SBAGLIATO IL BAMBINO, MA LA RICHIESTA CHE GLI E’
STATA FATTA OPPURE SIETE SBAGLIATI VOI”.
SE C’E’ INSUCCESSO OCCORRE SEMPLIFICARE, SCOMPORRE MODIFICARE LA
RICHIESTA PER RENDERLA ACCESSIBILE. RENDERE ESEGUIBILE UN COMPITO
CONSENTE AL BAMBINO DI DIVERTIRSI E DI OTTENERE GRATIFICAZIONE DA
CHI GLI E’ ATTORNO E DALLE COSE CHE FA.
RENDERE ESEGUIBILE NON SIGNIFICA TRASFORMARE LA VITA IN QUALCOSA DI
STUPIDO, MA CONSENTIRE AL BAMBINO DI NON DIVENTARE UNO STUPIDO.
SE IL BAMBINO HA
SUCCESSO OCCORRE ANDARE OLTRE:
1)
con
ALLENAMENTO,
2) ACCELERAZIONE,
3) GENERALIZZAZIONE
4) IMPLEMENTARE
NB. In molte situazioni
accade che se un compito è svolto molto bene dal bambino, che
risulta interessato e tranquillo per un discreto intervallo di
tempo, l’identico compito (es. un puzzle) viene proposto di
routine al bambino, e persino di continuo. Uno dei problemi di cui
soffrono questi bambini è la ritualizzazione e la adesività,
modalità che consentono loro di gestire apparentemente meglio quanto
accade nel mondo altrimenti caotico e difficile che ruota attorno a
loro, ma che li lega ad una routine devastante. La propensione al
ripetersi e al permanere eccessivamente su una stessa attività, non
li trasforma in geni e non va spronata in esclusiva, né tollerata ma
invece usata come strumento per far lavorare meglio il bambino
(es. ti lascio fare il puzzle che ti piace tanto, un minuto, poi
lo sospendiamo, lasciandolo lì in bella vista, per disegnare o per
dire la filastrocca… e dopo tutte queste attività, lo riprendiamo
per altri due minuti).
La flessibilità
e l’armonia nelle competenze (e non l’eccesso) è un obiettivo
importantissimo nella soluzione dell’autismo.
Possiamo usare il SE-POI, cioè
se farai questo
(attività desiderata dall’insegnante),
poi potrai fare
quest’altro (attività desiderata dal bambino).
La semplificazione
degli insegnamenti non può significare lentezza. La lentezza nelle
proposte esaspera anche i soggetti con disabilità, produce noia,
aggrava il ritardo possibile. È importante mantenere tempi tecnici
di esecuzione di un compito più vicini possibile alla normalità,
accelerando progressivamente le modalità esecutive. L’allenamento
aiuta l’apprendimento. La generalizzazione quando una competenza è
realmente appresa non ha bisogno di esercizi specifici per
manifestarsi anzi direi che è la dimostrazione stessa
dell’apprendimento e della consapevolezza di quella competenza.
Implementare significa progredire, lentamente ma progredire. Persino
rischiare qualcosa in più, qualche piccolo fallimento, piuttosto che
divenire eccessivamente stazionari.
PREREQUISITI
Il
prerequisito di ogni richiesta al bambino, da parte delle insegnati
o dei compagni, deve essere la sua ATTENZIONE che inizia con
lo “sguardo reciproco”, anche se per pochi secondi (occhi negli
occhi, mantenendo una corretta distanza). Durante o dopo lo sguardo
reciproco (attentività ottenuta), si fanno le richieste. Le
richieste possono essere verbali, oppure verbali associate ad
immagini.
VERBALIZZAZIONE
Qualsiasi azione o richiesta va accompagnata o formulata
“verbalmente” (es. “Guardami(da eliminare presto)… Consegna i
quaderni alle tue compagne”) mostrando chiaramente, se
necessario oppure solo inizialmente, il compito da eseguire.
