Valutazione degli apprendimenti di Antonio Valentino ScuolaOggi 1.3.2013 Chiarisco, sul tema, un punto di vista poco considerato, attraverso tre citazioni: - L’intima natura dell’insegnamento e dell’apprendimento scolastico è trascurata perché c’è stato un interesse esclusivo per le prestazioni e la valutazione, che ha portato a trascurare non solo i mezzi con cui insegnanti e studenti fanno il loro mestiere nella classe reale, ma anche come i docenti insegnano e i ragazzi imparano. La stranezza: questo è il periodo - gli ultimi decenni - in cui hanno fatto più progressi gli studi su insegnamento e apprendimento. (Bruner) - Il passaggio che si impone: dalla “valutazione dell’apprendimento” alla “valutazione per l’apprendimento”. (Castoldi) - Accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare consapevolmente con ciò che sa. (Wiggins )
Il passaggio da Castoldi (Valutare a scuola, Carocci, 2012) mi pare un utile richiamo al senso specifico della valutazione nella scuola. La terza, ripresa nelle Linee Guida per il Riordino dell’Istruzione Tecnica e Professionale, prospetta la nuova frontiera della valutazione: quella delle competenze indirettamente, ma efficacemente definite anche attraverso l’avverbio “consapevolmente”. È una frontiera che non si può ignorare. La percezione che le lega è che questo gran parlare di valutazione, con riferimento pressocchè esclusivo non solo alle rilevazioni attraverso le prove standardizzate degli apprendimenti, ma a tutti gli aspetti e agli attori della vita scolastica, tenda a convincerci che i mali della scuola si risolvono concentrandoci essenzialmente su pratiche di rilevazione esterna e “oggettiva”. Il rischio che si coglie distintamente è che questa enfasi ci impedisce di vedere, sul fronte della valutazione, uno dei più grossi problemi del nostro sistema scolastico: la mancanza di una cultura valutativa diffusa. Senza della quale nessun sistema nazionale di valutazione è credibile e può dare frutti.
In quest’ultimo anno soprattutto ci si interroga animosamente e –
ovvio - polemicamente sul nuovo regolamento del Sistema Nazionale di
Valutazione – SNV - (approvato in prima istanza, come si sa, dal
Consiglio dei Ministri, nell’agosto scorso, e adesso arenato per
l’interruzione della legislatura). Ma, in tutto il parlare che se ne
fa nei dibattiti “alti”, è spesso difficile cogliere riferimenti
agli aspetti di fondo sulla questione “valutazione e rilevazioni”
prima richiamati. Premesso e richiamato, a scanso dei equivoci, che le rilevazioni nazionali e internazionali sono imprese fondamentali per capire – rispetto al funzionamento del nostro sistema - come stiamo e le decisioni da prendere per intervenire sulle criticità eccetera eccetera, le prime domande che però dovremmo porci, rispetto a queste rilevazioni, mi sembrano piuttosto le seguenti: 1. quale senso esse hanno per chi pratica una didattica ancora inchiodata alla lezione frontale e non è in grado di praticarne altre. E in questa situazione si trova la gran parte degli insegnanti; 2. quale senso hanno se i loro oggetti non costituiscono obiettivi didattici “agiti” dei nostri docenti (in altri termini: ha senso fare rilevazioni su competenze chiave – problem solving/setting, ad esempio - se queste non diventano contenuti e finalità delle pratiche educative?); 3. quale senso hanno le “restituzioni” dei risultati se non poggiano su una cultura e una competenza valutativa adeguata dei destinatari; 4. quale senso hanno rilevazioni (il riferimento qui riguarda ovviamente i contesti e gli “attori”) che si disperdono spesso in una pletora di quesiti, quando le cose che servono sono riconducibili a poche e fondamentali domande, funzionali a decisioni sensate per il lavoro docente e per le politiche di istituto o di territorio. Sono tutte domande, come si vede, che hanno a riferimento la cultura professionale – didattica in generale e valutativa in particolare – vista qui come condizione e premessa per un SNV che funzioni. Se questi sono interrogativi sensati e centrali, e anche urgenti, cui far fronte per rilanciare il nostro sistema formativo, mi chiedo allora se la musica non debba cambiare spartito; se cioè non debbano cambiare le priorità e le direzioni di marcia. Occorrerebbe, tra l’altro - e qui lo si richiama incidentalmente - avere consapevolezza che le misure per rilanciare cultura e pratiche professionali innovative - su didattica e valutazione – da sole non bastano, come ci dicono le rilevazioni internazionali.
