Scuola, i tagli del PDL

Pasquale Almirante, La Sicilia 12.5.2013

Un articolo su "Il Giornale" lamenta che il Pdl abbia lasciato alla sinistra l'egemonia della cultura, considerato che nel nuovo governo il dicastero del Miur sia andato a Maria Chiara Carrozza, del Pd, mentre dei tre sottosegretari solo uno è della destra, Gabriele Toccafondi, dirigente di cooperativa ed ex deputato del Pdl. A questa riflessione fa immediatamente eco una nota dell'on. Elena Cetemero, responsabile scuola del Pdl, per la quale il Popolo della libertà non sarebbe riuscito «ad assolvere come avrebbe dovuto e potuto fare, un compito importante, cioè quello di farsi interprete di un modo di concepire la scuola e la cultura improntate alla libertà di scelta, alla sussidiarietà, al mercato, alla qualità».

Una lagnanza che potrebbe essere legittima se si scorda che negli ultimi dieci anni, ben otto sono stati egemonizzati al Miur proprio dal Pdl nelle persone dei ministri: Letizia Moratti e Maria Stella Gelmini e solo due dal Pd, con Giuseppe Fioroni. E sono stati otto anni contrassegnati solo da tagli, da licenziamenti, da classi pollaio, mentre le cosiddette riforme hanno avuto il solo obiettivo di umiliare insegnamenti, classi di concorso, docenti, mentre il punto più basso subito dal merito si ebbe allorché Moratti volle agli esami di stato la commissione composta dal consiglio di classe e un solo presidente esterno per una intera scuola, insieme al mancato recupero dei debiti accumulati dagli alunni nel corso degli anni. E poi le grandi strategie di Gelmini hanno avuto come risultato, relativamente alla valutazione e al merito, quello di implementare qualche sperimentazione per valutare docenti e scuole e dei cui esiti ancora oggi nulla è dato sapere. E si dimenticano anche le accuse di fannullonismo, ignoranza, neghittosità, di "inculcatori di idee della sinistra" che durante i governi di centrodestra presero i docenti da parte di loro esponenti illustri, Berlusconi compreso, insieme al blocco del contratto di lavoro, degli aumenti salariali, degli scatti settennali, e poi accorpamenti e dimensionamenti, mentre il ministro del tesoro, Giulio Tremonti, sibilava che "la cultura non dà da mangiare" e che la scuola non è "l'ufficio di collocamento" per gli oltre 150mila precari chiamati a tenere in vita l'istruzione italiana, perché meritavano di essere sbattuti a casa.