Utilizzare ulteriori supporti alla richiesta verbale, quali
l’indicazione con l’indice, con lo sguardo, con la direzione della
testa, con l’uso di un’immagine fotografica di quanto richiesto
– è di aiuto ma questo va progressivamente ridotto. La richiesta
deve essere formulata in modo chiaro, semplice, diretto,
contestuale, senza ambiguità o doppi sensi, con modalità e velocità
di voce normali e moderate. Nello stesso modo oltre ai suggerimenti
si possono utilizzare rinforzi (“bravo”…; “campione”…; ecc.;
quelli che si usano anche per i coetanei) e premi
(specialmente gettoni di ricompensa per acquisire il diritto
a una merendina, che potrebbe poi coincidere con quella che viene
data a giusto orario, e a tutti). Anche nei soggenti non-verbali
la vita richiederà costantemente “comprensione del linguaggio
verbale degli altri” ed è per questo che verbalizzare ciò che si sta
proponendo ha un peso abilitativo elevatissimo. Questo inoltre serve
ad abituare il bambino ad essere “attento” a ciò che gli si propone,
alle richieste, o a ciò che succede attorno a lui e che l’attenzione
premia.
NB. In senso più
generale non si premia l’azione effettuata ma l’attentività e
un altro importante obiettivo è prolungarne i tempi di questa,
progressivamente. Abituare il bambino a mantenersi attento
significa consentirgli di partecipare, osservare e apprendere
qualsiasi competenza sino alla migliore normalizzazione possibile.
Ogni richiesta spontanea fatta dal bambino, se formulata in
forma verbale
corretta, intelleggibile, va prontamente esaudita anche se esula
dalla situazione in cui ci si trova o su cui ci si applica (es.
sta disegnando e chiede di andare in bagno. Si interrompe e lo si
porta subito in bagno). Questo per consentire a lui la
comprensione dell’utilità del linguaggio verbale.
Qualsiasi richiesta fatta, se scarsamente o solo parzialmente
verbalizzata, oppure addirittura non verbale, seppur comprensibile,
va sempre trasformata in richiesta verbale intelleggibile; va
espressa dall’operatore con voce chiara e in modo semplice; va
suggerita; va richiesta in imitazione e solo poi eseguita.
Meglio rinforzare il linguaggio verbale con il linguaggio del
corpo, dei segni, delle convenzioni, (es. rispondo sì,
muovendo la testa; chiedo “perché?” usando il segno con la mano;
ecc.). Secondo gli esperti oltre l’80% del linguaggio tra gli
uomini non è verbale e pertanto questa dimensione della
comunicazione va attentamente insegnata ai bambini, persino quelli
autistici.
Ogni apparente
distrazione, per seguire un accadimento attorno a lui (attenzione
ad un fenomeno inatteso), con interruzione delle attività in
essere, (es. passaggio di un aereo nel cielo; il girarsi al
richiamo di un amico, ecc.) dovrà essere gratificata per far
comprendere al bambino che l’attenzione va prestata anche al mondo
attorno, anche contemporaneamente a ciò che si sta facendo.
La capacità di
formulare parole corrispondenti ad immagini (esercizi iniziali)
potrà successivamente divenire breve descrizione di ciò che è
attorno. Le ecolalie non vanno utilizzate (estinzione) ma
trattate come stereotipie, (es. Se un bambino formula
continuamente la stessa domanda non è affatto interessato alla sua
risposta ed inoltre perde il significato del chiedere e del ricevere
una risposta).
Formulare VERBALMENTE descrizioni di ciò che si sta vedendo o
facendo, oppure che si sta per fare; ovvero dare risposte a ciò che
viene chiesto è l’avvio ad una comunicazione verbale completa.
Se la verbalizzazione dell’azione è troppo tardiva, si procede
ugualmente all’azione, sfruttando la sua esecuzione come momento per
riformulare, facilitandolo, la richiesta o la descrizione nel modo
verbale e gestuale dovuto.
Successivamente, quando le richieste e la comprensione del
linguaggio saranno raggiunte, e ci si rivolge al bambino per
esaudire una sua richiesta, si potrebbero introdurre due
opzioni-risposta affinchè lui scelga, facendo attenzione a porre la
richiesta meno allettante per ultima: “vuoi una caramella o un
mestolo?” (l’elemento disturbatore all’inizio d’essere completamente
inaccettabile, estraneo alla proposta).
Il bambino ‘non molto attento’ seppur in grado di comprendere il
linguaggio tende a recuperare e ripetere l’ultima parte dell’offerta
ma il disappunto di non ottenere quanto realmente desiderato
aumenterà la sua attenzione alla successiva formulazione della
richiesta. Quindi non gli si offre solo la possibilità di effettuare
una scelta autonoma ma lo si abitua ad elevare, ad un livello
attentivo più adeguato, la verbalizzazione.
