Ecco cosa recita l’Atto di indirizzo:
Adeguare la durata dei percorsi di istruzione agli standard europei. Occorre superare la maggiore durata del corso di studi in Italia procedendo alla relativa riduzione di un anno in connessione anche alla destinazione delle maggiori risorse disponibili per il miglioramento della qualità e quantità dell’offerta formativa, ampliando anche i servizi di istruzione e formazione.
Con la stessa vaghezza e inattendibilità l’Atto di indirizzo affronta il drammatico problema della dispersione.
L’ADi, da sempre favorevole alla riduzione a 4 anni del percorso dell’istruzione secondaria di 2° grado, ritiene che occorra procedere per gradi, definendo innanzitutto il settore prioritario su cui intervenire. Per l’ADi la priorità va assegnata alla filiera dell’istruzione e formazione tecnica e professionale, perché lì si annida la maggiore dispersione, lì si rifugia la popolazione scolastica più debole e lì la riforma ha drammaticamente depotenziato quella cultura pratico-applicativa, esperienziale, a cui invece va data la stessa dignità di quella astratta, simbolico-ricostruttiva.
Le
proposte dell’ADi inseriscono la riduzione
del diploma a 4 anni entro un
potenziamento dell’orario delle attività
laboratoriali e dell’alternanza
scuola-lavoro e in una ristrutturazione
dei percorsi tecnici e professionali, in
particolare:
1) Abolizione degli istituti professionali statali quinquennali.
Occorre prendere atto della fallimentare ristatalizzazione degli Istituti professionali, privati di identità e omologati agli istituti tecnici, e agire come le province autonome di Bolzano e Trento.
Ciò significa decretare l’abolizione dell’istruzione professionale statale quinquennale e la riconversione degli Istituti professionali statali in parte in Istituti tecnici, in parte in Istituti di formazione professionale regionale.
In tal caso gli Istituti professionali saranno chiamati ad impartire solo qualifiche triennali e diplomi quadriennali, assumendo nell’immediato il solo modello B, e avendo cura di potenziare l’alternanza scuola-lavoro e le ore di cultura pratico-applicativa.
2) Creazione di Istituti tecnici di 4 anni a “statuto speciale”
La premessa per qualsiasi seria ed efficace innovazione è l’attribuzioni agli istituti tecnici della massima autonomia. A questo fine l’ADi propone di trasformare un certo numero di Istituti tecnici in Istituti a Statuto Speciale, che possano innovare gli organi di governo con l’inserimento di rappresentanti del mondo del lavoro, ristrutturare i curricoli, reclutare direttamente parte degli insegnanti, ecc.. E’ un modello sperimentato dal primo Blair, quando trasformò in academies istituti tecnici degradati e collocati in zone deprivate. Per questi istituti quadriennali deve essere previsto un aumento di orario, tutto dedicato alle attività laboratoriali e di alternanza scuola-lavoro.
Una
curiosità. Se si tornasse all’antico
orario di 40 ore settimanali degli Istituti
professionali (quando le attività di indirizzo e
quelle pratico-applicative erano di gran lunga
superiori a quelle di cultura generale) l’orario
complessivo di 4 anni sarebbe esattamente
identico a quello attuale di 32 ore settimanali
su 5 anni. In questi istituti va inoltre
sperimentata una diversa
organizzazione del
lavoro dei docenti,
con un nucleo portante che abbia un
orario
onnicomprensivo di 30 ore settimanali e adeguata
retribuzione.
Un’organizzazione che rompa il tradizionale
modello delle classi e delle cattedre.
3) ITS triennali
Gli Istituti Tecnici Superiori devono diventare competitivi con le Università, accentuando la vocazione di istituti di scienze applicate collegati al mondo del lavoro. Devono dare un titolo equivalente alle lauree brevi, quindi diventare triennali come è avvenuto in Svizzera e in Germania. E devono essere riservati ai migliori diplomati degli Istituti Tecnici, della formazione professionale e dell’apprendistato. Percorsi quadriennali di livello secondario su cui si innestano percorsi triennali di alta specializzazione di livello terziario. Questo è un modo significativo per valorizzare i percorsi tecnici e professionali a livello secondario, renderli appetibili e privilegiare chi è stato sempre marginalizzato