Scuola, governo che (forse) nasce,
studente che muore

Il dramma sociale di chi non potrà più essere studente

di Federico Del Giudice Il Fatto Quotidiano, 1.3.2013

Nel 2014 i fondi per il Diritto allo Studio universitario saranno 12 milioni, contro i 103 del 2013 e i 246 milioni di quattro anni fa. E’ un autentico dramma sociale.

In questi giorni gli studenti delle scuole dovranno pagare i “contributi volontari”, che non sono altro che un’altra tassa, che continuano a lievitare. Un’altra tessera del dramma quotidiano di milioni di studenti.

Nel balletto sul futuro Governo, nessuno ne parla. Qualora non vi fosse un governo o un atto parlamentare che finanzi entro giugno il Diritto allo Studio per il 2014 moltissimi studenti e moltissime studentesse torneranno a casa, impossibilitati a proseguire gli studi (e nessuno mi venga a dire: “si trovino un lavoro” in una fase di crisi economica in cui i licenziamenti sono all’ordine del giorno e poi un diritto è un diritto, non lo si discute, lo si deve solo garantire).

Qualora non vi fosse un governo che rifinanzi le scuole, le tasse cresceranno, e il tasso di abbandono scolastico sfonderà il 20% attuale, lasciando per strada migliaia di studenti e nelle periferie la percentuale raggiungerà senza problemi il 50%.


La sagra delle ovvietà

In un interessante articolo uscito qualche mese fa si ripercorrevano i passaggi che hanno portato alla privatizzazione dell’istruzione negli Stati Uniti:

Primo, tagliare i fondi alla pubblica istruzione superiore.

Secondo, deprofessionalizzare e impoverire la classe docente (e continuare a creare un surplus di dottori di ricerca sotto-occupati e disoccupati)

Terzo, introdurre una classe di manager/amministrativi che assume la governance dell’università

Quarto: fare entrare la cultura aziendale e i soldi aziendali

Quinto, ridurre drasticamente il numero degli studenti

I movimenti studenteschi che hanno solcato le strade e le piazze in questi anni lo hanno ripetuto più volte: in Italia l’istruzione è stata privatizzata de facto con gli stessi passaggi sopraelencati.

Chi oggi, da Grillo a Bersani, parla di “difesa della scuola pubblica” partecipa ad una “sagra delle ovvietà” perché non ha capito che (1) non si può parlare solo di scuola ma di istruzione nel suo complesso e nel suo sviluppo e (2) non si può difendere qualcosa che è diventata indifendibile perché messa in mano ai privati o logiche privatistiche.

L’istruzione va ripensata da capo a piedi e, riprendendo un termine utilizzato per il Referendum sull’acqua, va ripubblicizzata, cioè resa nuovamente accessibile a tutti, democratica, laica e di qualità.
 

Cosa dovrebbero fare le forze politiche e i parlamentari

Ecco alcune delle proposte uscite negli ultimi anni di mobilitazione:

Primo. Rifinanziare l’istruzione, l’edilizia, e il diritto allo studio

Secondo. Sbloccare il turn over nell’università e assumere i precari storici nella scuola per migliorare la qualità dell’istruzione e cancellare le “classi pollaio dalla faccia della terra

Terzo. Sviluppare un vero sistema di gestione democratica delle scuole e università, in cui le componenti cooperino per lo sviluppo della qualità dell’istruzione

Quarto. Finanziare la ricerca di base e quella applicata perché nelle università si immagini un nuovo modello di sviluppo per rilanciare l’economia

Quinto. Alzare l’obbligo scolastico progressivamente a 18 anni e finanziando il “reddito di formazione” che garantisca a tutti l’accesso all’istruzione iniziando a scrivere una Legge Quadro Nazionale sul Diritto allo Studio

Sesto. Vanno ripensati i cicli scolastici e il sistema del 3+2 all’università aprendo un dibattito vero nel paese perché l’istruzione venga rilanciata e sia davvero utile all’individuo e alla società

Chi pensa oggi che introducendo i tablet a scuola o togliendo il valore legale del titolo di studio si risolvano i problemi dell’istruzione non ha capito niente: (1) non è stato nelle piazze con noi studenti, (2) non ci ha ascoltati e (3), sul valore legale, non ha visto che gli studenti e le studentesse si sono già espressi in una consultazione via web in maniera contraria.

Se non si affrontano da subito queste emergenze sociali ricordatevi di mandarci per le prossime elezioni le schede elettorali in un altro Paese, ci avrete fatto emigrare.