Qualsiasi richiesta
fatta al bambino con disabilità, dovrà essere formulata
dapprima verbalmente e se possibile associata con il linguaggio del
corpo (es. “Ci sediamo per la lezione” e se intendo con ciò
fermarmi in una stanza, mi debbo sedere); poi con suggerimenti
fisici (es. indicare con lo sgardo; avvicinargli l’oggetto in
questione), aiuti che saranno progressivamente eliminati.
Usate premi meno intrusivi possible (es. No ad alimenti;
caramelle…) e diluite in molti gettoni-ricompensa le azioni per
ottenere un premio.
MA COMUNQUE se il
bambino, al terzo tentativo, non esegue quanto gli si richiede, LO
SI FACILITA E SI COMPLETA SEMPRE L’ESECUZIONE DI QUANTO RICHIESTO.
Questo per far comprendere il legame fra richiesta verbale e azione
e per impedirgli la frustrazione nell’esecuzione fallita di un
compito (cosa diversa dalla frustrazione prodotta dal corretto
rifiuto di un capriccio… Frustrazione quest’ultima che non gli fa
male e che sarà poi prontamente diluita con una nuova proposta).
Nella verbalizzazione per semplificare un concetto evitate esempi,
metafore e allegorie. Potreste creare molta confusione. Anche frasi
interrogative generiche: “Hai capito?”, ”Sei pronto?”, “Andiamo?”
vanno sostituite con interrogazioni che facciano pensare: “Hai
capito cosa facciamo ora o non hai capito?”, ”Sei pronto per andare
a fare una passeggiata o ti aspetto?”, “Andiamo in chiesa o restiamo
qui nel giardino?” Ricordate che anche altre frasi astratte o di
rito sono da evitare perchè incomprensibili se non contestualizzate
(es. Cosa provi?; Cos’è l’amore?; ecc.).
ADEGUATEZZA E COMPORTAMENTI PROBLEMA
Favorire qualsiasi partecipazione o relazione con altri purchè
“adeguata”, “consona” alla situazione.
Favorire l’attenzione a ciò che fanno gli altri bambini.
Es.: coinvolgerlo con frasi del tipo:
A) “Guarda che
stanno facendo. Facciamo anche noi il girotondo?”
“Chiedi che si fermino!”. Chiedi: “Fermatevi, voglio giocare!”.
“Chiedi ora a Francesca e Michela che ti diano la mano”- ”Ok
“Giro, giro tondo…”
D) “Guarda cosa fa Giorgia, aiutala a raccogliere le
foglie”.
E) “Guarda cosa scrive alla lavagna Michele” e, se
particolarmente semplice e concreto quanto scritto, “scriviamo
anche noi quello che ha scritto Michele”; oppure “disegnamo
quello che ha scritto: es. APE,” ecc.)
Guidare verso
comportamenti corretti, adeguati, circostanziati, convenzionali
usando una immersione nel contesto gradualissima, attenta ad
aumentare l’esperienza conformemente alla accettazione in
adeguatezza di questa.
NB. Ricordare che il comportamento adeguato va richiesto e preteso
non solo dal bambino con disabilità ma anche da chi sta attorno a
lui, adulto o coetaneo che sia. Da comportamenti inadeguati di un
coetaneo, o di un adulto (anche se in generale non appaiono così
gravi perché noi siamo abituati a pensare come normodotati, capaci
di una valutazione di merito retrospettiva) possono originare “per
imitazione” o per lo stimolo sensoriale che li ha accompagnati,
comportamenti problema, o comportamenti inadeguati che, una volta
appresi, sono poi di difficile rimozione.
Un bambino con autismo che ti dà uno schiaffo è un bambino che lo ha
ricevuto.
IMITAZIONE
Promuovete
l’imitazione dei coetanei ogni volta che è possibile:
La possibilità-capacità
di imitazione è una caratteristica innata e sempre presente nella
condizione autistica per cui il binomio ATTENZIONE –
IMITAZIONE apre percorsi abilitativi immensi.
Usate come modello i suoi coetanei sia per ottenere
comportamenti adeguati, sia per insegnare.
Dall’ingresso
all’uscita della scuola potete creare una gara organizzata di esempi
pratici.
