Parliamo dei test Invalsi di matematica
per la Scuola Secondaria di primo grado
di Giorgio Israel
Pensare in Matematica, 30.5.2013
La linea ufficiale dell’Invalsi è: noi misuriamo le competenze e non
le conoscenze, perché è impossibile misurare le seconde, mentre è
possibile misurare le prime. La nostra obiezione è che per misurare
qualcosa bisogna disporne di una definizione sufficientemente chiara
sul piano operativo per poter effettuare una misurazione. Difatti,
per poter misurare le competenze si è tentato in tutti i modi di
darne una definizione chiara e operativa.
Non abbiamo mai detto che non esista una definizione di competenza –
questa accusa che è stata mossa è infondata. Anzi, sappiamo che ne
sono state date a centinaia, per esempio nell’ambito della
supercommissione mondiale formatasi in Svizzera alla fine del
millennio scorso che non è riuscita a pervenire a una definizione
condivisa. Gli specialisti in materia ammettono che con alcune
definizioni molto deboli si può forse misurare qualcosa con test ma,
se intervengono aspetti motivazionali, non si misura un bel niente.
Per noi, fedeli ai paradigmi scientifici, qualcosa che non possiede
unità di misura non si può misurare. Punto. Ogni giorno vengono
usati migliaia di numeri a scopo valutativo senza che questo
significhi assolutamente misurare alcunché.
Ma lasciamo perdere questa tematica, che peraltro è tutto fuor che
accademica o teorica per la quale rinviamo a un precedente
dibattito.
Sappiamo anche che esiste una definizione ufficiale della Comunità
europea: le competenze sarebbero «la comprovata capacità di usare
conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche
in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale
e/o personale». Batta un colpo chi è capace di dire qual è l’unità
di misura di una simile fumisteria in termini di test.
Comunque, noi pensiamo che i test possano servire, non siano inutili
per verificare l’acquisizione di conoscenze
elementari: per esempio, ortografiche, grammaticali,
sintattiche, il possesso di nozioni basilari dell’aritmetica o della
geometria. Per quanto riguarda le
competenze (accettando quella definizione buro-fumosa) è
ben vero che se si pone a uno studente una domanda la cui risposta
richiede il ricorso a conoscenze, abilità etc., può sembrare
ragionevole ammettere ttere che una risposta corretta indichi la
presenza di tale capacità, o competenza.
Apparentemente sì. In realtà sfugge quasi tutto, proprio per il
carattere di quiz del test.
Proviamo a constatarlo sui test della Prova nazionale di matematica
per la Scuola secondaria di I grado. Alcuni di questi sono molto
elementari e possono pure essere considerati accettabili, come D1,
D7, D8, D14, D18 (peraltro mal formulato), D19 per verificare
“competenze” che in alcuni casi si potrebbero anche avere alle
primarie.
Vediamo ora esempi di Test francamente discutibili.
Test D2. – Non va bene per niente. Come è pervenuto lo
studente alla risposta? Non c’è modo di saperlo. Potrebbe aver
chiaro il modo in cui si scrive in generale un numero dispari e
addirittura ricavare conclusioni generali anche circa il caso di
numeri non consecutivi, o semplicemente aver scritto il caso
generale di numeri consecutivi. Potrebbe aver fatto alcune prove
senza rendersi conto che la verifica di un numero finito di casi non
prova nulla ed essere arrivato alla conclusione sulla base di una
sostanziale “incompetenza”. Ma sarebbe anche impietoso e ingiusto
pensare che, a quel livello di età, si possieda un’idea chiara di
cosa sia una dimostrazione matematica generale. È proprio certo che
la matematica debba essere appresa con un approccio rigorosamente
logicista? Un ragazzo “intuitivo” potrebbe essere messo in crisi da
un quesito simile senza per questo essere negato per la matematica.
Ecco un esempio di un problema interessante se discusso in classe
con l’insegnante, esplorando il senso delle risposte dei singoli
studenti.
Test D3. – Ecco un esempio di un
test in cui il sadismo prevale a costo di far fare la figura di
incompetente a chi lo ha preparato. Il test è abbastanza difficile,
forse troppo difficile per lo studente medio di queste classi. Ma,
per renderlo più difficile si rappresenta lo stesso oggetto – la
crescita nel tempo di uno stipendio – in due modi diversi. Difatti,
nel primo caso si ricorre a una tabella di numeri che avrebbe come
corrispettivo grafico un istogramma, perché la crescita non è
continua, ma avviene a salti: lo stipendio cresce di 1500 euro
l’anno (all’inizio dell’anno, ovviamente). Nel secondo caso, invece
si usa un tracciato “ambiguo”, insensato, che nessuna persona
“competente” mai farebbe: né continuo, né discreto, che da un lato
suggerisce una crescita continua, come se lo stipendio aumentasse
giorno per giorno (o minuto per minuto...), difatti è difficile
decifrare quale aumento abbia avuto in B al 3° anno... Dall’altro,
con quel tratteggiato si suggerisce obliquamente che continuo non
è... Nessun aumento reale di stipendio può essere rappresentato da
una curva simile!!.. Quale competenza si potrà mai verificare
disseminando un test di simili sciocchi trabocchetti? Diciamo che
chi l’ha fatto andrebbe semplicemente bocciato.
