Registro elettronico: di Antonio D'Auria, il Becco 21.11.2013
Provate ad immaginare un istituto scolastico, abbastanza grande, di
quelli realizzati in periferia. Una scuola nel bel mezzo del nulla,
mancante di mezzi pubblici frequenti e di servizi vari e,
soprattutto, di una rete internet efficiente.
E' certamente sbagliato essere contro le innovazioni per partito
preso ma, sempre più sovente, i provvedimenti legislativi si sono
evoluti in pura e semplice propaganda, spot inapplicabili poiché
meritevoli di investimenti, mancanti ormai da molti anni. E' proprio
il caso del registro elettronico, la cui obbligatorietà è stata
introdotta da un decreto legge (il 95/2012) convertito in legge
135/2012, in piena era di governo del fare. Purtroppo gli interventi legislativi sulla scuola hanno queste caratteristiche da un po' di anni: propaganda, sigle, esternalizzazioni, sulla scia di una scuola la cui autonomia – promessa libertaria di aderenza ai problemi del territorio – si è trasformata, dopo anni di tagli, in semplice applicazione di logiche di quasi-mercato, di concorrenza e finta imprenditorialità. Ed è proprio la logica del vendere, sullo sfondo di problemi mai affrontati, che fa apparire un aspetto inquietante delle politiche pubbliche di questi anni: sempre più sovente, negli open days delle scuole, le lavagne multimediali LIM, dono avvelenato della gestione Gelmini (ve lo ricordate il ministro che illustrava il loro funzionamento nei talk show governativi?) asfaltano i tagli agli insegnanti e ai progetti educativi. E' su queste scuole gonfie di problemi, con un programma edilizio assolutamente insufficiente e, soprattutto, coi soldi per i servizi minimi ormai all'osso, si abbattono gli ultimi colpi di un progetto di riposizionamento classista del maggiore strumento di mobilità sociale: la promessa trasparenza e partecipazione della rete, così come il miraggio della dematerializzazione e digitalizzazione rischiano di diventare un pericoloso agente di divisione sociale e di indesiderato controllo a fronte di investimenti non congrui, come quelli preventivati nel DL 104/13 (ora legge 128), stimati in 15 milioni di euro per lo sviluppo di reti wireless negli istituti.
Tanti interventi avrebbero potuto allacciare il sistema scolastico
alla didattica multimediale e ad una formazione adeguata e critica
verso i nuovi mezzi di conoscenza, senza per questo abbracciare un
primato tecnocratico. L'adeguamento dei laboratori, l'adozione delle
open-sources, la formazione del personale docente nei confronti di
un'armonizzazione pedagogica e interculturale dei mezzi multimediali
avrebbero senz'altro generato un diverso disegno educativo al posto
dell'acquisto di tablet e costose interfacce da fornire agli
insegnanti in comodato d'uso allo scopo di sostituire la vecchia
brossura blu. C'è da chiedersi se la felicità, per un docente che vuole continuare la sua opera educativa, non sia avere un dirigente scolastico conservatore, fautore di una visione burocratica e un po' antica del diritto, per la quale non sussiste obbligo se non vi è universale accesso ai mezzi che consentono di ottemperare ad esso. O forse è da sperare che da viale Trastevere si trovi il coraggio di realizzare dei seri investimenti che riportino il dibattito sulla scuola intorno a problemi veri, piuttosto che intorpidirlo in secche di retroguardia che sembrano avere il gusto provocatorio dell'additare alla pubblica opinione la classe docente come baluardo di conservazione di antichi privilegi in tempo di crisi. Le cose stanno diversamente, fra contratti bloccati, scatti di anzianità cancellati e ferie rubate. Ma di questo, nel coro della stampa delle larghe intese non c'è traccia. Ci mancherebbe! |