Il sistema scolastico integrato pubblico-privato
è in contrasto con la Costituzione
Traccia,
integrata con i riferimenti normativi, dell'intervento di Corrado
Mauceri al Convegno "'Senza oneri per lo Stato', un principio
costituzionale da rispettare: no al finanziamento alle scuole
private", Milano 26 Ottobre 2013.
di Corrado Mauceri,
Fuoriregistro
26.11.2013
1.
La legge di parità: una logica conseguenza del processo di
aziendalizzazione del sistema scolastico e del cosiddetto processo
di "ammodernamento" della Costituzione.
Il referendum di Bologna ha avuto il merito di riaprire, a livello
nazionale, una discussione sulla sempre più diffusa politica volta a
realizzare, sulla scia della scellerata Legge di parità (L. n. 62
del 2000), un sistema scolastico integrato pubblico-privato.
Il sistema integrato pubblico-privato è in palese contrasto con la
Costituzione perché viola anzitutto il diritto di tutti di accedere
alla scuola statale e perché la Costituzione afferma in modo chiaro
che l'istituzione di scuole private deve essere "senza oneri per lo
Stato". Dobbiamo però domandarci: perché, se la Costituzione lo
esclude, un tale modello di sistema scolastico è diffusamente
realizzato anche da quelle forze politiche che si dichiarano
rispettose della Costituzione (il PD anzitutto) e si considera
persino una soluzione di buon senso perché consentirebbe anche un
risparmio di risorse pubbliche?
Nello stesso tempo dobbiamo riflettere sull'esito del referendum di
Bologna; difatti, se la dirigenza del PD propone, a tutti livelli,
il sistema integrato pubblico-privato, l'esito del referendum di
Bologna ha dimostrato che la gran parte dell'opinione pubblica è
ancora convinta che le scuole private devono essere istituite "senza
oneri per lo Stato".
Solitamente la scelta del sistema scolastico integrato è considerata
una concessione della sinistra ed in particolare del Ministro
Berlinguer al mondo cattolico per assicurarsi il sostegno dell'area
cattolica alla riforma berlingueriana dei cicli scolastici.
Certamente è stata anche questo, ma soprattutto è un aspetto di una
nuova idea di scuola, che nasce e si sviluppa (ovviamente con tante
contraddizioni ed anche resistenze) negli anni 90 nell'ambito di una
egemonia culturale neoliberista e soprattutto nella subalternità del
gruppo dirigente dell'ex PCI, culturalmente travolto dal crisi del
comunismo reale.
"Meno Stato, più privato" in quegli anni era diventato la sintesi di
un pensiero unico che accomunava gran parte della classe dirigente
del Paese. In questa generale ubriacatura neoliberista si sviluppa
anche l'ossessione dell'ammodernamento della Costituzione che, in
concreto, si traduce nella costante violazione dei principi
costituzionali nell'indifferenza più generale.
In questo contesto di subalternità culturale del maggior partito di
centro-sinistra (prima PDS, poi DS ed ora PD) al pensiero unico del
"primato del privato" si sviluppa un processo di "decostituzionalizzazione"
delle nostre istituzioni che ovviamente coinvolge anche il sistema
scolastico costituzionale, peraltro mai compiutamente realizzato; si
mette quindi in discussione il ruolo istituzionale della scuola
statale, concepita come sinonimo di scuola centralista e
burocratizzata, e si avvia un processo di aziendalizzazione del
sistema scolastico con una progressiva omologazione tra scuola
pubblica e scuola privata. Questa cultura subalterna, incapace di
immaginare che lo Stato può essere democratico e pluralista (come
quello definito nella Costituzione), pensa che lo sviluppo del
sistema scolastico si realizza mutuando i modelli aziendalistici e
superando la distinzione tra pubblico e privato in un unico sistema
integrato.
Nel 1994 fu pubblicato un documento con primo firmatario il futuro
Ministro Luigi Berlinguer, intitolato Nuove idee per la scuola, in
cui tra l'altro si afferma:
"Si deve pensare a un sistema formativo pubblico, nazionale ed
unitario, del quale partecipano scuole statali e non statali...":
è l'atto di nascita del sistema scolastico integrato, cioè un'idea
di scuola alternativa alla scuola della Costituzione, che invece
distingue tra scuola statale aperta a tutti per la sua funzione
istituzionale per la formazione democratica delle nuove generazioni
e scuola privata che si istituisce per finalità di parte e non può
essere la scuola di tutti e per tutti.
