I test Invalsi e la presunta paura altrui di Vincenzo Pascuzzi, 12.5.2013 Forse, dopo “merito” e “meritocrazia”, il termine “paura” è uno dei più usati e ricorrenti nelle discussioni riguardanti i test Invalsi. I presidi dell’ANP evocano la paura nel titolo di una loro recente riflessione favorevole alle prove Invalsi: “Chi ha paura delle prove INVALSI?” (1). Solo alcune settimane prima, Paolo Sestito, Commissario straordinario Invalsi, aveva titolato “Chi ha paura della valutazione nelle scuole?” la sua replica (2) a un documento sulla valutazione sottoscritto da una decina di importanti e rappresentative associazioni professionali, di genitori e di studenti. Anche altri autori si esprimono in modo analogo, usano il termine paura (v. link seguenti). È chiaro che simili titoli cercano di intimidire, sfidare, quasi aggredire l’interlocutore che abbia dubbi o riserve sulle prove Invalsi e sulla valutazione attraverso di esse. Simili titoli cercano anche di saltare a piè pari qualsiasi confronto sulla validità e congruità delle prove, imponendo una sorta di Invalsi dixit. Però è anche vero che chi evoca una inesistente paura altrui, probabilmente, non ha a sua disposizione argomenti più convincenti.
Di conseguenza c’è stato chi – come Giorgio Israel, nella lettera
aperta al ministro Carrozza (3) - ha ritenuto di esplicitare e
respingere questa posizione: «Da anni si ripete la stessa canzone:
“chi si oppone a indicatori numerici, test, tabelle, certificazioni,
ecc. non vuole la valutazione, non vuole essere valutato perché vuol
fare il comodo suo”. È una canzone falsa e ricattatoria, perché non
volere “un certo tipo” di valutazione non vuol dire che non si
voglia alcuna valutazione».
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