La valutazione e le “prestazioni” della scuola di Franco De Anna ScuolaOggi 2.3.2013 Condivido gran parte delle osservazioni di Antonio Valentino. Vorrei solamente scongiurare un latente cortocircuito tra “valutazione degli apprendimenti” e il ruolo che sulla estensione e sviluppo di una adeguata “cultura della valutazione” possono e devono svolgere le “rilevazioni nazionali sui livelli di apprendimento” (e i virgolettati tengono luogo di molte analisi svolte qui e altrove), e “valutazione delle scuole”. La prospettiva dello sviluppo di un Sistema di Valutazione Nazionale, comprende infatti entrambi gli aspetti (e in sottofondo quello più “politicamente” inquietante della “valutazione del personale”; ma si comincia dai Dirigenti Scolastici); ma si tratta di “oggetti” diversi ed è un pericoloso corticircuito concettuale e tecnico scientifico ridurli ad un unico processo valutativo (gli apprendimenti) e ad esso ricondurre tutti gli altri. L’apprendimento-insegnamento è certo il “cuore” dell’attività scolastica. Ma le “funzioni “ socialmente assegnate al sistema di istruzione sono assai vaste e circondano tale “cuore” con il valore fondamentale nell’assegnare “significazione “ sociale al sistema di istruzione, e dunque alla attività concreta e complessa delle scuole. Non voglio né posso ampliare una analisi che ha capisaldi fondamentali: per esempio la funzione dell’istruzione nella promozione dell’eguaglianza sociale, nelle prevenzione dell’emarginazione, nella riproduzione di valori e comportamenti, nella rielaborazione e nella dinamica della produzione culturale, ecc..ecc… Dunque le “prestazioni” che le scuole devono mettere in campo coprono un arco assai vasto di attività. Con tale pluralità di compiti e di significati deve misurarsi la valutazione delle scuole come “valutazione delle organizzazioni”. Aggiungo ancora che solamente su tale base si potrà impostare un sensato protocollo ( e definire strumenti) di “valutazione del personale”. Posto che non si tratta di “valutare le persone” ma di “valutare le persone in una organizzazione”. Torna qui prepotentemente una questione che da circa un decennio è irrisolta e, a parte richiami più o meno sensati e operativi, giace come quella che altrove ho chiamato una “transizione incompiuta”, riferendomi alla applicazione concreta della Costituzione, Titolo V, al sistema di istruzione. Si tratta della definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) per il servizio di istruzione. Attorno a tale questione si annodano elementi che oggi vengono alla ribalta e che forse, aiuteranno a dare impulso a passare dalle parole (le invocazioni) ai fatti (la definizione di un sensato repertorio di LEP). Tre elementi fondamentali.
1. La definizione dei LEP è il compito fondamentale e esclusivo
dello Stato nel sistema di competenze concorrenti tra Stato, Regioni
e Autonomie Locali, e Autonomia scolastica (tutti riconoscimenti
espliciti di valore costituzionale). Essi corrispondono a ciò che lo
Stato si impegna ad erogare come servizio a tutti i cittadini, su
tutto il territorio nazionale, in risposta e soddisfacimento di un
fondamentale diritto di cittadinanza, e dunque con valore “uguale”
per tutti.
2. La questione LEP emerge oggi prepotentemente nel suo versante
“economico”.
3. La questione LEP non può che rappresentare anche il riferimento
fondamentale (appunto il “livello zero”, essenziale) della
valutazione delle organizzazioni scolastiche. Se tale “oggetto” (i LEP per l’istruzione) acquisita contorni determinati, contenuti via via più completi mano a mano che avanza la ricerca necessaria a definirlo, allora il pericolo del cortocircuito tra valutazione dei livelli di apprendimento e valutazione delle scuole o addirittura valutazione del personale, può essere efficacemente evitato. Lo ricordo anche perché sono convinto che si tratti di un “cortocircuito concettuale”, ma anche politico (opera in certe semplificazioni nella definizione delle politiche pubbliche), ma anche culturale (alimenta per esempio le semplificazioni che rielaborano etichette come merito, eccellenze, uguaglianza) che inquina gran parte del dibattito sulla valutazione (e ne accenna anche Valentino) favorendo schieramenti oppositivi, tra entusiasti e negatori pregiudiziali, che compromettono ogni futuro e assennato sviluppo della cultura della valutazione.
Ma la definizione di un sensato repertorio di Prestazioni Essenziali
che le scuole, nella progettazione della loro attività e nella
operatività concreta, devono tenere come “bussola” fondamentale, è
una “impresa tecnico scientifica” e non solo politico legislativa
(come ricordato). E’ dunque una “impresa tecnico scientifica” che coinvolge, sia pure con ruoli diversi i protagonisti stessi: dagli Istituti della Ricerca Educativa (INVALSI e INDIRE) che dovrebbero operare come “tecnostrutture” al servizio del sistema di governance e non come “enti funzionali” del Ministero, alle scuole stesse che sono il soggetto che consente la “ricerca sul campo” e che la alimenta. (Il lettore che voglia approfondire, guardi come esempio il Sistema Sanitario e il ruolo che nella sua governance ricoprono gli istituti come l’agenzia nazionale per i sistemi sanitari regionali, l’agenzia nazionale del farmaco, l’Istituto Superiore di Sanità, ed il collegamento con quanto avviene sul campo nelle Aziende sanitarie e negli ospedali: si parte dalle cartelle cliniche). Poiché si tratta (anche) di un “oggetto” di ricerca, l’importante è darvi concreto avvio e sperimentare. Non si può attendere che “tutto sia perfetto” prima di cominciare (Nella ricerca non è mai così). Allego una ipotesi di “matrice dei LEP” per la scuola, che tenta di dare corpo alle affermazioni precedenti. Si tratta di una ipotesi (dunque largamente falsificabile). La ricerca a cui accenno, a partire da quella “sul campo” che abbia come oggetto l’attività concreta delle scuole, dovrebbe avere come obiettivo quello di riempire con appropriatezza ogni cella della matrice. Un compito complesso, ma non c’è fretta. Come dico sempre non è mai solamente questione di velocità, ma di direzione e senso di marcia. Si può andare verso il baratro anche a piccoli passi.
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