2. Il contesto culturale ed istituzionale
in cui si colloca e si sviluppa il sistema scolastico integrato
pubblico-privato.
Queste nuove idee per la scuola si collocano in un contesto
culturale ed istituzionale che non riguarda soltanto il sistema
scolastico, ma investe l'assetto istituzionale nel suo complesso ed
in tutte le sue articolazioni. In sintesi (necessariamente
schematica) i principali aspetti che coinvolgono il sistema
scolastico sono:
2.1 La privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti
pubblici con il conseguente processo di aziendalizzazione degli
uffici pubblici e quindi anche della scuola statale.
La privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti
avviata nel 1993 (Presidente del Consiglio Amato) fu,
paradossalmente, fortemente voluta dalla CGIL e soprattutto dalle
componenti di sinistra della CGIL (FIOM, giuristi fortemente
impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori come D'Antona,
Alleva e tanti altri). Solo la CGIL Scuola si oppose (molto
timidamente a livello di dirigenza nazionale, con molta più forza a
livello di molte strutture di base).
L'idea, per la verità molto semplicistica e demagogica, era quella
di realizzare l'unità di tutti i lavoratori; non si consideravano
però le diversità strutturali e finalistiche tra l'azienda privata
regolata dalla logica del profitto dell'imprenditore e l'ufficio
pubblico, che deve perseguire l'interesse generale che non coincide
con quello dell'amministratore.
Questo processo meriterebbe un'approfondita riflessione per gli
sfasci che ha determinato in generale nella Pubblica Amministrazione
e per le grandi contraddizioni che ha prodotto nel sistema
scolastico.
2.2 La legge sulla "privatizzazione" del rapporto di lavoro dei
dipendenti pubblici ed i successivi decreti attuativi.
L'art. 2 della L. 23/10/1992 n. 421 delega il Governo a dettare le
norme per inquadrare il pubblico impiego nell'ambito del diritto del
lavoro privato con l'introduzione della contrattazione del rapporto
di lavoro dei dipendenti pubblici.
In attuazione di tale legge delega furono emanati i seguenti decreti
attuativi: il D.Lgs n. 29/93 (Presidente del Consiglio Amato,
Ministro della Funzione Pubblica Barucci), i D.Lgs. n. 396/97, n.
80/98 e n. 387/98 (Presidente del Consiglio Prodi, Ministro della
Funzione Pubblica Bassanini, Ministro della Pubblica Istruzione
Berlinguer). Tutta la normativa fu successivamente riordinata nel
T.U. n. 165/01.
Quali sono le modifiche che incidono sullo status del docente e
sulla libertà di insegnamento e quindi sulla funzione della scuola
statale?
In sintesi (riportando il testo del T.U.):
Art. 2, comma 2: "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del
Capo I, del Libro V del Codice Civile e delle leggi sul rapporto di
lavoro subordinato nelle imprese".
Art. 2, comma 3: "I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2
sono regolati contrattualmente".
Art. 3, comma 2: "Il rapporto di impiego dei professori e dei
ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni
rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che le
regoli in modo organico ed in conformità ai principi dell'autonomia
universitaria".
Art. 5, comma 2: "Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi
di cui all'art. 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione
degli uffici e le norme inerenti alla gestione dei rapporti di
lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con le
capacità e i poteri del privato datore di lavoro".
Art. 25: "1. Nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica
è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto
preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è
stata attribuita personalità giuridica ed autonoma a norma
dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive
modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono
inquadrati in ruoli di dimensioni regionale e rispondono, agli
effetti dell'articolo 21, in ordine ai risultati, che sono valutati
tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle
verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso
l'amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e
composto da esperti anche non appartenenti all'amministrazione
stessa.
2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria
dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile
della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei
risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi
collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi
poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle
risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza
l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia
formative ed è titolare delle relazioni sindacali.
