Il decreto apprendista istruzione Marco Barone, xcolpevolex 5.11.2013 L'articolo 8 bis del decreto istruzione introduce un qualcosa che si allinea con quel progetto che vuole trasformata la scuola italiana in un luogo ove si producono lavoratori per incrementare la produttività del Paese. Si prevedono finanziamenti e progetti per far conoscere il valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate di formazione in azienda, agli studenti della scuola secondaria superiore, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali, organizzati dai poli tecnico-professionali, per sostenere la diffusione dell'apprendistato di alta formazione nei percorsi degli istituti tecnici superiori (ITS), anche attraverso misure di incentivazione finanziaria previste dalla programmazione regionale nell'ambito degli ordinari stanziamenti destinati agli ITS nel bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e di quelli destinati al sostegno all'apprendistato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ma il peggio del peggio è dato da quella disposizione, il comma secondo dell'articolo 8 bis che vuole che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro dell’economia e delle finanze,sia possibile avviare un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014- 2016. Il programma contempla la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Il decreto definisce la tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi. Sarà contenta la Confindustria quando scrive sul suo sito che le aziende non hanno bisogno di forme di addestramento standardizzato. Chiedono che i giovani siano dotati di competenze linguistiche, logico matematiche, storico sociali e al tempo stesso che siano aiutati a scoprire la propria vocazione e a rafforzare la propria personalità, anche attraverso forme di apprendimento attivo e di conoscenza diretta del mondo del lavoro. Saranno contenti quelli della fondazione Agnelli quando scrivono che una popolazione più istruita assicura al paese una produttività e una capacità di innovazione più elevate, dalle quali può derivare un posizionamento migliore nella concorrenza globale, e saranno contenti tutti quelli che considerano dieci materie alla media inferiore come un bene di lusso, e che si devono incentrare le conoscenze o meglio le competenze su certe e date materie quali italiano, inglese, matematica e scienze considerate beni di prima necessità per il sistema produttivo capitalistico italiano e globale. E ciò anticipa, in modo peggiorativo, quello che era stato previsto nel noto documento dei dieci saggi quando al punto 3.1 si affermava la necessità di realizzare l’alternanza scuola-lavoro, anche per gli universitari introducendo un apprendistato universitario sul modello tedesco o austriaco, due paesi in cui la disoccupazione giovanile è molto contenuta. Un decreto ministeriale dovrebbe autorizzare gli atenei a stringere degli accordi con le associazioni di categoria e i sindacati presenti sul territorio o direttamente con le imprese ivi presenti per istituire un corso di laurea triennale sotto forma di apprendistato. Lo studente lavoratore potrebbe acquisire metà dei crediti del corso in azienda e metà dei crediti in università: sarebbe formalmente impiegato presso l’impresa con un contratto di apprendistato della durata di tre anni, ma l’azienda non avrebbe alcun obbligo ad assumere il giovane alla fine del triennio. D'altronde quando in Italia si è introdotto l'apprendistato già a 15 anni e non mi pare di aver notato sollevazioni di massa. Andando a leggere Isfol, Modelli di apprendistato in Europa: Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, I Libri del FSE, 2012 da pag 240 emerge che in Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito l' apprendistato è sinonimo di percorso in alternanza; “in esso convivono una formazione erogata all’esterno dell’impresa, generalmente presso istituzioni scolastiche e/o centri di formazione, e una formazione erogata nel contesto di lavoro, che si compone di “momenti” di formazione formale, progettati e organizzati in vista del conseguimento di uno specifico obiettivo formativo, e di “momenti” di apprendimento non formale e informale ascrivibili ad una attività produttiva qualificabile come “lavoro”. Od ancora che “due dei sistemi osservati presentano evidentemente una configurazione di posizionamento integrato: si tratta, nello specifico, dei sistemi francese e germanico. In entrambi i casi, il sistema di apprendistato è una parte costitutiva e sostanziale del più generale sistema di istruzione e formazione professionale, che si colloca generalmente al livello secondario ma non solo; ovvero, al completamento del periodo di istruzione obbligatoria, l’apprendistato è una delle opzioni possibili, ed effettivamente agite da quote anche importanti di giovani, tra i percorsi del ciclo secondario (Germania). Nel caso francese l’integrazione dell’apprendistato nel sistema educativo è talmente forte da generare una vera e propria “via professionale” per l’acquisizione dei titoli di studio”. Insomma ecco il modo in cui l'Italia si allinea all'Europa, meno istruzione più apprendistato, meno conoscenza teorica ed umanistica più competenza pratica per quella produttività voluta ed imposta dal capitalismo.
La scuola è in fase di trasformazione, vive
una vera rivoluzione, ma quale reazione reale per difendere la
scuola pubblica e contrastare la scuola impresa? |