Test D6. – Questo è il test
incriminato su cui Mathesis ha fatto una polemica sbagliata perché
non si chiede di misurare i lati, ma di fare le misure necessarie e
quindi non si richiede la conoscenza della formula di Erone. A parte
il fatto che la scelta di un triangolo ottusangolo posto in quel
modo ha anch’essa qualcosa di lievemente sadico (il fatto di
ricorrere a un’altezza esterna non è necessario, se si sceglie come
base BC), ci si chiede: se lo studente lo risolvesse con la formula
di Erone, dichiarandolo in b. come si valuterebbe tale modo di
risoluzione? Sarebbe migliore o peggiore? Ai posteri l’ardua
sentenza... Questa è roba che si discute in classe e su cui valuta
la competenza dell’insegnante, che conosce l’allievo, sa come e cosa
si è insegnato, ecc.
Test D9. – Questo è un test che
merita la censura più severa! Ognuna di queste domande richiederebbe
una motivazione precisa delle ragioni geometriche per cui si arriva
a questa o quella conclusione. Non è una mica una faccenda da
“occhio e croce”. E invece proprio qui non ci sono spazi in cui
spiegare le ragioni delle risposte. Altro che verifica delle
competenze! Qui siamo al più spudorato quizzismo, roba da Lascia e
Raddoppia, con tutto il rispetto per Lascia e Raddoppia.
Test D10. – Il test è alquanto
difficile (ma chi fa questi test ha mai frequentato una scuola e si
rende conto di quale sia il livello medio?) e, per giunta richiede
una giustificazione per la quale, se fatta bene, non saranno
sufficienti tre righe... (Nota: Ma all’Invalsi non hanno un computer
o un disegnatore con cui tracciare in modo decente quel
grafico?!...). Lo stesso discorso vale per il Test D20: il disegno,
con tutte quelle erbacce che coprono l’oggetto più importante, da
misurare, mentre si da rilievo a quelle irrilevanti “cabine da
spiaggia”, è concepito apposta per confondere le idee. La tanto
deprecata scuola del trabocchetto...
Test D11. – Che giustificazione
può mai dare lo studente? L’unica cosa che può fare è dare la
definizione di probabilità classica. Cos’è? Una misurazione di
conoscenze?
Test D4 e D26. – Siamo alla
solita confusione tra percezione visiva e simmetrie. Ne abbiamo
parlato per i test delle primarie, non insistiamo. Sappiamo che
questa è una tipica confusione mentale di un certo didattichese. Un
test del genere sarebbe più appropriato in un liceo artistico. Ma
che cosa c’è di matematico in test del genere?
Test D5, D12, 13, 15, 17, 21, 22, 23, 24.
– Sono tutti da censurare per lo stesso motivo che, in alcuni casi
si presenta in forma più grave. Si richiede una risposta “secca”
senza che sia chiaro come vi si è pervenuti mentre questa è la cosa
più interessante e importante, soprattutto nel caso dei test
geometrici. Per D23 è assolutamente inaccettabile chiedere una
risposta senza sapere se si indovinato a casaccio o si è messa in
opera la conoscenza giusta (quale?... lasciamo la risposta al
lettore... scommettiamo che non pochi diplomati con maturità non la
sanno?). Stesso discorso per D22: che teorema serve per fare quel
calcolo? non è interessante saperlo o lo studente ha messo la
crocetta al posto giusto per caso o magari perché ha sbirciato il
foglio del vicino? I signori dell’Invalsi hanno le idee talmente
confuse (meriterebbero loro una bella ripassata di cos’è la
matematica) che )sempre in D.22) confondono una formula numerica (!)
con un procedimento, che, a sua volta, non è un teorema... E che
dire della domanda D17? Ma che senso ha non chiedere la ragione per
cui questa o quella formula si “adatta” alla “descrizione” (che
linguaggio casareccio!) del fatto fisico? Un bel modo di diseducare
alla comprensione del complesso rapporto tra matematica e fisica al
cui centro sta proprio il nodo della “giustificazione” del senso
fisico della formula matematica.
Che cosa concludere? Siamo di
fronte a un conglomerato di test di cui una parte è elementare e
potrebbe anche essere accettabile come verifica di capacità minime,
essenziali. Altri sono difficili, mal formulati o intrisi di un
deplorevole sadismo. Altri ancora sono ispirati alla più deplorevole
mentalità da quiz: vediamo se spari il numero esatto o metti la
crocetta giusta, come ci sei arrivato non mi interessa affatto.
Non poteva darsi una dimostrazione più chiara del carattere deteriore
di queste prove. Lo studente viene sottoposto a una prova
stressante, in taluni casi un po’ perversa, che non verifica niente,
e rischia persino di far apparire più bravo chi lo è di meno,
soltanto perché ha meno dubbi e “ci prova” in modo più
spregiudicato.
Non si era detto che non si voleva più la scuola nozionista, in cui lo
studente si gioca tutta la carriera con un compito, una prova, una
domanda secca, procedure di selezione che non approfondiscono le sue
effettive conoscenze e capacità? Ed ecco che, al contrario, lo
studente si deve giocare tutto in una roulette scandita con
l’orologio.
Siamo più convinti di prima. La crescita e la
valutazione dello studente si fanno in classe, nel lavoro con
l’insegnante, in un dialogo approfondito, in cui il problema
matematico viene posto, discusso, sondato in tutti i suoi aspetti.
La valutazione ha senso soltanto in questo contesto.
Molti dei test suddetti – come abbiamo osservato – potrebbero
fornire materiale per lavoro di classe. Posti così seccamente non
verificano niente e sono soltanto diseducativi. Tanto più se, come
ormai purtroppo accade, si diffonde la pratica del “teaching to the
test” e la scuola viene impegnata nella preparazione a superare
questa inaccettabile poltiglia.
Lascia o raddoppia. Ma quello era un gioco televisivo, non era la
scuola.