L’ULTIMO DELLA CLASSE - Intervista a Daniel Pennac che martedì riceverà la laurea Honoris causa in pedagogia all’Università di Bologna "Cari prof, dovete insegnare l´ignoranza"
"La lettura è innanzitutto qualcosa per se
stessi, un rapporto intimo tra scrittori di Fabio Gambaro la Repubblica, 23.3.2013 PARIGI L’ultimo della classe sale in cattedra: Proprio lui, Daniel Pennac, che in più di un’occasione – in particolare dalle pagine di Diario di scuola - ha ricordato i suoi clamorosi insuccessi scolastici. All’autore di Come un romanzo e dei famosi «dieci diritti imprescrittibili del lettore» sta infatti per essere conferita dall’università di Bologna una laurea ad honorem in pedagogia.
Martedì 26 marzo, in occasione della cerimonia, il romanziere
francese autore della saga della famiglia Malaussène terrà una
lectio intitolata "Una lezione d´ignoranza", in cui farà
l´elogio di tutti coloro che sono capaci di trasmettere la passione
dei libri e della lettura. Il tutto mentre esce in Italia il suo
ultimo libro, Ernest e Celestine (Feltrinelli, pagg. 192,
euro 13), una deliziosa favola sull´amicizia pensata per i più
giovani, ma che non mancherà di conquistare anche i lettori più
grandi. «Ho scritto questa storia affinché il bambino che è presente
in ciascuno di noi la possa leggere ai propri figli», spiega Pennac,
che per altro considera «sproporzionato» il riconoscimento
dell´università bolognese: «Mi sento un po´ imbarazzato, tanto che
riemerge in me un vecchio e tenace sentimento d´illegittimità. La
solita vergogna di non meritarselo. Non so se sia veramente così, ma
in questo gesto dei professori bolognesi a me piace vedere un segno
dell´affetto con cui l´Italia ha sempre accolto il mio lavoro. Per
gratitudine nei confronti dei vostri lettori, ho quindi deciso di
tenere il mio discorso in italiano».
«Oggi abbiamo bisogno di persone che cerchino di comprendere le
paure di un adolescente, prima ancora d´insegnargli qualcosa. È
questa la funzione del pedagogo. Quando insegnavo, cercavo sempre di
capire i timori dei miei studenti, proprio perché nella mia infanzia
scolastica la paura - di sbagliare, di non farcela, di non essere
all´altezza - ha svolto un ruolo capitale. E per non far paura agli
allievi, dobbiamo evitare di presentarci come guardiani del tempio,
provando invece a trasmettere loro la felicità che proviamo quando
frequentiamo i libri. La lettura a voce alta è uno dei modi che
consente di trasmettere questo sentimento di felicità, come pure la
sensazione di liberazione che essa procura. Spesso gli studenti sono
convinti che scrittori come Joyce o Proust siano illeggibili. La
letteratura a voce alta può servire a dimostrare il contrario».
«Sono coloro che confiscano la cultura per se stessi, difendendo i
propri interessi e le proprie confraternite, e soprattutto
decretando l´indegnità di certi lettori solo perché leggono
determinate tipologie di libri. I guardiani del tempio sono quelli
che dai lettori esigono sempre un commento e un giudizio,
preferibilmente in sintonia con il loro. Secondo me, invece, la
letteratura non ha nulla a che fare con la comunicazione. Nessuno
deve essere costretto a comunicare agli altri la natura del piacere
procuratogli dalla lettura. La lettura è innanzitutto qualcosa per
se stessi. È un rapporto d´intimità tra uno scrittore e un lettore».
«Al demagogo da un lato e al mercante dall´altro. Purtroppo nella
scuola non mancano i professori demagoghi, quelli che fanno finta di
essere degli adolescenti per conquistarsi la simpatia degli allievi.
È un atteggiamento che infantilizza sia i professori che gli
studenti. In realtà, i giovani hanno bisogno di confrontarsi con
degli adulti veri, la cui presenza li aiuti a costruirsi. Gli adulti
devono indicare i limiti, spingere allo sforzo intellettuale ed
esigere una certe solitudine riflessiva. Tutto ciò per insegnare ai
ragazzi a riflettere da soli. Il pedagogo è colui che riesce a far
sentire agli allievi che l´esercizio dell´intelligenza critica può
essere una fonte di piacere. I demagoghi invece propongono sempre le
soluzioni più facili e soprattutto fanno sempre appello a
un´identità collettiva, una sola per tutti, dove si annulla ogni
singolarità. A scuola, ma anche al di fuori, nella corsa al
consumismo, nella moda, nella politica e perfino nella pratica
artistica. Il demagogo è il pifferaio magico che seduce e ci conduce
al disastro».
«Perché l´autorevolezza che nasce dall´esempio della singolarità si
fa sempre più rara. È sempre più raro trovarsi di fronte a un adulto
capace di pensare con la propria testa e di avere un comportamento
indipendente, un adulto che dia l´impressione d´essere veramente se
stesso e non il prodotto di mode e pensieri dominanti».
«Sì, ma la perdita globale di spirito critico è figlia del
bombardamento pubblicitario televisivo cui sono sottoposti sempre di
più i bambini e i giovani. La pubblicità stuzzica in permanenza il
loro desiderio di possedere (che in loro viene immediatamente
confuso con un desiderio d´essere), trasformandoli tutti in clienti.
Il pedagogo deve provare a decostruire questa situazione, tentando
di trasmettere il piacere di comprendere, in modo che un allievo
possa anche decidere di riflettere invece di passare il suo tempo a
consumare. Il che è già una manifestazione di spirito critico».
«Non è il suo ruolo. Naturalmente dietro lo scrittore c´è un
individuo reale che ha delle convinzioni e dei princìpi, ma non è
assolutamente detto che ciò debba essere riconoscibile nelle sue
opere. Più che pensare a insegnare qualcosa, lo scrittore deve
sperare di diventare una compagnia per chi lo legge, nella
convinzione che la lettura debba restare sempre un piacere per gli
adulti come per i bambini. È pensando proprio a questa relazione
esclusiva che lo scrittore affronta ogni volta la condizione
meravigliosa e stupita della solitudine di fronte all´oceano della
lingua». «In generale scrivo per gli adulti, ma ogni tanto ho il bisogno di rivolgermi anche ai più piccoli. In fondo, nella letteratura per l´infanzia e in quella per gli adulti i temi sono quasi sempre gli stessi, come dimostrano le fiabe. Cambia però la scrittura, che è più semplice, ma anche più rigorosa, dato che è sempre alla ricerca della parola giusta e precisa. La semplificazione infatti non deve mai risolversi in perdita di senso. Ho scritto Ernest e Celestine con immenso piacere per evocare il valore rivoluzionario dell´amicizia tra due personaggi molto diversi tra loro, un orso e una topolina, i quali non vogliono diventare quello che gli altri si aspettano da loro. Nel libro ho poi introdotto una sorta di discussione continua tra i personaggi, lo scrittore e il lettore per far emergere in filigrana e in maniera ironica le modalità di costruzione dell´universo narrativo. In fondo, questo libro è anche un modo per iniziare i lettori - piccoli o grandi che siano - ai problemi della creazione. Ma naturalmente senza alcuna pretesa pedagogica». |