Scuola pubblica: di Marina Boscaino Il Fatto Quotidiano, 23.3.2013 Non si arrende il ministro più inconcludente e inerte degli ultimi anni. Con una zampata di vitalismo interventista, uno dopo l’altro, sta tirando fuori a ultra-fine legislatura una serie di conigli dal cilindro che lasciano a bocca aperta: per mancanza di tempestività, considerato lo scorcio, che dovrebbe essere dedicato all’ordinaria amministrazione; per mancanza di opportunità, considerando il grave momento politico che stiamo vivendo. È evidente che Francesco Profumo abbia deciso di lasciare un’impronta del tutto personale, autoritaria, antidemocratica, irresponsabile attraverso il canto del cigno di un governo che, vada come vada, non rimpiangeremo: dpr sulla valutazione, provvedimento sui docenti inidonei che saranno d’ufficio trasformati in Ata. Tutto nell’ultima settimana. È di ieri l’annuncio ai sindacati dell’avvio di una sperimentazione in alcuni istituti, volta a verificare l’ipotesi (caldeggiata trasversalmente da Governo, parte del Pd e Pdl) di concludere il ciclo delle superiori a 18 invece che a 19 anni. “Ce lo chiede l’Europa”, naturalmente. Solo una parte dei paesi europei prevede – sia detto tra parentesi – l’uscita a 18 anni. Sono di fatto inesistenti le esigenze di adeguamento del percorso italiano a un presunto modello europeo, che non esiste. Già da tempo un’ipotesi del genere, solo perché ventilata, ha suscitato molte reazioni negative. Ciò nonostante, preso da sacro fuoco, il nostro tra pochissimo (si spera) ex ministro va. L’impressione è che, in linea con le politiche scolastiche degli ultimi anni, si tratti di un’operazione meramente ragionieristica, che consente un indubbio risparmio a scapito di qualsiasi valutazione di opportunità pedagogica e didattica. Il “bottino” non sarebbe indifferente: la cancellazione di ulteriori 50mila posti di lavoro e un risparmio di circa 1mld e mezzo. Ma (non diciamolo troppo forte, potrebbero prenderci in parola), paradossalmente anche la soppressione integrale della scuola statale produrrebbe immediatamente un indubitabile risparmio, come si affannano a volerci dimostrare le associazioni di scuole paritarie. Il primato dell’economia non può e non deve continuare a cancellare diritti. Tale impressione è confermata dalle ipotesi in campo, spiegate dal garbato ma per niente democratico Profumo alle rappresentanze sindacali: anticipo di un anno del percorso di studio al 5° anno di età del bambino; riduzione di un anno tra il 4° e 5° anno della scuola elementare o riduzione tra il 1° e il 2° anno della scuola secondaria di 1° grado; riduzione di un anno della scuola secondaria di II grado. Sconsolante: un gioco delle 3 carte, completamente svincolato da qualsiasi valutazione e considerazione scientifica. Tagliare pur di tagliare. Già Letizia Moratti, una decina di anni fa, scambiò una prima ipotesi di accorciamento di un anno di superiori (bocciata drasticamente dagli allora alleati di An) con l’anticipo di un anno alla scuola primaria: una mini-sperimentazione di cui, all’italiana, non abbiamo mai avuto alcun tipo di rendicontazione. Senza aggiungere che quasi tutti i paesi europei che hanno tentato la strada dell’anticipo alla primaria sono tornati sui propri passi. È curiosa la tentazione di andare a valutare il taglio di un anno a conclusione del ciclo della primaria. Prima della bufera (a partire dalla riforma Moratti e poi dalla catastrofica prosecuzione della Gelmini) quello era l’ordinamento scolastico che godeva di una fama incontrastata; i cui modelli didattico-pedagogici e organizzativi (modulo, tempo pieno, team di insegnanti, progettazione, inclusione, tempi distesi, osservazione, laborialità) hanno costituito una vera e propria avanguardia ed eccellenza europea, sia quanto a risultati concreti in termini di apprendimenti, che di riconoscimento nella comunità scientifica. L’impegno con cui si sono dedicati alla distruzione di quell’impianto lo abbiamo potuto apprezzare nel corso degli anni. Questo non sarebbe che l’atto finale. I problemi della scuola italiana sono ben altri. E anche le reali sollecitazioni da parte dell’Europa: la questione dell’obbligo scolastico, innanzitutto. Profumo non ha certamente dato l’impressione di volersene occupare durante il suo mandato, fondato – fino a 1 mese fa – sulla demagogia 2.0 degli annunci (tablet, lavagne, smart school di cui non è restata alcuna traccia), su un concorso iniquo e sulla continuazione della politica dei tagli dei suoi predecessori. Nel giro di una settimana, a governo scaduto e con l’esplicita sconfessione delle urne, è intervenuto pesantemente su questioni che non possono essere rubricate e frettolosamente affrontate come voci opzionali della lista della spesa. |