Test Invalsi: una valutazione
del sapere al ribasso?

di Lucio Ficara La Tecnica della Scuola 16.5.2013

Occorre riflettere bene sul reale senso delle prove che l'Invalsi utilizza per rilevare apprendimenti e competenze. C'è il rischio di trascurare aspetti decisivi come lo spirito critico e il desiderio di apprendere.

La somministrazione dei test Invalsi prosegue domani 16 maggio con le classi seconde delle scuole secondarie di II grado.

La conclusione è prevista il 17 giugno con la prova che farà parte dell’esame di Stato del primo ciclo. Pensare, o ancora peggio dire, che i docenti italiani abbiano paura dei test Invalsi, è una critica assolutamente assurda e priva di ogni fondamento logico, che soltanto chi concepisce la scuola dal punto di vista monocratico, può indirizzare al cuore intellettivo ed intellettuale della scuola. Additare la classe docente, che con serietà professionale e cognizione di causa, si interroga sulla bontà dello strumento dei test Invalsi, come se fosse invalsi-fobica e temesse le ripercussioni professionali di questi test valutativi, volti ad accertare la preparazione dei propri discenti, è semplicemente una pura falsità.

Non dobbiamo dimenticare che i docenti si impegnano quotidianamente, senza risparmiarsi e senza limiti di tempo, per trasmettere ai propri discenti il sapere, in modo tale da farli uscire da quello che Kant definiva uno stato di “minorità”.

Forse questo illuminato pensiero, che appartiene a moltissimi docenti intelligenti, è veramente troppo difficile da comprendere per gli strateghi dell'Invalsi?

Da Villa Falconieri, sede ufficiale dell’ente di valutazione del sistema educativo, d’istruzione e formazione, sono assolutamente convinti che le prove Invalsi stanno migliorando efficacemente la scuola italiana.

Ma è veramente così? Ci piacerebbe dare voce a tutti quei docenti, definiti egregiamente dal Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, come i nuovi eroi di questo tempo, per spiegare ai burocrati dell’ Invalsi, amanti della scuola monocratica, cosa significhi dare ad un ragazzo gli strumenti del sapere per affrontare la complessità della quotidianità moderna.

Negli atti eroici, riconosciuti dal Presidente Boldrini, e compiuti dagli insegnanti quotidianamente, c’è la capacità di trasmettere il coraggio del conoscere.

Orazio lo avrebbe chiamato “Sapere aude”, quel coraggio interiore, che ogni discente possiede, e che solo il suo “maestro-educatore” è capace di tirare fuori. Solo in questo modo l’allievo trova le motivazioni e il coraggio di conoscere, liberandosi dallo stato di minorità per appropriarsi del proprio intelletto senza il bisogno della guida del suo insegnate. Purtroppo i test Invalsi, e questo lo dicono in tanti docenti, seri ma non burocrati, non riescono a valutare il senso critico e logico dell’allievo, ma soltanto il processo meccanico ed esecutivo. I docenti che amano la scuola molto di più di quanto non lo facciano i burocrati, rilevano questo errore di valutazione e giustamente, con la forza della loro intelligenza, giudicano questi test Invalsi una vera "mostruosità", che condannerà, se non ci saranno ripensamenti, i nostri alunni a vivere in uno stato di perenne minorità. Comunque la si voglia pensare, credo sia interesse di tutti, porsi la seguente domanda: i test Invalsi rappresentano una valutazione del sapere al ribasso oppure misurano realmente le competenze metodologiche del ragazzo?