3. Nell'esercizio delle competenze di cui al comma 2, il dirigente
scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei
processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali,
professionali, sociali ed economiche del territorio, per l'esercizio
della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca
e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della
libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del
diritto all'apprendimento da parte degli alunni.
4. Nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni
scolastiche, spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di
gestione delle risorse e del personale.
5. Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e
amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui
individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed
è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con
autonomia operativa, nell'àmbito delle direttive di massima
impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed
ai servizi generali dell'istituzione scolastica, coordinando il
relativo personale.
6. Il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al
consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il
coordinamento dell'attività formativa, organizzativa e
amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un
efficace raccordo per l'esercizio delle competenze degli organi
della istituzione.
E' evidente che la suesposta normativa mette in discussione
l'assetto democratico della scuola ed in particolare lo status del
personale docente ed introduce un modello gerarchizzato ed
aziendalistico che contrasta in modo palese con il principio
costituzionale della libertà di insegnamento e con il ruolo
istituzionale che la Costituzione assegna alla scuola statale.
Questi interventi tendono a configurare la scuola statale come
un'azienda in cui il ruolo professionale del personale docente è
gestito da un manager con i poteri del privato datore di lavoro al
pari della scuola privata.
Si avvia quindi un processo di trasformazione ed omologazione della
scuola pubblica al modello aziendalistico della scuola privata dove
il gestore detta le regole ed il progetto educativo, che il
personale docente è tenuto a realizzare con una legittima
limitazione della propria autonomia professionale.
Deve però essere chiaro che questo processo di omologazione al
modello aziendalistico senza dubbio è stato avviato, ma non è stato
compiutamente realizzato, anche perché le forti resistenze del mondo
della scuola hanno impedito finora una piena e definita
realizzazione dell'aziendalizzazione e della sua organizzazione
manageriale.
Lo stesso art. 25, che pure ha introdotto la figura manageriale del
Dirigente Scolastico, paradossalmente con l'esplicito riferimento
agli Organi Collegiali ha riaffermato l'organizzazione democratica
della scuola statale, introducendo una indubbia contraddizione che
ridimensiona il modello aziendalistico; difatti, distinguendo la
figura del dirigente in generale della Pubblica Amministrazione
dalla figura specifica del dirigente scolastico, ha evidenziato la
specificità della scuola e quindi la inapplicabilità alla scuola di
tutte le norme che si riferiscono in generale alla P.A. (come per
esempio il decreto Brunetta), ma soprattutto ha affermato che il
Dirigente Scolastico esercita le proprie attribuzioni "nel rispetto
delle competenze degli organi collegiali scolastici".
Se si considera che le competenze degli organi collegiali scolastici
sono ampie ed investono tutta la vita scolastica, in realtà si può
sostenere che l'aziendalizzazione della scuola è una tendenza che si
può facilmente realizzare se c'è (come in realtà c'è) una
subalternità culturale (ma anche opportunistica) del mondo della
scuola; si può invece neutralizzare se c'è un forte impegno nella
gestione quotidiana degli spazi di democrazia scolastica.
Il mondo della scuola non può crearsi alibi; se passa il modello
aziendalistico (e come si sa, PD e PDL nella passata legislatura
avevano di comune accordo approvato la cosiddetta pdl Aprea-Ghizzoni,
che avrebbe portato a compimento il processo di aziendalizzazione
della scuola pubblica), la responsabilità è in primo luogo di chi
può impedirlo e non lo impedisce. In questo senso desta molta
preoccupazione la leggerezza con cui le organizzazioni sindacali,
con la lodevole intenzione di tutelare i lavoratori della scuola
dalle invadenze autoritarie di taluni dirigenti scolastici,
intervengono indebitamente con la contrattazione e con le RSU sulle
materie demandate dal T.U. n.297/94 agli Organi Collegiali della
scuola; in tal modo non solo si contribuisce al processo di
delegittimazione degli Organi Collegiali, ma inconsapevolmente si
riconosce al D.S. competenze manageriali che lo stesso art. 25
subordina alle prerogative degli Organi Collegiali.