L’imitazione è uno strumento meraviglioso. Qualsiasi cosa gli volete
insegnare affiancategli due sue amichette, una per parte, e fategli
vedere come gli altri fanno quella cosa.
Es.: – Siediti come è seduta Simona.
- Disegnate questa cosa sul foglio come disegna…
- Alzate tutti la mano quando volete rispondere alle mie domande.
- Jacopo alza la mano, come gli altri, prima di dirmelo.
Correggetelo gentilmente ma puntualmente se infrange regole per le
quali i suoi pari risultano corretti evidenziando il loro
comportamento.
Promuovete l’apprendimento del nome degli altri alunni e la
competenza nel chiamarli per interagire in attività e relazione con
i suoi pari.
Es.: – Saluta i tuoi amici. Ciao…
Consegna a Maria il quaderno… e dille che il voto del compito è…
Richiedete che dialoghino fra loro a turno. Predisponente compiti in
cui siano descritti dialoghi. Insegnante che le domande
corrispondono a risposte. Selezionate per lui quelle più semplici,
quelle più concrete, e ponetegliele o fategliele porre, facendo
rispettare i turni.
Come ti chiami?
Come stai?
Che classe fai?
Dove abiti?
Hai visto che tempo fa oggi?
Che bella maglietta hai! Di che colore è?
Mi piacciono i tuoi pennarelli nuovi. Me ne dai uno?
Daresti a Marisa quello verde.
Aiutatelo a
chiedere sempre quello di cui ha o avrebbe bisogno.
Es: Ora la maestra darà ad ogni bambino uno strumento musicale.
Cosa si farà con questo strumento? Guarda cosa fa Amelia.
Si siede, mette lo strumento sul tavolino e aspetta il segnale della
mestra.
Aiutatelo a dire:- Starò seduto e suonerò al segnale.-
Poi premiatelo: Bravissimo: la maestra ti dirà quando devi
suonare.
Lavorate
sull’espansione delle formalità di relazione insegnado i
“saluti”, il sorridersi, lo sguardo reciproco nel dialogo, il modo
di parlarsi, di mostrare gli oggetti, i compiti, facendo apprendere
cosa dire quando ci si incontra, quando si va a passeggio, quando si
va a fare la spesa, quando si fa un compito, quando si risponde alla
mestra, come si dice quando non si capisce o si vorrebbe risentire
quanto è stato richiesto.
Incoraggiate la conversazione tra loro insegnando a chiedere a un
altro bambino di sedersi accanto a lui per la colazione o nella
pausa gioco. Aiutatelo mentre conversa con gli altri bambini: ha
bisogno di suggerimenti nell’interazione con i pari. Coinvolgete gli
altri bambini e complimentatevi con loro per un buon lavoro come vi
complimentate con lui. Se si presenta l’occasione in cui sia
naturale che un pari lo corregga, incoraggiare il pari a farlo in
modo chiaro, pacato e adeguato.
Es. Invece di dire “non spingere” dite “Bambini dovete
toccarvi più piano”. Invece di “Non urlare,” direte
“Parlate più piano”e fatene un esempio. Es. Se bighellona fuori
dalla fila, dite: “Anita dì a Jacopo di sbrigarsi e prendilo per
mano”.
Premiatelo sempre quando spontaneamente fa richieste o avvia lui
per primo con qualcuno una conversazione durante un gioco o negli
apprendimenti e lavorate per espanderla. Premiatelo quando lui
nomina spontaneamente classificandoli gli oggetti che vede e
riconosce. Espandete la competenza con descrizioni semplici di
funzioni e caratteristiche secondarie.
TRANQUILLITA’, PACATEZZA, TOLLERANZA e poi ricordate.
Se qualcosa non va o vi
complica la vita… procedere con calma e ricominciare.
CHI CONTROLLA CHI?
Ricordare che il controllo della situazione, del progetto, degli
obiettivi lo avete VOI e non il bambino. Serve autorevolezza in
serenità. L’autorevolezza sta nell’assumervi la responsabilità di
essere guida e nella chiarezza e nel valore di ciò che proponete. Lo
scopo non è il controllo del bambino, il contenerlo, il far passare
il tempo ma bensì: consentire al bambino ad esperienze utili,
significative e produttive.
COSA RICHIEDERE
AGLI ALTRI BAMBINI DURANTE LE ORE DI SCUOLA RISPETTO AL BAMBINO CON
DISABILITA’:
Adeguatezza.
