Bullismo, quando i genitori
invece di educare giustificano

La storia che raccontiamo risale alla fine del maggio scorso,
ma è arrivata alle cronache solo pochi giorni fa.

di Emiliano Sbaraglia, Corriere Scuola di vita 3.11.2013

Siamo in Liguria, provincia di Genova, e grazie alla controquerela di un genitore si è venuti a conoscenza di un ragazzo disabile picchiato e filmato da quattro compagni a pochi giorni dalla chiusura delle scuole.

La prontezza dell’insegnante di sostegno non ha soltanto fermato il pestaggio, ma anche le riprese che due dei quattro aggressori stavano effettuando con il tablet fornito dalla stessa scuola, naturalmente con ben altre finalità.

La professoressa e il preside hanno deciso di denunciare i ragazzi ai carabinieri, che a loro volta hanno girato la denuncia al tribunale minorile. In seguito, la procura ha inflitto agli studenti colpevoli una pena esemplare, un bel contrappasso dal sapore dantesco, oltre che educativo: produrre una serie di video sul bullismo, e diffonderli in alcune scuole liguri attraverso incontri con altri studenti.

Tutto finito? Neanche per sogno.

Il padre di uno dei filmaker fa partire una controquerela: forte della sua esperienza come personale tecnico in un’altra strutture scolastica, ai giudici del tribunale dei minori spiega di ritenere la pena troppo dura, ritenendo più appropriata una semplice sospensione da parte del dirigente scolastico, firmatario della denuncia.

«Viviamo in un piccolo paese, dove si conoscono tutti (il comune di Mele non supera i tremila abitanti, ndr), e adesso quattro famiglie si trovano in un girone infernale, con i figli che devono seguire un corso di recupero, anche se il mio non ha partecipato all’aggressione, ma ha solamente assistito. In questo modo il tribunale dei minori non distingue tra gli aggressori e chi ha assistito la scena» scrive il genitor.

Una storia triste, molto triste, che ci offre almeno un paio di spunti di riflessione.

Il primo riguarda l’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici. Va bene, anzi benissimo, che un comune della provincia genovese si trovi in questo senso all’avanguardia, con Ipad distribuiti in comodato d’uso agli scolari per lavorare e interagire anche con le lavagne elettroniche. Ma l’attenzione per come questi strumenti vengono maneggiati dentro e fuori dalla classe da parte dei minori deve rimanere sempre altissima, dato che i rischi, oltre ai vantaggi, restano enormi.

C’è poi da commentare la posizione espressa dal genitore, e qui la faccenda si complica.

Perché non si può difendere l’indifendibile, anche se si tratta del proprio figlio, invocando provvedimenti disciplinari blandi o «una semplice tirata d’orecchie» invece di una punizione esemplare.

Il contrappasso scelto dalla Procura, da un punto di vista psico-pedagogico, appare la scelta più azzeccata. Piuttosto dovrebbe essere quel padre, tra le quattro mura casalinghe, a rendere ancor più efficace tale punizione, spiegando al figlio che la complicità al cospetto di certi gesti è grave quanto il gesto in sé, ancor più quando rivolto contro qualcuno più debole perché più sfortunato di noi.

Senza l’educazione familiare, la scuola può fare ben poco