2.3 L'autonomia scolastica dimezzata e subordinata ai poteri di
indirizzo e di controllo del Ministro.
La tanto conclamata "autonomia scolastica", introdotta per delega
della L. n. 59 del 15/03/1997 (Presidente del Consiglio Prodi,
Ministro della Funzione Pubblica Bassanini, Ministro della Pubblica
Istruzione Berlinguer), senza dubbio amplia le competenze delle
istituzioni scolastiche, ma le colloca nella logica della nuova idea
di scuola, non più istituzione che svolge una funzione statale nel
prevalente interesse generale, ma azienda pubblica che, al pari di
una azienda privata, svolge un servizio pubblico, come è già
avvenuto per il settore sanitario.
Con il DPR sull'autonomia (DPR n. 275/99), difatti, oltre ai poteri
del Dirigente Scolastico si rafforzano i poteri del Ministro, che in
base all'art. 8 sono:
a. gli obiettivi generali del processo formativo;
b. gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze
degli alunni;
c. le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei
curricoli e il relativo monte ore annuale;
d. l'orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli
comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota
obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;
e. i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni
tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo;
f. gli standard relativi alla qualità del servizio;
g. gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il
riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi;
h. i criteri generali per l'organizzazione dei percorsi formativi
finalizzati all'educazione permanente degli adulti, anche a
distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione,
formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata
Stato-regioni-città ed autonomie locali.
L'aspetto emblematico di tale autonomia è il POF (Piano dell'Offerta
Formativa), che è "il documento fondamentale costituito
dall'identità culturale e progettuale delle istituzioni
scolastiche". La stessa definizione di "Piano dell'Offerta
Formativa" sta a sottolineare il carattere di proposta all'utenza da
parte di ciascuna scuola in un sistema di concorrenza tra scuole,
comprese ovviamente le scuole private paritarie: ciascuna scuola ha
una propria identità culturale, è organizzata tendenzialmente in
modo aziendalistico, gestita da un D.S. che, a differenza del
personale direttivo che faceva parte della scuola, fa parte
dell'Amministrazione Scolastica periferica e tutte, statali e
paritarie private, governate dal Ministro (che non a caso non è più
della Pubblica Istruzione) e dagli organi di controllo e
valutazione.
La scuola statale si configura sempre di più nella sua funzione
(servizio alla persona) e nella sua organizzazione simile alla
scuola privata, perdendo sempre di più la sua funzione istituzionale
di organo formativo (diceva Calamandrei "costituzionale") dello
Stato.
2.4 La riforma del Titolo V e il progetto di regionalizzazione della
scuola.
Nella logica di una scuola-azienda erogatrice di un servizio
pubblico, al pari del servizio sanitario, del trasporto pubblico
ecc., anche per la scuola statale con la riforma del Titolo V del
2001, voluta dal PDS (anche nel vano tentativo di guadagnarsi le
simpatie degli elettori della Lega), si delinea una forma di
regionalizzazione, peraltro molto ibrida e contraddittoria e di
difficile applicazione.
Il senso però è chiaro; essendo la scuola, statale o privata, un
servizio alla persona e dovendo corrispondere, in un regime di
concorrenza tra le scuole pubbliche e private, alle esigenze
specifiche dell'utenza, è più funzionale che ciascuna Regione
definisca un proprio modello scolastico sia sotto il profilo
organizzativo sia anche, per taluni aspetti, sotto il profilo dei
contenuti.
Questo tentativo di regionalizzazione si è di fatto arenato sia per
l'opposizione del mondo della scuola sia per l'incapacità delle
stesse Regioni, anche se alcune Regioni (Lombardia, Toscana, ecc.)
hanno tentato di introdurre modelli scolastici regionali, ma con
risultati scarsi.
3. La legge di parità: L. 10 marzo 2010 n.
62.
3.1 I principi costituzionali
In questo contesto politico-istituzionale e soprattutto culturale si
colloca la cosiddetta legge di parità, che avrebbe dovuto dare
attuazione all'art. 33 della Costituzione che sarà opportuno
riportare:
"Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di
educazione senza oneri per lo Stato".
"La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non
statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena
libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a
quello degli alunni di scuole statali".
