Scuola, le proposte indecenti di Boldrin di Marina Boscaino e Giorgio Tassinari, MicroMega 13.5.2013 Uno degli innumerevoli “inconvenienti” che l’ondata neo-liberal ha determinato nel nostro Paese è l’incursione di personaggi arrembanti e fastidiosi come il saccente ed eccessivamente scanzonato Michele Boldrin, che giovedì scorso – dagli studi di Santoro – ci ha propinato pillole di trito, imbarazzante e aggressivo economicismo parlando di scuola. È singolare che, in una delle poche puntate dedicate a un tema che, di fatto, riesce a suscitare l’interesse dei media solo dopo che, a fronte di un faticosissimo lavoro di più di anno, dopo la raccolta di quasi 13mila firme, i cittadini bolognesi hanno raggiunto un obiettivo meritevole e significativo (la celebrazione di un referendum consultivo, che si celebrerà il 26 maggio nel capoluogo emiliano) si recluti un simile personaggio. È curioso che, nonostante illustri giuristi, primo tra tutti Rodotà, presidente del Comitato art. 33; nonostante capaci economisti; nonostante tanti insegnanti – militanti e non – che sul tema scuola pubblica-scuola privata avrebbero potuto esprimere posizioni equilibrate e informate, anche se non necessariamente a favore del finanziamento destinato alle scuole pubbliche, si sia scelto di interpellare un così esplicito avversario non solo del principio costituzionale del “senza oneri per lo Stato”, ma della scuola pubblica in particolare e della scuola italiana in generale. L’intervento di Boldrin è stato infatti intercalato da una serie di chiose, tra il serio e il faceto, animate da un esplicito disprezzo per la scuola e per gli insegnanti. (assenteisti, fankazzisti, ravanando nei più vieti luoghi comuni della poetica del fannullone inefficiente, che tanto attrae esimi intellettuali di casa nostra). Non ci soffermeremo sull’atteggiamento da chi ha formule certe e verità in tasca che ha caratterizzato l’intervento dell’altra sera. Boldrin non è nuovo a interventi a gamba tesa sulla scuola. Il 3 settembre 2010, in piena tempesta-precariato e con un inizio di anno scolastico bollente di fronte (stava per entrare surrettiziamente in vigore la contro-riforma Gelmini), dalle colonne del “Fatto Quotidiano” ci propinava la sua ricetta per risolvere i problemi della scuola italiana, dopo aver sparato a zero, nella prima parte dell’articolo, sul corporativismo dei sindacati, sull’indisponibilità a determinare cambiamenti nell’organizzazione del lavoro (sulla quale, c’è da giurarci, Boldrin si sarebbe/sarà schierato a favore della proposta indecente delle 24 ore di lezione frontale a parità di salario nella famosa querelle dello scorso autunno).
“Ecco gli ingredienti in ordine sparso. Decentralizzare per davvero
le decisioni di assunzione e impiego del personale lasciando
completa autonomia contrattuale ai provveditorati. Trasformare ogni
scuola in una cooperativa d’insegnanti a cui lo Stato dà in
concessione a tempo indeterminato (a un prezzo che copra
l’ammortamento) le strutture fisiche. Chi assumere (e a che
condizioni), chi promuovere, premiare o licenziare, lo decide la
cooperativa. O, al massimo, il provveditore. E che il migliore, se
vuole, venda i propri servizi a un prezzo (regolato) maggiore. Gli
insegnanti di qualità costano, come i luminari della medicina. Il professore della Washington University in Saint Louis ci spiega in queste righe come disfarsi arrogantemente del dettato costituzionale e abbattere una volta per tutte il fastidioso principio dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale come garanzia dell’interesse generale e dell’esercizio del diritto di uguaglianza per tutti i cittadini. A suon di cooperative che esercitano senza controllo prerogative quali il reclutamento degli insegnanti e di buoni scuola per garantire la “libertà di scelta”, ecco cancellati in un colpo solo articoli 33 e 34 della Costituzione e la natura interclassista, solidale ed inclusiva della scuola statale. Come direbbe Karl Marx, un palmare caso di materialismo volgare. D’altra parte la scuola di pensiero a cui Boldrin si ispira, quella di von Hayek e Milton Friedman, ha sempre pensato che in caso di conflitto tra mercato e democrazia dovesse prevalere il mercato (come in Cile).
Marina Boscaino e Giorgio Tassinari (professore Ordinario di Statistica Economica università di Bologna) |