Il mestiere di maestra? Più duro che fare il soldato

 di Meri Gelonesi, Corriere Scuola di vita 5.11.2013

Ospitiamo la lettera di Meri Gelonesi, una maestra elementare di lungo corso che si dice «umiliata ed offesa». Ci racconta i suoi 41 anni di lavoro e di come la legge Fornero abbia bloccato la sua pensione fino al 2015. La scoperta dello «scivolo d’oro» concesso ai militari cinquantenni fa emergere considerazioni amare. Ma anche la forza di andare avanti con la stessa responsabilità di sempre, consapevole della «missione» di ogni maestra nel formare i cittadini di domani.

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Mi chiamo Meri Gelonesi e sono un’insegnante elementare al quarantunesimo anno di servizio (appartengo agli ormai famosi e sfortunati ragazzi del ’52) e dovrò lavorare ancora fino al termine dell’anno scolastico 2014/15 , in virtù della legge Fornero del 2012.

Alla vigilia del pensionamento mi vidi fermata, si disse allora, perché l’Italia era sull’orlo del baratro economico e rischiavamo di non vederci  accreditata a dicembre la giusta mercede per  il nostro lavoro.

Accettai con grande fatica il prolungamento del servizio continuando, come ho fatto per oltre quarant’anni, a trasmettere ai miei allievi le basi del sapere. Compito non facile in un momento di crisi paurosa dell’istituto famigliare e di sfilacciamento dei principi di solidarietà e di giustizia sociale.

Faccio mie le espressioni della collega Clementina Melotti Boltri, autrice dell’intenso lavoro C’era una volta la scuola elementare: «Dalle lezioni quotidiane la maestra esce sfinita per la stanchezza e con  gli occhi cerchiati, ma compensata dall’amore dei suoi  alunni e che rispondono all’amore pensoso della loro maestra che non indulge a sdolcinature e a permissioni, perché vuole il bene dei bambini e sa che il loro bene sta, a scuola, nell’apprendere conoscenze e abilità, nell’educarsi a valori e a regole, anche quando queste ultime sono dure e, in quel momento, sgradite».

E’ dura e sconfortante per me questa situazione anche perché vedo a giorno a giorno  sfilacciarsi e sfaldarsi un Paese che ha smarrito i valori  portanti di un vera democrazia e continua a vedere i propri giovani fuggire all’estero così come ha dovuto fare mio figlio che lavora attualmente  da precario al Comitato delle Regioni di  Bruxelles.

Ho letto sul Corriere che i cinquantenni militari italiani  godranno di «uno scivolo d’oro» con esenzione dal servizio di dieci anni e con l’85% di stipendio.

Per noi insegnati, le cose vanno in maniera ben diversa. Nei giorni scorsi, il ministero dell’Istruzione ha lanciato un censimento per conoscere il numero di chi alla fine del 2012 aveva maturato la famosa «quota 96»(si parla di 4.000 insegnanti). Il ministro Giovannini, però, in Parlamento  ha fatto capire che non si potrà mandarli in pensione tutti.

Oltre al danno, la beffa.  E la conferma  che in questo disgraziato Paese non siamo tutti uguali davanti alla legge.

Non è  questa l’Italia che sognavamo e per la quale abbiamo speso le migliori energie, mentre la nostra classe politica è troppo impegnata a costruire il suo personale futuro, schiamazzando  nei salotti televisivi, elargendosi lauti vitalizi.

Continuerò ad andare tra i miei allievi con l’entusiasmo di sempre  ben consapevole, come scriveva il mio conterraneo Corrado Alvaro , che «ogni uomo è responsabile del suo tempo»