La Costituzione, che è la legge fondamentale dello Stato e che
Ministri ed Amministratori delle istituzioni regionali e locali
giurano di osservare, afferma:
1) E' riconosciuto il diritto di istituire scuole non statali, ma
"senza oneri per lo Stato", cioè non solo sono precluse erogazioni
di contributi sotto qualsiasi forma, ma anche forme di agevolazioni
fiscali e di qualsiasi altra natura che possano comportare "oneri
per lo Stato", anche sotto il profilo del lucro cessante.
Né si può aggirare il principio "senza oneri per lo Stato"
ricorrendo al modello del sistema integrato che consentirebbe,
secondo alcune anime belle, una riduzione della spesa pubblica,
perché il principio "senza oneri per lo Stato" è netto e non
consente deroghe.
Come meglio si preciserà più avanti, il sistema integrato è
incompatibile con l'obbligo della Repubblica di istituire scuole di
ogni ordine e grado per tutti; inoltre l'integrazione presuppone una
omogeneità dell'attività di insegnamento che nel sistema integrato
non è realizzabile, perché l'insegnamento della scuola pubblica deve
essere pluralistico, mentre quello privato può legittimamente essere
di orientamento; la riduzione della spesa pubblica si tradurrebbe in
una forma di illegittima discriminazione per coloro che, per la
riduzione della spesa pubblica, sarebbero costretti a frequentare
una scuola di orientamento.
Né si può invocare il principio di sussidiarietà previsto in
generale nell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione; "senza
oneri per lo Stato" dell'art. 33 della Costituzione è una norma
speciale che, combinata con il principio dell'autosufficienza del
sistema scolastico statale, esclude qualsiasi forma di sussidiarietà
e quindi di contributo pubblico a titolo di sussidiarietà.
2) La parità non trasforma la scuola privata in scuola pubblica; la
scuola privata può rilasciare titoli di studio con valore legale, ma
è pur sempre una scuola privata.
3) La scuola privata paritaria eroga un servizio, sotto tutti i
profili, di natura privatistica e per finalità privatistiche;
difatti la Costituzione stabilisce che la legge di parità "deve
assicurare ed essi piena libertà".
Lo Stato non può quindi imporre alle scuole paritarie alcun modello
organizzativo né, tanto meno, un progetto educativo, né modalità di
assunzione del personale. La scuola privata paritaria, anche se
senza fini di lucro, è un'azienda privata che, per effetto della
parità, è tenuta soltanto a:
a) assumere di personale in possesso dell'abilitazione
all'insegnamento
b) osservare i curricula ministeriali
c) rilasciare, previo esame di Stato, titoli di studio equipollenti
a quelli rilasciati dalle scuole private.
Quindi la scuola privata paritaria non è tenuta ad organizzarsi in
modo democratico, non è tenuta a garantire la libertà di coscienza e
di insegnamento del personale docente, che anzi può essere
legittimamente obbligato ad osservare le finalità educative
dell'Istituto, può essere una scuola di orientamento confessionale,
culturale, di appartenenza.
La scuola privata paritaria ha quindi il diritto costituzionale di
impartire un'educazione di parte e di conseguenza non può garantire
lo stesso insegnamento della scuola pubblica, pertanto l'attività
della scuola privata paritaria non è fungibile con quella statale.
La Costituzione esclude un possibile sistema scolastico integrato
pubblico-privato.
3.2 L'"ammodernamento" della Costituzione
Per la dirigenza del PDS ed in particolare per il Ministro all'epoca
in carica la Costituzione doveva essere letta in modo evolutivo e
moderno e soprattutto dovevano essere superate le vecchie ideologie
stataliste e gli steccati pubblico-privato.
Con questa generosa opera di "ammodernamento" della Costituzione e
senza bisogno di ricorrere nemmeno alla procedura di revisione
costituzionale, destra e sinistra, contrapposte in campagna
elettorale ed unite nell'ammodernamento della Costituzione (la
Storia si ripete anche oggi) con la legge di parità stravolgono i
suesposti principi costituzionali. Si delinea un nuovo sistema
scolastico nazionale pubblico-privato.
