VALUTAZIONE: DI QUALE MERITO PARLIAMO? Il merito come eccellenza e il merito come serietà Intervento al convegno Educare alla critica: quale valutazione? organizzato da Unicobas, Unicorno L'AltrascuolA e Liceo Mamiani di Roma, 26 novembre 2013
di Giorgio Ragazzini
Quando si parla
di puntare sul merito come leva del progresso sociale e civile, ci
si riferisce in genere alla valorizzazione dei più bravi; in altri
termini, alle cosiddette “eccellenze”. Dico subito che valorizzare i
migliori in tutti i campi è giusto e soprattutto necessario, perché
la società di oggi e quella che domani sarà dei nostri figli ha
bisogno di eccellenti professionisti, imprenditori, politici,
tecnici, scienziati, studiosi; e non solo perché operino al meglio
ciascuno nel proprio settore, ma anche perché con la loro azione,
con il loro esempio, con i loro scritti, con il loro insegnamento
trasmettano alle nuove generazioni, al più alto livello possibile,
il nostro patrimonio culturale.
Il merito nella
valutazione dei docenti: due priorità
Per cominciare,
è ovvio che quando si insiste sulla valutazione dei docenti si punta
a migliorare la qualità media del corpo insegnante. Propongo perciò
di partire da questa domanda: per migliorare la qualità della scuola
italiana è più utile individuare e premiare economicamente i
migliori insegnanti oppure lavorare perché tutti i docenti siano
almeno “sufficientemente buoni”? A me pare molto più sensato puntare
sulla seconda prospettiva. Dal punto di vista dell’interesse
generale, infatti, è dubbio che la qualità media dei docenti
crescerebbe premiando chi già lavora molto bene e senza dubbio
continuerà a farlo anche senza premi, in quanto motivato dalle
soddisfazioni professionali che ottiene.
Quali sono
invece le leve che promettono di essere effettivamente in grado di
migliorare quello che è il principale patrimonio della scuola in
ogni tempo, il cuore dell’offerta formativa, cioè il corpo
insegnante? A nostro parere le due priorità, restando in tema di
valutazione, dovrebbero essere due. La seconda leva l’ho già accennata in apertura, è quella che, insieme a una maggiore selettività in entrata, servirebbe a garantire insegnanti “sufficientemente buoni” a tutti i ragazzi, cioè una valutazione di minima adeguatezza. In altre parole ci dovrebbe essere la possibilità di prendere provvedimenti tempestivi e risolutivi nei casi di conclamata inadeguatezza oppure di grave o ripetuta scorrettezza professionale di un docente. Sappiamo tutti bene che oggi non è affatto così. Spesso un pessimo insegnante viene tutt’ al più trasferito da una scuola all’altra: con quale miglioramento per il sistema è inutile sottolinearlo. Anche quei dirigenti che vorrebbero tutelare gli studenti coinvolti, attualmente si scontrano con una carenza di strumenti e con lungaggini procedurali, e spesso finiscono per darsi per vinti o di rinunciare in partenza di fronte allo stress e alle frustrazioni a cui vanno incontro. Non ignorare il “demerito” significherebbe invece riconoscere indirettamente il merito di tutti quei docenti che fanno almeno dignitosamente il loro dovere e spesso molto di più, un po’ come una lotta efficace all’evasione fiscale rende giustizia e dà soddisfazione ai contribuenti corretti. Per ammettere che sia giusto basta riflettere sul fatto che nessuno di noi è disposto a farsi curare da un medico notoriamente incapace. Il fatto che non si ponga rimedio ai casi in cui siamo al di sotto della sufficienza è deleterio per il prestigio della scuola pubblica, per quello della categoria e soprattutto per i ragazzi con cui hanno a che fare. Il superamento di questo vero e proprio tabù costituirebbe un importante passo verso la doverosa rivalutazione della categoria, che ha contribuito in modo decisivo all’evoluzione culturale della nazione e che ha al suo interno grandissime risorse di intelligenza, di esperienza e di passione civile che attendono di essere valorizzate anziché mortificate. Non è certo difficile individuare i docenti che proprio non vanno, anche perché sono spesso oggetto di lamentele e proteste da parte dei genitori. Ma sarà comunque necessario “oggettivare” queste situazioni con una qualche procedura: e io vedrei la soluzione più ovvia in una rinnovata funzione ispettiva, che non a caso è stata letteralmente smantellata negli ultimi decenni. Mentre nel Regno Unito ci sono 1500 ispettori e in Francia 3000 in Italia ce ne sono solo 100. Nel Lazio uno. In Toscana nessuno. Eppure il necessario complemento dell’autonomia scolastica è un sistema efficiente di controlli, come in generale la responsabilità è il pendant della libertà. Perché la cultura del controllo di legalità è così carente in quasi ogni settore? Io credo che, per una serie di motivi storico-politici e ideologici che non ho il tempo elencare, il rigoroso rispetto delle regole è stato associato non alla giustizia e alla libertà, come sarebbe ovvio perché sulle regole si basano, ma piuttosto all’autoritarismo, all’oppressione dello Stato o delle classi dominanti; e addirittura alla mancanza di umanità; chi fa rispettare una regola viene spesso percepito come poco sensibile o comprensivo. A questo punto credo di avere risposto dal mio punto di vista alle domande posteci dagli organizzatori, per quanto riguarda la valutazione dei docenti. Certo, comprendo benissimo le riserve e le resistenze alla valutazione quando sento questo o quell’esperto sostenere come pacifica la possibilità di valutare gli insegnanti in base ai risultati dei propri allievi.
Ma quando
un’esigenza si afferma, è bene prendere un’iniziativa, fare delle
proposte concrete, dire dei sì, che legittimino anche alcuni no,
altrimenti c’è il rischio di trovarsi a combattere le stesse
battaglie nelle condizioni meno favorevoli. |