OCSE e scuola digitale italiana/1.
Scarse le risorse a disposizione delle scuole

da TuttoscuolaNews, n. 577 11.3.2013

Secondo l’Ocse se l'Italia non accelera negli investimenti nelle tecnologie digitali a scuola, ci vorranno, di questo passo, altri 15 anni per raggiungere, ad esempio, la Gran Bretagna dove l'80% delle classi può contare su strumenti didattici informatici e digitali.

Nel rapporto presentato la scorsa settimana al Ministero dell’istruzione, che sembra aver tenuto conto anche degli esiti di un monitoraggio esterno sulle classi 2.0, l’Ocse striglia l’Italia: lentezza nella diffusione, bugdet limitato e poche risorse didattiche digitali. Le osservazioni non sorprendono gli addetti ai lavori e gli studiosi dell’argomento. Pensare oggi che tale processo possa avvenire poggiando unicamente sulle risorse statali è un’utopia; destinare cifre più alte agli Istituti per completare in tempi ragionevoli la transizione verso la scuola 2.0 significherebbe scardinare tutto l’assetto del sistema scolastico italiano e l’intero bilancio del Ministero dell’istruzione, che è investito in misura preponderante in spese di personale.

La transizione verso la scuola digitale, però, non è una questione solo di dotazioni, ma soprattutto di cultura. Molti dirigenti e docenti, attenti a cosa si muove fuori della scuola, lo hanno capito da tempo e autonomamente si sono mossi - come raccontato negli speciali sulla scuola digitale di Tuttoscuola - guidati da una visione che ha saputo coinvolgere tutti i portatori di interesse, senza attendere che la spinta giungesse dall’alto. Molte realtà scolastiche hanno compiuto scelte virtuose proprio basandosi su quel “patto sociale” con le famiglie di cui ha parlato su “La Stampa” (7 Marzo 2013) il ministro Profumo, riconoscendo con grande trasparenza che “non è più possibile pensare che la scuola possa fornire tutto”, salvo poi richiamare il giorno dopo ad una maggiore severità di comportamento i dirigenti scolastici nella richiesta dei contributi scolastici.

L’OCSE non può non riconoscere ad esempio - come ha fatto - la debolezza dell’azione Classi 2.0, in cui è l’istituzione a fornire la dotazione tecnologica personale agli studenti, secondo un modello che non sarebbe in alcun modo replicabile, per carenza di risorse, in tutti gli Istituti del Paese. A nostro avviso il patto sociale con le famiglie dovrebbe fondarsi proprio sulla loro sensibilizzazione circa l’importanza che gli studenti siano dotati di un device personale come elemento irrinunciabile del corredo scolastico. Il fatto che siano le famiglie ad acquistarlo garantisce in primo luogo una forte responsabilizzazione da parte degli studenti per quanto riguarda la cura e lo conservazione dello strumento stesso, in secondo luogo è parte di uno stile educativo che abitua a considerare il device come uno strumento legato allo studio e al lavoro, piuttosto che soltanto al gioco e alla comunicazione interpersonale.