La legge di parità difatti:
a) supera la distinzione tra sistema scolastico statale e non
statale che, ex art. 33, comma 2 della Costituzione, dovrebbe essere
autosufficiente, e prevede un sistema nazionale di istruzione che "è
costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e
degli enti locali".
Non più quindi un sistema scolastico statale autosufficiente
rispetto alla domanda sociale ed, in aggiunta, scuole non statali
che "possono" essere istituite, ma un unico sistema come se scuole
statali e scuole paritarie fossero fungibili e concorressero alle
stesse finalità.
La scuola statale perde la sua funzione istituzionale e le scuole
paritarie private concorrono con la scuola statale alla formazione
dell'offerta formativa. Si delinea quindi un sistema scolastico
integrato che la Costituzione all'art. 33 aveva escluso.
b) "Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà (come
prevede la Costituzione) per quanto concerne l'orientamento
culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico tenuto conto del
progetto educativo, l'insegnamento è improntato ai principi di
libertà sanciti dalla Costituzione".
In sostanza anzitutto si garantisce alle scuole private paritarie di
essere scuole di tendenza e quindi non pluraliste, si riconosce ad
esse la piena libertà di organizzarsi nel modo che ritengono più
opportuno e di darsi un proprio progetto, nell'ambito di tali
preminenti prerogative devono anche osservare i principi di libertà
sanciti nella Costituzione; nel contrasto però tra la libertà
riconosciuta alla scuola privata ed un principio costituzionale,
come il diritto alla libertà di insegnamento, come ha giustamente
affermato la Corte Costituzionale (nel caso Cordero, licenziato
dall'Università Cattolica), prevale la libertà della Scuola.
Non a caso nella legge di parità non si afferma mai la libertà di
insegnamento.
c) Le scuole private paritarie svolgono un servizio pubblico e non,
come afferma la Ministra Carrozza, una funzione pubblica.
Peraltro è un servizio pubblico non aperto a tutti perché deve
essere accolto "chiunque, accettandone il progetto educativo,
richieda di iscriversi"; chi frequenta una scuola privata deve a
priori, all'atto dell'iscrizione, accettare un determinato progetto
educativo.
Precisa inoltre la legge di parità che "il progetto educativo indica
l'eventuale ispirazione di carattere culturale o religiosa".
d) In deroga al principio secondo cui l'attività docente deve essere
svolta da personale in possesso della prescritta abilitazione, la
legge di parità consente alle scuole private paritarie, "in misura
non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, di
avvalersi di personale non abilitato".
e) In coerenza con il ruolo assegnato alle scuole paritarie ed in
palese deroga al principio "senza oneri per lo Stato", la legge di
parità prevede un contributo finanziario per le scuole paritarie
primarie ed un ulteriore finanziamento per "spese di partecipazione
alla realizzazione del sistema prescolastico (scuola per l'infanzia)
integrato".
4. Il solco tracciato dalla legge di
parità: le scuole private concorrono a formare il sistema pubblico
dell'istruzione.
Dal 2000 si sono alternate al Governo tutte le forze politiche del
Paese, la legge di parità non solo non è stata mai messa in
discussione, ma è stata sviluppata sia perché ha offerto una
autorevole copertura istituzionale a tutte le varie amministrazioni
locali e regionali per erogare contributi sotto varie forme alle
scuole private, sia perché ha avuto una sua evoluzione nella
direzione della omologazione tra pubblico e privato; difatti, con il
secondo Governo Prodi e Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni,
nella legge finanziaria per il 2007 si incrementa il contributo alle
Scuole paritarie in considerazione della "funzione pubblica" che
esse svolgono.
Nella sua esposizione programmatica alle Commissioni parlamentari la
Ministra in carica Carrozza nel richiamare la legge di parità
afferma:
"Infatti, come stabilito dalla legge 62 del 2000 il sistema pubblico
di istruzione è composto dalle scuole statali e dalle scuole
paritari... Occorre salvaguardare il carattere plurale del nostro
sistema di istruzione attraverso misure volte a tutelare la qualità
e l'inclusività anche delle scuole pubbliche paritarie".
