INTERVISTA Reale: Salviamo la scuola nell’era digitale di Roberto I. Zanini, Avvenire 2.5.2013
«La capirei se fosse una proposta, ma così si tratta di un’imposizione
che toglie libertà alla scuola, comprensibile solo in un regime
assolutista. Tanto più che, per dirla con Clifford Stoll, uno dei
pionieri di internet, se vogliamo un Paese di stupidi è sufficiente
centrare sulla tecnologia il sistema di studi. Un’istruzione di
qualità, invece, richiede applicazione, sacrifici, richiede di fare
i compiti a casa e senza fare il copia-incolla dal web,
come purtroppo molti insegnanti mostrano di accettare». A parlare in
questi termini è Giovanni Reale, uno dei maggiori esperti a livello
mondiale di pensiero antico (i suoi libri sono tradotti in 22
lingue), già docente alla Cattolica di Milano e all’Università San
Raffaele. Sull’onda della decisione del ministero di sostituire
obbligatoriamente dal 2014 nelle scuole i testi cartacei con quelli
digitali ha scritto un pamphlet per la Editrice La Scuola, dal
titolo: Salvare la scuola nell’era digitale (pagine 101,
euro 10). «Attenzione però – aggiunge Reale – io non sono contrario
alle nuove tecnologie, dico però che non devono essere
assolutizzate, ma considerate come uno strumento»
«Ho letto alcuni articoli che hanno paragonato questa iniziativa alla
diffusione della stampa nel Rinascimento, in cui si sosteneva che
proprio la stampa ha fatto nascere la cultura della scrittura. Un
errore storico gravissimo. La cultura della scrittura è precedente a
Platone. E non è vero che l’uso diffuso della scrittura ha fatto
nascere la filosofia, semmai è il contrario. È stata la necessità di
conservare i dialoghi di Socrate a costringere i suoi discepoli a
trascriverli, perché la semplice memoria non poteva essere
sufficiente. Erano famosi i dialoghi trascritti da Simone il
ciabattino, nella cui bottega spesso Socrate si intratteneva. Quando
il filosofo usciva, Simone ne trascriveva le parole. Insomma, la
diffusione della stampa ha rafforzato una cultura che esisteva da
migliaia di anni, non l’ha creata né promossa. E le nuove tecnologie
nei fatti capovolgono quello che per 2500 anni è stato diffuso con
la scrittura, che ne esce sconfitta».
«Gli studi più recenti dicono che quasi tutte le relazioni nate sul
web quando diventano conoscenze "fisiche" si interrompono. Il
virtuale non è il reale. Negli Usa ci sono aziende che cominciano a
imporre ai loro dipendenti di comunicare fra loro, almeno una volta
alla settimana, senza mediatori tecnologici, faccia a faccia. La
comunicazione multimediale è ridurre al minimo le relazioni».
«Qualcuno ha già teorizzato il passaggio del sapere dagli insegnanti
alle macchine. Nei fatti gli insegnanti dovrebbero diventare dei
tecnici, degli assistenti delle macchine. In questo modo si rompe il
rapporto fra persona e persona e la scuola non è più scuola secondo
un modello che è servito a costruire la nostra cultura (quindi anche
le nuove tecnologie) per migliaia di anni».
«Si dice che la scuola peggiore in Europa sia quella francese (ma noi
seguiamo a ruota) in cui la colpa è sempre dell’insegnante e mai
dell’alunno, in cui si è proposto di abolire i compiti a casa,
perché la famiglia, corrosa dall’interno, non vuole più avere
problemi con i figli. Ma già 50 anni fa, quando insegnavo nelle
scuole di recupero, i ragazzi più difficili venivano da famiglie
sfasciate, che non se ne prendevano cura».
«Per questo è necessario che la scuola ricominci a fare la scuola e
non abdichi definitivamente».
«Bisogna tornare a comprendere che tutto ciò che si apprende è frutto
di fatica e il grado di istruzione è direttamente proporzionale
all’impegno. Oggi invece c’è chi si presenta per la laurea con tesi
scopiazzate da internet. Recentemente a un premio per i giovani
sull’Europa sono stati trovati tre temi uguali. Gli autori, esclusi,
si sono ribellati sostenendo di essersi impegnati nel fare ricerca.
Ma hanno fatto solo copia e incolla dallo stesso sito web».
«Il problema non sono le nuove tecnologie, ma l’uso sbagliato che se
ne fa. Internet lo uso e mi è utile. Ma lo uso come mezzo, non come
fine della mia conoscenza. Quando venni chiamato dal ministro
Berlinguer nel gruppo di studio per la riforma scolastica, mi trovai
in conflitto con alcuni dei colleghi (gli stessi che hanno ispirato
il ministro Profumo) che sostenevano che i classici a scuola sono
superatissimi. "Basta con i classici" dicevano, bisogna dare
strumenti multimediali. Io obiettavo che gli strumenti non sono i
contenuti. Loro a insistere che i contenuti vengono fuori dall’uso
degli strumenti. Ma questi strumenti non possono essere considerati
dei creatori di contenuti. Gli strumenti servono per diffonderli,
non per crearli. Chi mette i contenuti negli strumenti?». «Un Paese che vuole costruire futuro deve fare in modo che la scuola non perda il suo ruolo di costruttrice di rapporti umani e di quella forza produttiva che è l’intelligenza dell’uomo, che costruisce le macchine e le usa, ne idea e ne costruirne altre. Lo scopo del mio libro è denunciare questo rischio. Come diceva Marco Aurelio, "al mattino, quando ti svegli e ti senti stanco, devi dire: mi alzo per compiere il mio mestiere di uomo". E allora dobbiamo chiederci con sincerità: ma l’uomo ipertecnologico come se la cava nel mestiere ultimativo che è quello di essere vero uomo? Oggi a chi è affidato il compito di costruire gli uomini di domani? Alle macchine?». |