Fare attenzione a non urtarlo, non abbracciarlo, tironarlo,
sbatterlo, spingerlo, evitare di urlare, ecc. ma essere “modelli di
adeguatezza”, adoperando modalità comportamentali corrette, al fine
di insegnare al bambino con difficoltà cognitivo-comportamentali
come ci si guarda, ci si presenta, ci si parla; come ci si saluta,
come si progetta assieme un compito, come lo si esegue, ecc.
Quindi informate la classe che mantenere un comportamento
adeguato è un bene.
Che essere indifferenti a capricci, stereotipie o comportamenti
impropri è un bene per il bambino con autismo; mentre è un bene
dirgli bravo quando si comporta bene.
Spiegate prima, al
bambino certificato, cosa succederà e come dovrà comportarsi
(anticipare) e se inadeguato aiutatelo con vignette, con gli esempi
dal vivo messi in opera dai coetanei e loro imitazione; con la
riduzione esplicita del numero di gettoni premio guadagnati; con
l’indifferenza assoluta rispetto a quanto non va bene. Abbiamo visto
già come i comportamenti problema non vanno mai trasformati in
momenti di comunicazione attiva, transitiva, oppure rinforzati con
risposte che (anche se inavvertitamente) forniscono quanto
desiderato dal bambino.
(es. Se ill bambino grida e subito si corre da lui, o ci si gira
tutti verso di lui; se la classe ride rumorosamente ad un suo
comportamento improprio… lui trasformerà tale risposta al suo
comportamento in una possibilità interessante di attirare
l’attenzione divertita degli altri su di sé, in un piacere, e
memorizzerà quel modo per ottenere).
Sappiate inoltre che molti comportamenti problema vengono eliminati
semplicemente “appesantendoli”: per esempio, una ecolalia (es.
due coniglietti; due coniglietti…) si interrompe
introducendo quesiti sulla stessa: “Come fanno i coniglietti a
scappare dal lupo? Mostrami come corrono i coniglietti? Di che
colore sono i coniglietti?Disegnamo due coniglietti”
o “introducendo un controllo dall’esterno” specie in stereotipie o
comportamenti che terminano con un rinforzo (anche inconsapevole)
per poi essere ripetute (Es. Il bambino appena fuori dalla
classe corre a toccare tutti gli estintori della scuola, sino a che
viene catturato o riceve l’ordine di non farlo. Poi ricomincia. Sarà
bene non catturarlo, nè redarguirlo ma introdurre ordini attinenti.
Ora esci e tocchi tre volte il secondo estintore mentre non tocchi
il primo. Sei pronto, vai… Ora che l’hai fatto vieni qui e vestiti.
Domani cambieremo la richiesta e ti lascerò toccare gli estintori in
un altro modo (anticipazione e introduzione di scostamento
temporale), ecc. Fino all’estinzione del comportamento.
Giochi vocali particolari con l’uso di una stessa parola accentuata
impropriamente in una sua parte, tanto da farla sembrare un urletto,
va riproposta in modo corretto… (es. “princì…” diverrà “Dì
bene: principe”).
Giochi motori tipo stereotipie possono essere appesanti così da
trovare soluzione.
(es. se il bambino con disabilità si sfrega la testa o ha altre
attività motorie inopportune, ecco che gli si proporrà uno schema
motorio più complesso da eseguire: fai questo, fai così ecc. secondo
una attività motoria grossolana, di una certa durata, ma preparata
prima, così da essere competenti, veloci ed efficaci quando ci sarà
da proporla. Esistono attività utili anche agli altri bambini e che
si possono eseguire assieme: mimare una poesia significativa).
Queste strategie possono irritare ma tale effetto significa anche
che il bambino è agganciabile e comprende benissimo la richiesta che
lo impegna diversamente.
Ogni comportamento problema va interrotto prontamente quanto
adeguatamente.
Premiatelo quando è
opportuno ed adeguato e siate indifferenti quando non lo è.
(Es. appena sta seduto bene e in silenzio durante la lezione
della maestra. Di nuovo dopo un po’ di tempo).