Le quali partono opportunamente dall’idea che quello che fa la
differenza tra una buona e una cattiva scuola è altro; è, cioè,
puntare ad avere buoni insegnanti e a rendere appetibile il lavoro
docente (reclutamento/selezione, considerazione sociale e
riconoscimenti economici, sviluppo di carriera e formazione mirata,
supervisione del lavoro didattico e attenzione ai risultati,
autonomia professionale). E questo rinvia a scelte politiche
generali. 1. Potenziamento del ruolo dell’INDIRE (di fatto eclissato nel dibattito sul SNV, del quale pure è una delle tre “gambe” portanti), in quanto agenzia volta sia a lanciare e supportare interventi generalizzati sulla cultura della valutazione e le competenze valutative, sia a rendere possibile coinvolgimento e collaborazione con le scuole nelle rilevazioni e nella lettura dei dati. In primo piano dovrebbe comunque esserci l’idea del “valutare” come funzione centrale di una didattica di qualità - assieme a quelle canoniche di un buon sistema di istruzione (comunicare - contenuti, azioni, compiti …- , tutorare, individualizzare, recuperare/sostenere ecc). 2. Mettere meglio a fuoco il ruolo dell’INVALSI con l’obiettivo di recuperargli credibilità e affidabilità ampia; ma anche di rendere più plausibile e accettabile una valutazione esterna, che pure si rende necessaria per cominciare a superare l’autoreferenzialità inconcludente e nociva delle nostre scuole. Quet’ultimo obiettivo si impone anche alla luce di alcuni dati e rilievi che si fanno da più parti (interessanti e illuminati le recenti riflessioni di Franco De Anna apparsi su alcuni siti “scolastici”). Consideriamone alcuni di questi dati riportati in un recente articolo di Stefano Stefanel e che trovano conferma in fonti attendibili:
Se le cose stanno così – e stanno così - non diventa importante chiedersi se qualcosa non debba essere meglio messa a fuoco nel suo profilo istituzionale e nelle sue interazioni con il SNV? È possibile centrare l’obiettivo di rendere possibile una valutazione esterna che sia accettata, con un INVALSI che non ha configurazione netta sotto il profilo dei rapporti con il Ministero e con l’intero sistema? Se il problema è restituire autorevolezza e credibilità all’Istituto, può risultare utile allora guardare a modelli europei che meglio possono centrare questo obiettivo. Da più parti (vedi l’articolo di Stefanel) si guarda all’Istituto Finlandese per la Ricerca educativa (FIER) che si caratterizza per i seguenti tre aspetti: 1. istituto indipendente finanziato non solo dallo Stato, ma anche da enti pubblici e privati; 2. riconosciuta competenza certa su tutti i dati scolastici nazionali e mondiali; 3. punto autorevole di riferimento di tutto il sistema nazionale di valutazione. Ove l’elemento dirimente è soprattutto il primo. Comunque, quale che sia l’opzione da privilegiare, il problema è di quelli che andrebbero ripresi a breve. Una considerazione flash infine su “rilevazione come”: censuaria o a campione? Confesso che non riesco ad appassionarmi più di tanto allo scontro tra chi vuole le rilevazioni su base censuaria e chi le vuole su campione significativo; ciascuna delle due modalità ha buoni motivi a favore e altrettanti contro. Rilevo però che, nel dibattito, al merito specifico delle questioni spesso si sostituiscono semplificazioni polemiche che non aiutano. Per cui, ad esempio, c’è chi – quelli della prima tipologia - sembra voler “piegare” il senso delle prove in base a criteri meritocratici e classificatori, ritenuti salvifici per il buon funzionamento delle scuole; c’è, dall’altra parte, chi diffida per principio di questa modalità perché teme l’uso sanzionatorio (o anche solo premiale) dei dati sulle singole scuole. E questo anche a motivo dei dubbi che si nutrono sull’affidabilità e credibilità – sul piano scientifico - dell’INVALSI. Al riguardo penso, sulla base delle considerazioni svolte nella prima parte di questi ragionamenti , che almeno nella fase attuale possano essere più utili le rilevazioni censuarie, perché utilizzabili per le scelte organizzative e per le pratiche didattiche di ogni specifica scuola (quelle campionarie sono indispensabili piuttosto per i decisori politici e amministrativi). Però un’opzione di questo tipo ritengo abbia senso se collegata a iniziative volte a: a. sviluppare consapevolezza diffusa, attraverso misure e dispositivi opportuni, del senso e dell’utilità di tali rilevazioni tra gli addetti ai lavori; b. portare le scuole a riconoscere al Sistema Nazionale in primo luogo affidabilità e imparzialità, attraverso un regolamento e statuti più condivisi, e facendo leva sull’indipendenza e imparzialità dell’Istituto; c. collegare le rilevazioni a momenti di formazione – autoformazione mirata che permettano di valorizzare le restituzioni per decisioni che migliorino il fare scuola nelle aule e negli Istituti.
Ma, ripeto e sottolineo, prima di tutto, partire dall’abc del
discorso valutativo: valutare gli apprendimenti come funzione della
didattica e come funzione dello sviluppo professionale. Sono queste
da mettere al centro, penso, del lavoro delle scuole e delle
preoccupazioni di un’Amministrazione che voglia affrontare e
risolvere il problema. |