Ogni commento è superfluo; si deve soltanto passare dalla
lamentevole denuncia delle politiche del PD all'iniziativa politica
sia a livello sociale sia anche a livello istituzionale.
Considerazioni e proposte.
Considerazioni
Berlusconi ed i suoi Ministri hanno devastato la scuola pubblica; ma
è stata una politica coerente perché la distruzione della scuola
pubblica (e di tutto ciò che è pubblico) e dei diritti
costituzionali è nel DNA della destra ed in particolare di
personaggi come Berlusconi.
Si deve solo aggiungere che la politica dei tagli alla spesa per la
scuola pubblica, da tutti criticata, è stata dichiarata illegittima
dal Consiglio di Stato in seguito ad un ricorso proposto da alcuni
Comitati di genitori ed insegnanti con l'adesione di alcuni Enti
Locali, ma non è stata adeguatamente contrastata dalle forze del
centro-sinistra; difatti, ripetutamente sollecitate ad impegnarsi
soprattutto nelle Regioni per dare esecuzione alla sentenza del
Consiglio di Stato, le Regioni finora hanno fatto tutte acquiescenza
all'operato illegittimo di Berlusconi Tremonti e Gelmini.
Regioni di Centro-sinistra e forze politiche che le governano sono
tutte corresponsabili dei tagli alla scuola pubblica di oltre 8
miliardi.
Ma il PD (e le sigle precedenti) è stato e continua ad essere anche
il promotore ed il diffusore della cultura della scuola
pubblica-azienda, della integrazione tra scuola pubblica e scuola
privata ed infine dei finanziamenti pubblici (sottratti alla scuola
pubblica) per le scuole private e cioè in sintesi della palese
violazione della Costituzione.
Le proposte
1. Necessità di una risposta politica concreta e coerente.
Se la scuola pubblica è, come è, una priorità assoluta per lo
sviluppo sociale e democratico del Paese, la politica scolastica
deve essere una discriminante politica ed elettorale; quindi la
prima proposta, a mio avviso, deve essere quella di non votare e non
fare votare le forze politiche che stravolgono la scuola della
Costituzione e quindi il PD (attualmente impegnato anche a
stravolgere in senso autoritario l'assetto istituzionale dello
Stato).
Non si può per 364 giorni l'anno lamentarsi della politica
scolastica del PD e dopo, il giorno delle elezioni, accettare la
logica perversa del "voto utile" (ma utile a chi?) o addirittura
lanciare appelli per il "voto utile".
2. Se il sistema integrato pubblico-privato implica una
aziendalizzazione ed omologazione di scuola pubblica e scuola
privata, oltre che contestare tutte le forme di contributo alle
scuole private, bisogna anzitutto rilanciare il ruolo istituzionale
della scuola statale, cioè dello Stato e soprattutto evidenziare la
"diversità" della scuola statale, rilanciare e praticare la
democrazia scolastica.
Si tratta di dare ampia informazione sulle competenze attuali degli
Organi Collegiali, sul ruolo effettivo che, nel rispetto del
principio costituzionale della libertà di insegnamento, spetta al
D.S. e di rivendicare il governo democratico non solo delle singole
scuole, ma dell'intero sistema statale.
3. Occorre organizzare una risposta concreta, a livello nazionale,
per contestare, a tutti i livelli, qualsiasi forma di sistema
integrato e di contributo pubblico a favore della scuola privata.
In teoria si dovrebbe organizzare la contestazione anche sotto il
profilo legale: ma è un'iniziativa costosa e soprattutto di scarsa
efficacia politica, perché rischia di tradursi in una forma di
"delega" alla magistratura; quindi significa che sotto il profilo
politico si è perso.
D'altra parte iniziative locali, non essendo facilmente ripetibile
l'iniziativa di Bologna, hanno una scarsa visibilità e scarsa
incidenza; a mio avviso non c'è altra strada che la responsabilità
politica: una campagna nazionale per il non voto alle forze
politiche che violano la Costituzione, ma anche un impegno politico
a costruire un soggetto politico nuovo ed unitario che abbia la sua
centralità nell'attuazione della Costituzione e l'impegno diretto a
livello istituzionale di coloro che vivono i problemi reali del
Paese.