Incoraggiatelo con complimenti quando si comporta adeguatamente
Quando il bambino realizza con successo qualcosa, andatene fieri e
compiacetevi per un lavoro ben fatto da entrambi. Poi il giorno
successivo, datevi un altro obiettivo, dimenticandovi del precedente
successo. Compiacersi va bene ma si può ottenere di più.
L’importante è non pensare che solo cose banali e di modesta
rilevanza possano essere proposte perché così si anticipa e si
amplifica la realizzazione del divario tra questi bambini e i
coetanei.Siate sempre presenti ma cercate di renderlo autonomo.
Fare bene non è così complesso come si è soliti pensare, né richiede
un’enorme bagaglio formativo ma piuttosto un attrezzatura mentale
“pronta” e una speciale attenzione nell’analisi di quanto succede e
di come stanno andando le cose. Attenti anche alle soluzioni
pratiche, alle piccole strategie da adottare, un particolare
riguardo ai principi secondo cui ci si deve muovere.
Siate disponibili al confronto con gli altri operatori, con i
genitori, senza paura di giudizi o critiche perché il lavoro da fare
è molto e nessuno sa fare tutto da subito o da solo.
Quello che invece non si dovrebbe dimenticare ma che non viene
mai detto, è che ogni volta che non ci si impegna, che si lascia
andare… si è perduta un’occasione, un’opportunità di aiutare un
bambino, domani un uomo, ad esistere oggi tra i bambini e domani tra
gli uomini.
COSE DA NON
FARE
Non permettete a voi stessi, come genitori, operatori, insegnanti
di ruolo e di sostegno di rimane intrappolati nella routine della
classe: i vostri obiettivi sono un po’ diversi da quelli degli
altri docenti: le competenze e l’integrazione come occasione di
normalizzazione con e attraverso coetanei.
Non permettetevi di utilizzare le stesse cose, gli stessi materiali,
sempre nello stesso ordine, ogni giorno.
State attenti ad eliminare la rigidità degli alumni con
disabilità e lavorate perché accettino meglio i cambiamenti.
Non permettete loro di utilizzare comportamenti inappropriati per
attirare la vostra attenzione ma ricordate che per loro è naturale
utilizzarli e non sono pienamente consapevoli della loro rilevanza o
dei loro effetti. Gli effetti dei comportamento problema li
costruite voi.
Non consentite anarchia, né confusione.
Completate sempre i compiti prefissati, magari riducendo i tempi
di lavoro e preoccupatevi che si concludano o si sospendano nel
massimo del successo.
Fate preparare e riordinare secondo modalità normali.
Coinvolgete altri bambini nelle stesse competenze.
Non permettete il
permanere in solitudine, anche se quel particolare bambino sembra
volerlo.
Attivatevi per ottenere interazione:
non imparerà mai a giocare, a studiare o a condividere qualcosa con
gli altri se li evita e se non glielo insegnate.
Non costruite
handicap sull’handicap.
Non cercate di evitare alcune situazioni solo perché ritenete che
siano difficili per lui. Adattatele a lui.
Lavorate proprio sulle sue difficoltà, sfruttando la negatività
per costruire positività, incoraggiando le sue capacità.
Non confondete la calma con la lentezza o la noia. Lavorate e
insegnate a velocità normale.
Non proteggetelo troppo. Costruite il
suo diventare indipendente.
CONTINUITA’
E’ un obiettivo, non una certezza.
Impegniamoci affinchè diventi un’opportunità.
Non dimenticate il confronto con i genitori.
Trasferite con coraggio un ottimo lavoro in un ambiente in cui
magari non si fa altrettanto. Trasferite alle strutture, che non lo
sanno ancora fare le corrette modalità apprese per effettuare e
continuare un ottimo lavoro.
Comunque vadano le cose il confronto continuo è bene: il bambino ci
guadagna.
FASE I
INTERAZIONE – ADEGUATEZZA
1) Aiutate anche fisicamente il bambino a partecipare a tutte le
attività
Concentrate l’attenzione nel fargli imparare le prime regole
essenziali
(mettersi in fila, stare seduto; stare in silenzio).
Non aiutatelo più… quando è capace.
2) Aiutate il bambino
nell’apprendimento in parallelo e in gruppo.
Aiutate il bambino ad espandere la durata della attenzione e della
relazione
Aiutate il bambino ad agire con gli altri bambini
3) Insistete sul
“sapersi comportare” durante la lezione
Aiutatelo ad usare correttemente i materiali di lezione
Aiutatelo ad usare correttamente i quaderni e i libri
Aiutatelo a seguire la lezione alla lavagna.
4) Premiatelo molto per
i comportamenti appropriati
La lezione della
maestra, quando tutti devono stare attenti, è un momento molto
difficile per i nostri bambini.
Inizialmente pretendete che il bambino sieda composto e in silenzio
per pochissimo tempo. Prefiggetevi un obiettivo alla sua portata.
Rinforzate moltissimo se raggiunge questo obiettivo poi lasciatelo
distrarsi e uscite ma scegliete voi il tempo di uscita anticipando
la scelta del bambino possibilmente. Assegnate compiti motori al
bambino (Es. Consegnare quaderni fogli matite; cancellare la
lavagna) frapponendo queste attività allo stare seduto.
Il giorno successivo pretendete l’attenzione alla lezione per più
tempo (un minuto; due minuti) da cui voi estrarrete (con una
strategia comune e condivisa con la mestra) un elemento chiaro per
disegnarlo, continuando questa procedura finchè il bambino è capace
di sedersi appropriatamente per tutto il tempo deciso (purché sia a
lui utile) e di seguire parte della lezione.
Se i capricci disturbano la classe, appena questi si sono
interrotti, potete tranquillamente allontanarvi con il bambino dalla
classe (dovrete sembrare voi a decidere e non il comportamento del
bambino ad avere specifiche conseguenze), ma solo per PROPORRE UN
RIPOSO, che va insegnato, oppure un ALTRO LAVORO (magari più facile
per lui); e subito dopo, in altra sede, qualcosa di più complicato;
meglio se con un compagno presente, che funga da modello… ma mai
“premiare” il suo comportamento negativo, rinforzandolo, con il
disimpegno, o tollerando un comportamento inadeguato o solitario.
Dovrete anche prevedere intervalli di riposo e insegnare ad
attendere strutturando la situazione e usando specifiche posture.
FASE II
VERBALIZZAZIONE
1) Promuovete sempre l’uso del linguaggio verbale (e non)
Lavorate con il piccolo gruppo sui dialoghi formali e con la maestra
e i compagni organizzate una brevissima lezione “finale” con domande
e attività specifiche per il bambino con autismo, a cui partecipino
in modo corale tutti, ma in cui il protagonista sia lui. Richiedete
il contatto oculare quando parla o gli viene rivolta la parola, un
saluto o una richiesta.
Aiutatelo a rispondere correttamente alla maestra e agli altri
bambini.
A questo momento finale fate precedere e seguire un tempo breve di
normali prestazioni molto adeguate al programma degli alunni.
Insegnategli il modo in cui può chiedere agli altri qualcosa o
direttamente alla maestra (alzare la mano).
2) Prefiggetevi il
raggiungimento di comportamenti appropriati nella classe.
Organizzate per seguire il lavoro del gruppo e in gruppo. Fate in
modo che partecipi a progetti, competenze strutturate e libere.
Insegnategli come essi si riordina la cartella, il banco, la classe.
3) Aiutate
l’interazione.
L’insegnante di sostegno deve diventare l’amica degli altri bambini.
Gli altri bambini di conseguenza vorranno stare vicino a lei e
quindi intorno al bambino in difficoltà. Il premio per un successo
scolastico dei bambini normodotati potrebbe essere quello di poter
stare con il bambino certificato, divenendo protagonisti di una
esperienza comune. L’insegnante deve aiutare continuamente il
bambino a partecipare, ascoltare e parlare con gli altri bambini in
modo appropriato.
FASE III
Perseguire: ADEGUATEZZA, PRECISIONE, COMPETENZA E DURATA.
Nei casi più evoluti:
1) Prefiggetevi piu
indipendenza durante le attività. Richiedete al bambino di guardare
il tabellone calendario delle attività e di seguire la lezione,
limitando i coetanei, per sapere cosa succederà o si farà dopo (non
ditegli cosa deve fare). Richiedete al bambino più verbalizzazione e
iniziate a pretendere che entri nei discorsi, dapprima con semplici
parole chiave, inerenti e facilitate nella formulazione e poi
spontanee, alzando la mano per partecipare alle discussioni di
classe. Assicuratevi che il bambino canti tutte le canzoni, reciti
le poesie, anche a turno, ecc. insieme alla classe.
2) Aumentate la
frequenza dell’interazione spontanea con gli altri bambini.
Incoraggiatelo a fare domande e a rispondere alle domande degli
altri sempre piu elaborate. Pretendete che attiri l’attenzione degli
altri prima di parlargli toccandoli o chiamandoli per nome.
Incoraggiatelo a condividere. Promuovete speciali amicizie anche
fuori orario scolastico con i compagni di classe. L’insegnante
utilizzi il bambino come suo speciale aiutante in modo che gli altri
lo ammirino per le sue qualità.
Riassunto delle regole
generali
1. Discutere,
Preparare, Condividere e Seguire un Progetto
-Strutturare l’ambiente
-Strutturare gli avvenimenti, modalità e tempi e i singoli esercizi
-Informare su ruoli e attività, le altre persone o bambini coinvolti
-Proporre con gradualità e strategie
2. Tranquillità, Disponibilità, Comprensione, Calma e Buon umore,
Lasciare i problemi a casa
3. Preparare e Predisporre gli strumenti; eventualmente coinvolgere
il bambino nella preparazione e nel riordino
4. Non consentire tempi morti ma piuttosto strutturare le attese in
maniera adeguata alla tolleranza del bambino, insegnando ad
attendere, o a rispettare il proprio turno
5. Anticipare ciò che succederà e quanto si richiede
6. Cercare e ottenere lo Sguardo e l’attenzione; prolungare lo
sguardo reciproco a 3 – 5 secondi
7. Perseguire: Adeguatezza, Precisione, Competenza, Durata e
Coinvolgimento (motivazione)
8. Richiedere cose secondo obiettivi pre-definiti. Non produrre
richieste esorbitanti le capacità e se irrosolte occorre
semplificare
9. Formulare le richieste in maniera chiara, semplice, pacata, a
tono di voce moderato. Verbalizzare sempre in modo da far
comprendere ciò che si richiede e si compie
10. Pretendere, invogliare, attendere la risposta o l’esecuzione
della consegna per tempi adeguati e poi completare
11. Individuare, visualizzare, definire inizio e fine degli esercizi
da compiere
12. Facilitare i compiti. Avviarli e lasciarli compiere nella
maggiore autonomia possibile
13. Introdurre nel rapporto uno a uno, il ruolo del compagno,
sfruttando l’imitazione, la turnazione, lo scambio. Introdurre
progressivamente il rapporto con il gruppo.
14. Fare in modo che ogni attività divenga un successo, un piacere
16. Ridurre progressivamente suggerimenti o premi
17. Favorire e premiare l’attenzione prestata a ciò che succede
nell’ambiente, anche incidentalmente, al di fuori del compito.
Favorire e premiare qualsiasi richiesta (ad eccezione di premi
organizzati secondo
gettoni premio) se formulata correttamente anche extra-situazione.
Favorire la spontaneità
19. Non creare esclusione dalle attività o rallentamento
nell’esecuzione di richieste
Lateralizzare (favorire l’uso della sola mano destra – o sinistra,
se mancino -) nelle
attività di rito
Seguire l’ordine di scrittura (da sinistra a destra; dall’alto al
basso) nelle attività
grafiche e di lettura o interpretazione di immagini
22. Strutturare ma non ritualizzare. Proporre le attività della
giornata o prodursi in
proposte alternative secondo strategie opportune
23. Premiare sempre i comportamenti corretti. Non considerarli mai
ovvi e scontati.
24. EVENTUALI STEREOTIPIE non debbono significare interruzione di un
programma
ma andranno trascurate o interrotte adeguatamente (per la loro
gestione è opportune
rivolgersi ad esperti).
25. MAI REAGIRE IN MANIERA PUNITIVA AI COMPORTAMENTI PROBLEMA, NE’
MAI RINFORZARLI CON INTERVENTI ECLATANTI, nemmeno inavvertitamente,
né renderli comunicazione fruibile o motivo di concessione di
richieste (chi controlla chi?). Si agirà secondo le strategie
comportamentali dettate dagli esperti
26. Riferire sull’andamento e confrontarsi
27. Essere pronti a ricominciare d’accapo ogni volta lo si renda
necessario
28. Ricordare che la flessibilità del bambino va costruita
attraverso la flessibilità degli
interventi. Essere coerenti con quanto proposto non significa non
poter progettare diversificazione.